Edenred, ha reso noti i dati riguardanti le scelte di imprese e lavoratori in materia di welfare aziendale per l’anno 2020. Le stime riguardano oltre 3.000 aziende clienti e circa 500.000 lavoratori che utilizzano la piattaforma del provider. Di seguito vi proponiamo alcune riflessioni a partire dai numeri diffusi in questi giorni.
Il welfare aziendale nell’anno della pandemia
Il primo elemento interessante riguarda la diffusione del welfare aziendale nei diversi settori produttivi. A tal riguardo, il comparto di gran lunga più rappresentato dal campione considerato è quello dell’industria e della manifattura. Tale dato è influenzato principalmente dalle misure introdotte nel Contratto Collettivo (CCNL) del settore, che ha previsto l’introduzione dei flexible benefit già nel 2016 (per saperne di più). A seguire si trovano i settori dei servizi di consulenza aziendale, del commercio, della gestione di software e media, dei servizi bancari e assicurativi e della logistica.
Come emerge dalla figura 1, se tali dati sono confrontati con quelli dell’Istat relativi alla distribuzione delle aziende italiane per settore produttivo risulta evidente un forte divario in alcuni casi: come si può vedere i comparti del commercio, dell’edilizia e della ristorazione sono sotto-rappresentati; altri – come quello dell’industria, delle telecomunicazioni e dei servizi finanziari e assicurativi – sono invece sovra-rappresentati.
Figura 1. Il welfare nelle imprese per settore produttivo
Per quanto riguarda la dimensione aziendale, le piccole imprese sembrano avere maggiori difficoltà ad implementare misure di welfare aziendale. Rispetto al tessuto industriale italiano – composto per il 98,2% da piccole imprese entro i 50 dipendenti, per l’1,5% da medie imprese che contano dai 50 ai 249 addetti e solo per lo 0,3% da imprese di grandi dimensioni con oltre 250 dipendenti – per Ederned le piccole e micro imprese rappresentano il 45% del totale delle realtà clienti (figura 2). Questo suggerisce quindi che, ad oggi, l’adozione di misure di welfare attraverso il supporto di un operatore esterno sia ancora una strada percorsa principalmente da medie e grandi imprese.
Figura 2. Imprese che adottano misure di welfare per classe dimensionale
L’adozione di piattaforme online per la gestione dei servizi di welfare aziendale risulta inoltre essere per lo più prerogativa di aziende e gruppi societari con sede principale nelle regioni del Nord del Paese: l’81% delle imprese che usano la piattaforma del provider sono radicate in quest’area. Anche in questo caso un confronto con i dati Istat (riassunti nella figura 3) riferiti alla distribuzione delle imprese sul territorio nazionale conferma l’apparente ritardo di questo mercato nelle regioni del Sud Italia.
Figura 3. Imprese che adottano misure di welfare per contesto territoriale
Il “premio” welfare e la composizione del campione
L’indagine permette poi di conoscere l’importo che ogni impresa stanzia mediamente per i servizi e i benefit di welfare in favore dei lavoratori. Il primo dato interessante riguarda il fatto che, nonostante la crisi economica e produttiva dettata dalla pandemia, il valore medio dell’importo welfare per ogni lavoratore resta sostanzialmente stabile: 850 euro nel 2020 contro gli 860 euro del 2019; se si prendono in considerazione gli anni precedenti, si evidenzia anche una sostanziale crescita: la media era infatti pari a 780 euro nel 2018 e 645 nel 2017.
Dall’altro lato, in linea con le rilevazioni degli anni precedenti, sembrano esserci delle differenze sostanziali determinate dal settore economico in cui operano le aziende considerate. Si passa infatti dai circa 450 euro pro capite per dipendenti di imprese del settore “istituti di istruzione e ricerca” (che rappresentano lo 0,7% del campione utenti complessivo) fino agli oltre 1.400 euro pro capite per dipendenti di “banche e assicurazioni” (18% del campione utenti complessivo). Il settore “industria e manifattura”, il più corposo nel campione (38% circa), registra per il 2020 un credito welfare medio pro capite pari a oltre 700 euro (figura 4).
