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Il 15° Rapporto Giorgio Rota contiene gli esiti di un’indagine ad ampio spettro sulle vulnerabilità (vecchie e nuove) nelle metropoli italiane dalla quale emergono con maggior chiarezza diverse emergenze sociali in atto: dalla distribuzione ineguale delle risorse al problema della casa, dal crescente fenomeno degli homeless agli alti livelli di disoccupazione. Proponiamo di seguito una sintesi dei principali risultati.

Ricchi e poveri

Una prima considerazione che emerge dalla pagine del Rapporto riguarda la distribuzione delle risorse. L’indice di Gini (che rileva la concentrazione di ricchezza in ogni territorio) evidenzia, ad esempio che, sia a livello internazionale sia nazionale, più è elevato il benessere economico complessivo più si riducono le distanze sociali. Anche nel nostro Paese, i valori massimi di diseguaglianza si registrano nelle province più povere – quelle meridionali – quelli minimi nelle zone maggiormente benestanti come Lombardia, Emilia e Veneto. Il dato più preoccupante riguarda l’aumento delle diseguaglianze registrato quasi ovunque in Italia nell’ultimo decennio. Lo stesso vale per la povertà assoluta, problema particolarmente grave soprattutto nel Mezzogiorno (ma vi sono regioni italiane – come il Piemonte – in cui si registrano negli ultimi 5 anni i maggiori aumenti di poveri a livello europeo).
 

Figura 1: Quota di abitanti in condizioni di grave privazione materiale (clicca per ingrandire)

Fonte: 15° Rapporto Giorgio Rota, dati Eurostat

Molte testimonianze di operatori – emerse dalle interviste qualitative realizzate per il Rapporto Rota – forniscono uno spaccato realistico di come stiano crescendo sia la vulnerabilità sociale sia la domanda di aiuto sociale:
 

“La richiesta è cambiata sia in quantità, sia in qualità: negli ultimi due anni in alcuni luoghi c’è stato un raddoppio di utenti; è andato incrementandosi il numero dei soggetti in vulnerabilità, i nuovi poveri, i più diretti figli della crisi” 
(responsabile del volontariato).

“Una volta, detto in modo un po’ brutale, c’era anche una categoria di persone che non aveva voglia di lavorare, adesso c’è un aumento di persone – come le madri sole con un minore – che hanno un affitto da pagare e un lavoro da 500 euro part-time, oppure vengono pagate 3 euro all’ora; è gente quindi che un reddito se lo procura, ma insufficiente” 
(consorzio socioassistenziale).

“Più in generale, sta anche aumentando una richiesta di “beni immateriali”, di fraternità: moltissimi disoccupati dicono che la cosa che patiscono di più è essere estromessi dalle reti relazionali, quelle solite, dei compagni di lavoro, ma anche del contesto nel quale vivono” 
(cooperativa sociale).

Il problema della casa

Parallelamente alla crescita della povertà aumenta anche la quota di famiglie che, non riuscendo più a pagare le rate dell’affitto, subisce uno sfratto. In molti contesti metropolitani, il problema è fortemente aumentato negli ultimi anni, talvolta in modo decisamente drammatico: a Milano, ad esempio, l’incidenza degli sfratti è triplicata tra il 2006 e il 2010.


Figura 2 – Incidenza dei provvedimenti di sfratto nelle metropoli italiane
ogni 1.000 famiglie in affitto
 
Fonte: 15° Rapporto Giorgio Rota, elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

Le politiche locali per l’abitazione sviluppate in Italia negli ultimi decenni – similmente ad altri paesi europei meridionali – hanno puntato soprattutto a sostenere fiscalmente l’acquisto dell’abitazione, mentre sono state decisamente più deboli tanto il sostegno alla locazione quanto i piani per l’edilizia popolare. A Torino si registra il primo caso italiano di un fondo “salva sfratto”, promosso dal Comune nel 2012 e finanziato dalle due fondazioni bancarie cittadine con un milione di euro, oltre che dal consorzio intercomunale torinese con 400.000 euro. Ne possono beneficiare famiglie sfrattate, il cui reddito dell’ultimo anno sia molto ridotto e non superi i 26.000 euro e che abbiano un membro anziano, minorenne o invalido. Il fondo rimborsa parte del debito contratto dagli inquilini (ad esempio pari al 50% se il reddito familiare non supera i 15.000 euro, al 90% se il reddito non supera gli 8.000 euro).

Vi sono poi coloro che la casa la perdono in modo definitivo, gli homeless. Da una recente ricerca Caritas – Istat emerge ad esempio che il fenomeno dei senza dimora riguarda in misura maggiore gli stranieri (che sono oggi pari al 59,4% degli homeless) e che sta coinvolgendo sempre più persone a elevata istruzione e giovani. Il 35% dei senza casa è diplomato o laureato, il 31,8% ha meno di 35 anni, l’84,7% vive per strada da meno di quattro anni. Inoltre il 28,3% degli homeless lavora: si tratta dei cosiddetti working poor, per quasi un sesto con un lavoro stabile, per il resto precari e occupati a termine. Si conferma la pericolosità di alcuni eventi-frattura: per il 61,9% degli homeless l’evento scatenante la discesa sociale è stato la perdita del lavoro, nel 59,5% dei casi la separazione, nel 16,2% una grave malattia.

