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Nel Rapporto “False partenze” di Caritas sulla povertà e l’inclusione sociale in Italia emerge come il perdurare della crisi abbia condotto ad un aumento impressionante di povertà un tempo considerate marginali come, ad esempio, la povertà alimentare. Tuttavia, di fronte all’incremento delle richieste di aiuto per combattere la fame, le diramazioni territoriali della Caritas stanno cercando di capire le ragioni di questa situazione, intraprendendo strade innovative per rispondere ai bisogni dei più indigenti.


Lo stretto legame tra povertà alimentare e povertà economica

Riprendendo un approccio teorico sviluppato da Caritas Ambrosiana nei mesi scorsi, il Rapporto sottolinea come nel nostro Paese non sia in atto un’emergenza alimentare in senso stretto – imputabile ad una riduzione delle quantità di cibo disponibile – quanto un’emergenza economica che, a causa di una riduzione generale dei consumi, sta determinando significative conseguenze anche sul fronte alimentare.

L’aumento di persone che richiedono aiuti alimentari è dunque sintomo di un problema anzitutto di natura economica. Poiché alcuni costi sono difficilmente comprimibili – le bollette, l’affitto, le rate di un debito o di un mutuo – per far quadrare le spese si taglia laddove, pur con sofferenza, si può tagliare: istruzione, salute e, appunto, cibo. E così sempre più persone, strette nella morsa della crisi, rinunciano in toto o in parte agli acquisti alimentari, rivolgendosi poi a enti caritatevoli per sopperire a queste mancanze.

In questo senso i dati relativi a coloro i quali nell’anno passato si sono rivolti alla Caritas per un aiuto forniscono alcune indicazioni interessanti. Accanto a chi dichiarava di essere privo di reddito o di una qualche forma di entrata (28.5%), nel 2013 è aumentato soprattutto il numero di chi possedeva un “reddito insufficiente rispetto alle normali esigenze della persona” (47,4%).


Le risposte dei Centri di Ascolto della Caritas

Dal Rapporto emerge come nel corso del 2013 il 34% delle richieste di sostegno pervenute ai Centri di Ascolto (CdA) – le istituzioni della Caritas che si interfacciano con le persone bisognose – abbia riguardato beni e servizi materiali primari (prodotti per la casa, medicinali, abiti e beni alimentari) e come circa il 50% degli interventi effettuati dai CdA è stato rivolto a questo genere di bisogno. Più nello specifico, circa due terzi degli interventi inerenti beni e servizi primari hanno riguardato l’ambito alimentare. Il 47.1% dei richiedenti ha ricevuto aiuti alimentari sotto forma di pacchi viveri o altre modalità più o meno innovative di aiuto, il 12,5% ha potuto usufruire di uno o più pasti ad una mensa socio-assistenziale, il 4.3% di buoni pasto.

 

Figura 1: Interventi di erogazione beni e servizi primari presso i CdA, anno 2013 (% totale persone)
Fonte: False Partenze

In termini di progettualità sviluppate da Caritas si possono invece distinguere, da un lato, quelle che si mobilitano sul piano culturale per sensibilizzare le comunità sul corretto uso dei beni alimentari e, dall’altro, quelle orientate ad attivare processi e percorsi innovativi per il reperimento delle scorte alimentari da destinare ai poveri. In tema di sensibilizzazione sul corretto uso dei beni alimentari appare ad esempio significativa l’esperienza della Caritas di Savona, che propone corsi di cucina e gestione della spesa, o l’esperienza della Caritas di Caltagirone che organizza giornate di sensibilizzazione e raccolta di generi alimentari davanti ai supermarket presenti in diocesi.

Per quel che riguarda il secondo ambito, invece, sono diverse le esperienze di secondo welfare attive in varie parti del Paese. La Caritas di Vercelli, ad esempio si impegna a recuperare i pasti in disavanzo dalle strutture Asl per distribuirli poi agli ospiti dei dormitori. Ad Avezzano, attraverso il progetto “Lo spreco utile”, i prodotti prossimi alla scadenza della catena Coop vengono devoluti alle famiglie più svantaggiate o utilizzati nella mensa socio-assistenziale locale. Nella diocesi di Rieti quotidianamente si realizza una raccolta di prodotti avanzati da pizzerie e panifici del centro cittadino, con successiva distribuzione agli indigenti. Ad Arezzo vengono organizzate raccolte di prodotti alimentari in scadenza presso alcune catene di supermercati per poi utilizzarli all’interno dei servizi caritativi. A Catanzaro la Caritas diocesana interviene nella filiera del sostegno alimentare provvedendo a pagare l’affitto per il capannone utilizzato dalla Fondazione Banco Alimentare per conservare e distribuire il cibo raccolto.

I timori legati ai contributi europei

Nel Rapporto si sottolinea come la Caritas sia particolarmente preoccupata dal recente passaggio dal PEAD – il vecchio Programma per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti dell’Unione Europea – al FEAD, il nuovo Fondo di Aiuto che riunisce al suo interno anche altre forme di aiuto non strettamente alimentari (per approfondorire si veda anche “Il lungo percorso dal PEAD al FEAD” e “Dal Parlamento Europeo 3,5 miliardi contro l’indigenza“). Il PEAD per molti anni è stato la principale fonte di aiuto economico per le organizzazioni impegnate nel contrasto alla fame, e la sua recente chiusura ha destato non poche preoccupazioni.

Questa staffetta arriva infatti in un momento storico particolarmente drammatico, in cui i bisogni alimentari risultano in costante aumento e in cui anche gli enti caritativi più solidi riscontrano crescenti difficoltà nel rispondere alle crescenti richieste di aiuto. Al di là dell’incertezza sugli importi monetari che saranno destinati al nostro Paese (probabilmente inferiori a quelli finora garantiti col PEAD) a destare preoccupazione sono soprattutto i tempi in cui si realizzerà il passaggio.

L’Unione Europea chiede infatti che entro la fine dell’anno in corso gli Stati Membri interessati a partecipare al fondo forniscano un Piano nazionale – condiviso e concordato con enti caritativi e Regioni – che dovrà poi essere sottoposto all’approvazione in sede europea. In caso di approvazione del Piano spetterà all’amministrazione nazionale (presumibilmente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) aprire un bando per l’accesso dei soggetti erogatori, che dovrà nuovamente avere un ultimo via libera da Bruxelles. I tempi effettivi dell’intera operazione appaiono quindi incerti e presumibilmente lunghi, e molti enti potrebbero ritrovarsi senza risorse adeguate nel momento in cui le erogazioni del PEAD ancora in essere si esauriranno.

 

Riferimenti

“False Partenze”, rapporto Caritas 2014 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia


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