Come vi abbiamo raccontato a più riprese in questi anni (ad esempio nei nostri ultimi Rapporti), le misure di welfare aziendale stanno diventando sempre più comuni nelle imprese del nostro Paese. Anche grazie alle previsioni normative introdotte a partire dal 2016, che hanno ampliato il regime fiscale di favore per queste prestazioni, il welfare aziendale si è infatti dimostrato uno strumento versatile e potenzialmente in grado di rispondere positivamente sia ai bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici sia a quelli delle imprese.
Data la progressiva diffusione del fenomeno appare sempre più importante analizzare i dati, approfondire le esperienze e capire le dinamiche in atto. Tra di esse appaiono particolarmente interessanti quelle legate alla valutazione degli effetti sociali generati dagli interventi di welfare aziendale. In linea di massima, fino a ora le attività e gli strumenti di monitoraggio legati a questo fenomeno si sono concentrati soprattutto su aspetti non strettamente sociali, come la dimensione economica, quella produttiva, quella dell’engagement e del clima aziendale. Oggi, in un momento in cui il welfare aziendale è sempre più diffuso e conosciuto, sembra ormai necessario aprire il dibattito circa la valutazione dell’impatto sociale generato dalle prestazioni e degli interventi ad esso ascrivibili. Soprattutto in un momento storico in cui molte organizzazioni e imprese stanno ripensando le proprie azioni per rispondere all’emergenza sanitaria e alle già evidenti conseguenze socio-economiche della pandemia da Sars-Cov-2.
Al lavoro per scoprire il legame tra welfare aziendale e valutazione d’impatto
Utilizzare l’impatto sociale per leggere il welfare aziendale significa, ad esempio, provare a comprendere l’efficacia di questo istituto per i lavoratori che beneficiano, rispetto alla retribuzione, grazie a uno schema fiscale di favore. Ma anche capire se sia possibile avere evidenze che giustifichino un rafforzamento delle agevolazioni previste, anche a fronte di minori entrate per l’Erario. E, ancora, se e come sia possibile promuovere l’integrazione tra differenti livelli di intervento creando sistemi di protezione che, nella società dell’incertezza, vadano a coprire nuove aree di bisogno, oggi scarsamente tutelate. La valutazione, come esercizio di analisi e di apprendimento, può aiutare a comprendere i punti di forza e di debolezza del welfare di natura occupazionale, fornendo degli strumenti preziosi per orientarsi meglio nella vorticosa crescita di questo settore.
Per queste ragioni Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica hanno dato vita ad un gruppo di lavoro – composto da Franca Maino e Valentino Santoni, del nostro Laboratorio, Federico Mento, Davide Dal Maso e Valentina Langella – al fine di contribuire ad alimentare tale dibattito. Il primo frutto di questa attività congiunta è la pubblicazione del Position Paper “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, presentato il 28 gennaio nel corso di un evento online (che può essere rivisto qui).
Il documento, oltre a ripercorrere sinteticamente lo sviluppo e l’evoluzione del welfare aziendale in Italia, riflette sulla diffusione della valutazione d’impatto sociale e propone alcune prime considerazioni sulle ragioni che fanno della valutazione d’impatto un elemento strategico per la realizzazione di piani di welfare aziendale.
Le pratiche di valutazione nelle imprese italiane: alcuni dati
Il Paper propone poi i risultati di una survey rivolta alle aziende italiane e finalizzata a individuare e analizzare le pratiche di valutazione di impatto sociale implementate dalle organizzazioni che adottano misure di welfare aziendale. L’indagine – che in totale ha raccolto 56 questionari validi – ha interessato organizzazioni di dimensioni e settori differenti.
Stando ai risultati emersi, anche se molte imprese prevedono strumenti per il monitoraggio delle misure di welfare aziendale, per quanto riguarda la misurazione dell’impatto sociale dei piani la strada da percorrere appare ancora molto lunga. Infatti, solo il 13% dei rispondenti (pari a 8 aziende) ha dichiarato di realizzare attività, perlopiù annuali, di valutazione dei piani di welfare aziendale in termini di effetti generati.