In alcuni contesti metropolitani il problema si presenta con una rilevanza particolarmente accentuata: a Milano, in particolare, vi sono 107 homeless ogni 10.000 abitanti, valore nettamente superiore a quelli registrati altrove: Palermo 58, Firenze 54, Roma 30, Bologna 27, Torino 16, Napoli 9. In diverse città il numero di richieste ai dormitori pubblici eccede le disponibilità, così il 41% degli homeless deve dormire per strada almeno una volta al mese, il 26,7% in stazione (26,7%), il 22,8% in auto o roulotte, il 22,7% in baracche o case abbandonate.

Gli effetti sulla salute

Le ricerche degli ultimi decenni convergono nell’individuare un legame tra condizioni economiche e stato di salute psicofisica. Da questo punto di vista, è diffusa tra gli operatori la preoccupazione che, in tempo di crisi, le condizioni sanitarie di ampie fasce di popolazione possano deteriorarsi, anche a causa di un peggioramento quali-quantitativo del cibo consumato. A Torino, ad esempio, il quarto più povero della popolazione ha ridotto i suoi consumi alimentari, spendendo per il cibo nel 2012 il 56% in meno rispetto alla media dell’intera popolazione cittadina, tagliando soprattutto verdura e pesce. Inoltre, tra il 2008 e il 2013, il 17% ha ridotto le proprie spese mediche; ma già prima della crisi, ad esempio, il 39,2% degli anziani torinesi faceva fronte con estrema difficoltà alle spese mediche e farmaceutiche.

Le famiglie vulnerabili, tra l’altro, si curano meno non solo per problemi economici, ma anche perché faticano maggiormente a districarsi nella burocrazia sanitaria – tra CUP, liste d’attesa, ecc. – a conferma del fatto che spesso la salute è minata anche dalla povertà culturale, ovvero dal possedere meno strumenti per fare valere i propri diritti di cittadinanza.

Di fronte a tali crescenti difficoltà, risposte innovative emergono soprattutto dal privato sociale. A Torino, ad esempio, l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo ha stipulato di recente con Farmaonlus convenzioni per favorire le famiglie povere nell’acquisto di medicinali. Diverse associazioni di volontariato curano gratuitamente le persone bisognose: ad esempio, l’associazione “Camminare Insieme” in vent’anni ha avuto oltre 100.000 pazienti (soprattutto per odontoiatria e ginecologia), l’associazione “Protesi Dentaria Gratuita” dal 1987 cura gratuitamente homeless e persone segnalate dai servizi sociali (circa 5.000 ogni anno), presso gli “Asili Notturni Umberto I” operano gratuitamente una sessantina di medici e dentisti, oltre a una decina di psicologi, assistendo oltre 4.000 pazienti ogni anno, al “Sermig” un’ottantina di professionisti volontari effettuano circa 6.000 visite all’anno.

Il lavoro che manca (soprattutto per alcuni)

La situazione occupazionale, come noto, è particolarmente grave tra i giovani: nell’area Ocse, l’Italia ha infatti contemporaneamente il più elevato tasso (49,7%) di disoccupazione giovanile di lungo periodo – cioè di durata superiore a un anno – e il maggiore rapporto (pari a 3,3 volte tanto) tra disoccupazione giovanile e generale. La gravità della condizione giovanile nel nostro Paese è esplosa con la crisi globale: dal 2008 in poi, in particolare, i trend della disoccupazione giovanile e di quella generale hanno cominciato a divaricarsi in misura crescente, ben oltre quanto si fosse verificato in passato.

Tanto in Italia quanto nell’area torinese, infatti, mentre il tasso di attività di cinquantenni e sessantenni è cresciuto, quello degli under 35 è crollato; tale tendenza, già evidente prima della crisi, s’è ulteriormente rafforzata nel periodo più recente.Di fronte a questo quadro critico, il sistema dei servizi finalizzati a far incontrare domanda e offerta di lavoro risulta sempre meno efficace: il rilievo dei Centri pubblici per l’impiego rimane in Italia del tutto marginale rispetto ad altre agenzie di intermediazione, ma soprattutto rispetto a un mercato che appare sempre più caratterizzato, da un lato, dal ruolo centrale delle reti di amici e parenti, dall’altro dal crollo dei concorsi pubblici.

Una recente indagine dell’Isfol ha scoperto che, tra coloro che hanno cominciato a lavorare negli ultimi dieci anni, il 39,3% ha trovato lavoro grazie ad amici e parenti (contro il 28% di dieci anni prima), il 18,9% presentando la propria autocandidatura a potenziali datori di lavoro, il 10,9% attraverso agenzie private di intermediazione, il 7,6% partecipando a concorsi pubblici (contro il 27,3% di dieci anni prima), il 3,3% con annunci sulla stampa e solo il 2,9% grazie a centri per l’impiego pubblici. Non stupisce, quindi, che nel nostro Paese la fiducia nei centri per l’impiego sia più bassa che altrove. In Italia, vi si rivolge il 33,5% dei disoccupati, meno che in altri paesi europei: Olanda 44,7%, Portogallo 45,4%, Regno Unito 57,1%, Francia 59,4%, Svezia 62,9%, Grecia 64,8%, Germania 79,3%.

Figura 3: Tassi di disoccupazione giovanile e generale in Italia

Fonte: 15° Rapporto Giorgio Rota, dati Orml Regione Piemonte e dati Istat

Riferimenti

Semi di fiducia. 15° Rapporto Giorgio Rota su Torino


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