Figura 4. Importo medio dei benefit di welfare in base al settore produttivo
In relazione al campione di lavoratori considerati, l’analisi rileva una maggiore presenza maschile: 71% contro il 29% di presenza femminile. Tale stima riflette tendenzialmente la media occupazionale definita nel 2019 dall’Istat che, fatto 100 il totale dei lavoratori italiani, rileva che circa il 60% sono uomini e il 40% donne; inoltre il gender gap in relazione al welfare è in buona parte dovuto dalla maggior presenza di imprese che appartengono a settori in cui c’è una maggior presenza maschile, come il comparto industriale. Ad ogni modo, non si evidenzia alcuna differenza rilevante se si confronta il credito medio di welfare degli uomini con quello delle donne. Maggiori discrepanze ci sono invece tra classi d’età: più il lavoratore sale d’età e quindi, si presuppone, anche di anzianità aziendale, più il premio risulta essere elevato (figura 5).
Figura 5. Premio welfare per genere e classe d’età
Le “fonti” del welfare aziendale
In circa il 76% dei casi del campione le prestazioni di welfare sono definite all’interno di un atto liberale, regolamento o accordo aziendale (quindi “on top”). Nel 34% è invece introdotto attraverso il CCNL e nel 18% per mezzo della conversione del Premio di Risultato. Dato che tali “fonti” di finanziamento del welfare non si escludono, è interessante osservare anche in che modo queste possono combinarsi (figura 6).
Figura 6. Le “fonti” del welfare aziendale
Il credito welfare pro-capite rispetto alla fonte di finanziamento mostra il valore medio più elevato per le somme provenienti da conversione dei Premi di Risultato, poco più di 900 euro circa. Il welfare “on top”, maggioranza nel campione, ammonta in media a circa 800 euro; le quote da applicazione del CCNL risultano in media pari a circa 240 euro.
Le scelte in materia di welfare
Per quel che riguarda le scelte dei lavoratori e delle lavoratrici, le prestazioni più apprezzate riguardano i fringe benefit (come i buoni spesa o le card acquisto), l’area dell’istruzione dei figli, l’ambito ricreativo e del tempo libero, la previdenza complementare e la sanità integrativa (figura 7).
Figura 7. Le aree welfare più richieste
Rispetto agli anni precedenti, nel 2020 nella composizione complessiva dei consumi sembra crescere il peso di tutte quelle prestazioni più lontane dalla “sfera sociale”, come i fringe benefit e l’area ricreativa, la quale riguarda soprattutto le spese per viaggi e vacanze. Ciò è in buona parte dovuto al fatto che ad agosto 2020 il Governo ha stabilito la possibilità di raddoppiare il limite destinato ai fringe, passato da 258,23 euro a 516,46 euro (vuoi saperne di più?). Seppur in calo, le prestazioni che possono potenzialmente generare un impatto sociale evidente – come quelle legate all’istruzione, alla previdenza, alla sanità e all’assistenza dei familiari – ricoprono oltre il 52% dei volumi di spesa complessivi per il 2020 (figura 8).
Figura 8. Come sono cambiati i consumi di welfare aziendale, anni 2017-2020
Le scelte dei lavoratori sembrano dipendere soprattutto da due variabili: l’età dei beneficiari e la disponibilità di spesa. Per quanto riguarda il budget welfare disponibile, questo influisce soprattutto a causa del limite relativo ai fringe benefit: all’aumentare del credito disponibile, infatti, i lavoratori tendono a spendere di più per istruzione, previdenza complementare e le prestazioni inerenti all’ambito ricreativo (figura 9).
