Lingua, cultura, etnia, discendenza: dai tempi di Fichte e del Regno di Prussia, la nazionalità tedesca è legata allo ius sanguinis. Per i «senza sangue» la naturalizzazione è sempre stata difficile. Chi nasce da genitori stranieri e vive in Germania può oggi ottenere il passaporto, ma alla maggiore età deve optare: o tedesco oppure cittadino del Paese di origine della propria famiglia. Le cose ora cambieranno. Nell’accordo di coalizione, i socialdemocratici hanno insistito per abolire il famigerato obbligo di opzione: sarà possibile la doppia cittadinanza. Per la Spd non è solo una questione di equità, ma anche di consenso. L’obbligo è malvisto dalla comunità turca: una minoranza di tre milioni di individui, in larga parte elettori della Spd. La Grande Coalizione porterà dunque una politica della cittadinanza più in linea con gli standard europei, che ormai si basano su qualche variante del cosiddetto ius domicilii: si diventa cittadini se si nasce nel Paese (o se ci si arriva in tenera età), se lì si cresce e si va a scuola. Anche nel Regno Unito, patria storica dello ius soli, nell’ultimo ventennio la nascita «sul suolo» non basta più: ci vogliono la residenza prolungata e l’integrazione scolastica.
Più incerti appaiono al momento gli orientamenti della Grande Coalizione su un altro tema scottante, che riguarda la cittadinanza europea ed in particolare l’accesso dei migranti Ue ai sistemi di welfare nazionali.Qualche mese fa, il governo Merkel, insieme ai governi inglese, austriaco e olandese, aveva scritto una lettera alla Commissione europea annunciando possibili misure restrittive nei confronti dei non nazionali, soprattutto quelli provenienti da Romania e Bulgaria. In base al diritto Ue, ciascun Paese membro deve garantire l’accesso alle prestazioni sociali a tutti i cittadini/lavoratori Ue. I quattro governi sostengono che questa norma incentiva il «turismo sociale» e la «migrazione dei poveri». La Commissione ha preparato un rapporto che dimostra come tali dinamiche siano in realtà estremamente contenute. Il governo inglese non sente però ragioni.
Il 27 novembre Cameron ha confermato l’intenzione, espressa già alcuni mesi fa, di limitare i diritti sociali di romeni e bulgari e forse persino il loro diritto d’ingresso, di fatto sfidando una norma primaria della Ue. Il premier inglese segue una logica politica: si sente infatti incalzato dal partito indipendentista Ukip, che vorrebbe portare il Regno Unito fuori dalla Ue. Che cosa farà ora la Germania? Anche Angela Merkel deve contenere l’avanzata delle formazioni euroscettiche in vista delle elezioni europee della prossima primavera. E la Spd, comunque, teme che i flussi migratori dall’Est Europa minaccino i posti di lavoro e i redditi di parte del proprio elettorato. Fonti del Financial Times hanno ieri confermato che Merkel resterà a fianco di Cameron e che persino la Francia potrebbe aggiungersi al fronte dei «protezionisti». Che David Cameron attacchi uno dei pilastri fondativi della costruzione europea è grave, ma la Ue ha da tempo imparato a convivere con gli «opt out» (esenzioni) inglesi. Se l’attacco venisse anche dalla Germania, l’Europa rischierebbe però di non reggere. Uno scenario su cui stendere, per il momento, un velo pietoso.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 28 novembre 2013, p.47.
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