Le ragioni della mancata realizzazione di questo tipo di analisi e monitoraggio vanno ricondotte non tanto alla mancanza di interesse, ma principalmente alla percezione da parte delle aziende di non disporre ancora di adeguate conoscenze degli strumenti, soprattutto per la gestione interna del processo valutativo e, allo stesso tempo, anche una mancanza di risorse economiche per l’affidamento a un soggetto specializzato esterno.
Per coloro che invece realizzano azioni per la misurazione dell’impatto dei propri servizi, invece, sono ben chiari gli obiettivi di questa attività sia in ottica interna per la comunicazione con i beneficiari e la programmazione strategica, sia in ottica esterna per la comunicazione con gli altri stakeholder e per la rendicontazione. Allo stesso tempo, risultano ben definiti gli effetti che le aziende intendono misurare attraverso l’analisi dei benefici attesi per i lavoratori e l’azienda: senso di appartenenza, impegno e dedizione, produttività, capacità di attraction e di retention e impatto per il territorio e la comunità.
Per quanto riguarda le metodologie applicate per la misurazione degli impatti dei piani di welfare aziendale, le principali identificate dagli 8 rispondenti sono l’analisi costi-benefici e la Teoria del Cambiamento. L’analisi costi-benefici probabilmente viene utilizzata per quelle azioni che più facilmente possono essere monitorate da un punto di vista monetario e per le quali, quindi, è possibile misurare i benefici netti, risultanti dalla differenza fra il valore monetario dei benefici generati dalle azioni e i relativi costi sostenuti dall’azienda per realizzarli. Per quei servizi che invece generano impatti più qualitativi e più ancorati alla sfera delle percezioni, la Teoria del Cambiamento permette di monitorare il processo logico che porta ogni attività di welfare a esercitare un impatto sui propri beneficiari.
Infine, rispetto all’utilizzo dell’analisi dell’impatto sociale delle misure di welfare aziendale, appare interessante, il fatto che i rispondenti dichiarino che la restituzione dei risultati è, per la maggior parte dei casi, un documento ad uso interno (75%). Ciò pare dimostrare che si tratti di un fenomeno attualmente circoscritto al mondo aziendale, che le imprese e le organizzazioni includono nella propria strategia non rappresentando però ancora un vantaggio competitivo per le imprese nel territorio e rispetto ai loro stakeholder esterni.
La call to action rivolta a imprese, mondo del non profit e provider di welfare aziendale
Il Paper – che al suo interno contiene alcune indicazioni rivolte alle organizzazioni interessate al tema della valutazione dell’impatto del welfare aziendale – si conclude con una call to action rivolta alle a tutti quei soggetti che si occupano di welfare aziendale: dalle aziende ai provider, dalle organizzazioni di rappresentanza degli interessi ai fornitori di servizi, dai soggetti privati agli enti pubblici, fino ai centri di ricerca. La call intende proporre un percorso partecipato allo scopo di definire insieme delle linee guida che orientino e guidino le imprese nel definire e implementare piani di welfare aziendale tenendo conto delle ricadute per lavoratori e lavoratrici, gli stakeholder, i territori e possibilmente la cittadinanza allargata.
Tale percorso si pone l’obiettivo di favorire tra gli stakeholder interessati una opportunità di scambio e condivisione di pratiche e strumenti oltre che riflessioni volte a far emergere quali sono i fattori facilitanti e quali ostacolanti il ricorso alla valutazione d’impatto delle misure di welfare aziendale così da contribuire ad individuare le criticità su cui intervenire per rafforzare l’allineamento tra i bisogni dei lavoratori e l’offerta dei servizi. Vuoi manifestare il tuo interesse per la call to action e approfondire i suoi obiettivi? Clicca qui.