Come già accaduto lo scorso anno, la Legge di Bilancio del 2021 non ha previsto novità in materia di welfare aziendale. Inoltre, al contrario di quanto era trapelato nelle settimane scorse, anche il Decreto Milleproroghe non prevede interventi che aggiorneranno la normativa che regolamenta le prestazioni sociali realizzate dall’azienda a favore dei dipendenti. Questo significa che nel 2021 il settore non subirà cambiamenti? Gli effetti della pandemia indicano che non sarà così e, anche in assenza di interventi normativi, le novità potrebbero essere numerose. Proviamo a vederle insieme.
La Manovra 2021 e il welfare aziendale
Come riportato dal sito Kong News, fino a pochi giorni prima della sua approvazione definitiva, la Manovra di Bilancio 2021 (Legge 178/2020) conteneva alcune proposte interessanti in tema di welfare aziendale.
In primo luogo, era ipotizzata la proroga anche per l’anno in corso dell’aumento del tetto dell’esenzione fiscale dei fringe benefit (deciso come misura straordinaria ad agosto 2020) da 258,23 euro a 516,46 euro (ve ne avevamo parlato in questo approfondimento). Inoltre, si era parlato a più riprese di un emendamento sul tema della mobilità sostenibile che avrebbe dovuto introdurre, all’articolo 51 comma 2 del Tuir, una lettera “d-ter” allo scopo di ampliare l’agevolazione fiscale anche alle somme destinate all’acquisto, al noleggio e alla fruizione condivisa di auto, moto, biciclette e altro ancora.
L’intento era dunque quello di legare ancora di più il tema della mobilità alla “questione” del welfare aziendale, come già fatto – seppur marginalmente – con il DL Rilancio, che ha reso obbligatoria per molte grandi aziende la presenza del Mobility Manager (ne avevamo parlato qui). Sul tema, come detto, alla fine non se ne è fatto nulla.
Se la Legge di Bilancio non tratta direttamente di welfare aziendale, tuttavia, come sottolineato da Giovanni Scansani su WeWelfare, una opportunità per il consolidamento della contrattazione del welfare arriva dal comma 870. Questa voce della Manovra prevede che “le risorse destinate […] a remunerare le prestazioni di lavoro straordinario […] non utilizzate nel corso del 2020, nonché i risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati nel medesimo esercizio […], possono finanziare nell’anno successivo, nell’ambito della contrattazione integrativa […] i trattamenti economici accessori correlati alla performance e alle condizioni di lavoro, ovvero agli istituti del welfare integrativo”. In questo modo molte organizzazioni potrebbero avere la possibilità di sperimentare (o rafforzare) forme di welfare contrattato anche attraverso risorse differenti dal Premio di Risultato.
Quali strade per il welfare aziendale nel 2021?
Nonostante la presenza di questo comma però la mancanza di interesse dell’agenda politica verso il welfare aziendale appare evidente. In merito, anche Emmanuele Massagli, presidente di AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), ha recentemente affermato in un’intervista a Fortune Italia che “il welfare aziendale evolve e diventa sempre più sociale. È proprio questa natura sociale del welfare aziendale che deve essere compresa e valorizzata dal Legislatore. Quel che occorre sono politici che ne comprendano funzioni e finalità, parlando con le aziende, i consulenti del lavoro, i sindacati, i provider. Basta un serio dialogo con la realtà per comprendere gli spazi di miglioramento del welfare aziendale”.
Anche chi scrive sostiene che sarebbe stato cruciale rafforzare la normativa in questione e, di conseguenza, tentare di promuovere il ruolo sociale delle imprese del nostro Paese. Nell’attuale contesto di emergenza generato dalla pandemia da Covid-19, il welfare aziendale può infatti rappresentare uno strumento rilevante su più fronti. In primo luogo rimane un’opportunità sul piano sociale, dato che – in un’ottica di secondo welfare – riesce a integrare il sistema pubblico (in merito si guardi ad esempio alle azioni avviate dalle imprese italiane nel corso del lockdown e delle fasi più dure dell’emergenza).
Inoltre, come sottolineavamo in questo articolo, il welfare aziendale genera anche esternalità sul piano economico perché consente di mettere in circolo risorse “fresche” per alcuni settori strategici per il nostro sistema (come quello dei servizi). Bisogna infatti ricordare che, al contrario della normale retribuzione, le cifre destinate al welfare aziendale non possono “andare a risparmio” e di norma devono essere spese dai lavoratori entro l’anno fiscale di riferimento.
Le misure e le prestazioni di welfare sono poi divenute strategiche per il dialogo tra le parti sociali e, di conseguenza, per la promozione di formule innovative sul piano della contrattazione (a tutti i livelli). Infine, soprattutto quando collegato con progettualità di natura territoriale (qui per approfondire), il welfare aziendale può divenire sempre più rilevante per quel che riguarda lo sviluppo sostenibile. Il welfare aziendale è infatti un’innovazione che si combina in maniera profonda con alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, come le questioni del lavoro dignitoso (Goal 8), dell’innovazione aziendale (Goal 9) e della conciliazione e parità di genere (Goal 5).
Alcune proposte per il futuro
Per tutte queste ragioni, e alla luce delle grandi pressioni che la pandemia sta avendo sul nostro sistema economico e sociale, appare auspicabile incentivare la diffusione e l’utilizzo di quelle prestazioni di welfare aziendale che hanno una concreta ricaduta sociale, possibilmente distinguendole chiaramente dai benefit accessori o comunque legati al tempo libero e rendendone più semplice l’utilizzo. In questo modo il Legislatore avrebbe anche la possibilità di ampliare il paniere di misure defiscalizzate, senza che questo generi nuove spese per l’Erario.
In questa direzione si fa riferimento in particolare agli interventi legati alla conciliazione vita-lavoro, dalle formule per l’assistenza agli anziani e ai disabili, fino alle misure per il sostegno ai genitori. Negli anni scorsi la normativa ha ampliato molto i possibili margini di manovra su questi fronti, ma permangono ancora molte complessità (soprattutto a causa della natura puramente fiscale della legge) che dovrebbero essere superate. In merito Percorsi di secondo welfare ha cercato di avanzare una serie di proposte contenute nel Position Paper “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale” realizzato insieme a Sovial Value Italia, Avanzi e Altis – Università Cattolica.
Specialmente in questa fase di incertezza, appare inoltre sempre più strategico promuovere la creazione di reti di aziende e/o multi-stakeholder volte a favorire la diffusione del welfare anche nelle micro e piccole imprese e, dall’altro, a promuovere la nascita di progetti di welfare aziendale territoriale o interaziendale. Recentemente vi abbiamo ad esempio parlato delle esperienze della Rete EuGENIOdi Mantova e del progetto Beatrice avviato dall’Ambito della Valle Seriana; meno di recente abbiamo riportato altre inziaitve di questa natura, come quella dell’Alto Milanese e del progetto Valoriamo di Lecco.
In questo modo si sostengono formule aggregative che consentono di dar vita a progettualità capaci di ridurre le criticità intrinseche del welfare aziendale, favorire economie di scala tarate sulle esigenze dell’ecosistema locale, aggregare la domanda allargando la platea dei potenziali beneficiari, promuovere un riposizionamento dei soggetti in gioco senza perdere di vista la dimensione solidale che il secondo welfare oggi è chiamato a svolgere con ancora più urgenza.