Figura 9. Le scelte dei lavoratori in base al “budget” welfare
In riferimento all’età sembrano esserci invece dei picchi di consumo del credito welfare per i rimborsi in materia di istruzione e educazione dei figli tra coloro che hanno tra i 35 e i 59 anni (dal 30% al 35% circa della spesa complessiva per queste fasce d’età) e un aumento sostanzioso dei versamenti verso enti o casse di previdenza complementare per coloro che hanno più di 55 anni (dal 30% al 45% circa). I lavoratori più giovani (al di sotto dei 35 anni) tendono invece a prediligere le prestazioni relative all’area ricreativa e del wellness (figura 10).
Figura 10. Le scelte dei lavoratori in base all’età
Il tema dei residui
C’è poi la questione dei “residui”, cioè quella porzione di “conto welfare” che non viene spesa dal lavoratore e che resta nella piattaforma. Stando ai dati pubblicati da Edenred, in media i lavoratori spendono circa il 59% dell’importo complessivamente a loro disposizione: ciò vuol dire che il restante 41% “resta” nella piattaforma. Come vi abbiamo mostrato all’interno del nostro volume “Nuove alleanze per un welfare che cambia. Quarto rapporto sul secondo welfare in Italia”, si tratta di un problema comune che riguarda tutti gli operatori di welfare aziendale e che porta a interrogarsi circa la qualità e le conseguenze del processo di matching fra domanda e offerta in cui si inseriscono i provider (per maggiori informazioni vi rimandiamo alla lettura di questo approfondimento).
In merito, le modalità di gestione dei residui welfare sono svariate e collegate alla fonte di finanziamento. Secondo i dati Edenred, tra le imprese sembra essere preponderante la scelta di mettere a disposizione delle somme anche alla riapertura di una successiva edizione del piano welfare (modalità “carry forward”), mentre l’erogazione dei residui non spesi in busta paga previa applicazione di tassazione e contribuzione (la cosiddetta modalità “cash back”) è presente solo per il 30% dei portafogli welfare da conversione del Premio di Risultato. Più limitati seppur presenti, tra il 10% e il 20% circa a seconda della tipologia di fonte, i meccanismi di erogazione a fondo pensione integrativo del residuo in scadenza.
Figura 11. Modalità di gestione dei residui welfare
L’importanza dei dati
I dati diffusi da Edenred confermano alcune evidenze che abbiamo spesso avuto modo di raccontarvi (in questa sezione del nostro sito o in questa). Tra queste c’è il fatto che il welfare aziendale tende ad essere più presente nelle grandi imprese, in quelle del Nord Italia e in alcuni settori. Inoltre, se si analizzano le scelte dei lavoratori, risulta evidente la forte presenza di interventi che non hanno un forte impatto sociale anche se, come visto, molto dipende dal valore del budget welfare e dall’età dei dipendenti. È tuttavia importante ricordare come questi numeri siano stime su una parte, seppur importante, delle organizzazioni e dei lavoratori che ricorrono al welfare aziendale.
In questo senso è utile ribadire come, per arricchire il dibattito sul welfare aziendale, sarà sempre più importante avere a disposizione dati e ricerche che aiutino a delineare la diffusione del fenomeno. Come abbiamo sottolineato in questo recente approfondimento, per fare valutazioni più precise è infatti necessario conoscere in maniera chiara come il welfare aziendale si sta sviluppando nel nostro Paese, quali caratteristiche assume nei diversi contesti e quali potenzialità può in merito alla generazione di valore e impatto sociale (un tema su cui peraltro stiamo lavorando insieme a Social Valute Italia, Avanzi e Altis).
Il lavoro fatto da Edenred va proprio in questa direzione; l’auspicio è che altri operatori e organizzazioni possano fare lo stesso in futuro, mettendo a disposizione dati che, a tendere, sarebbe prezioso potessero essere “aperti” e confrontabili per disegnare un quadro unitario di un settore sempre più importante ma su cui spesso mancano informazioni adeguate per fare valutazioni precise e puntuali.
Riferimenti