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Nel settembre 2015, durante l’annuale discorso sullo Stato dell’Unione, il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Junker, ha lanciato una nuova iniziativa denominata "Pilastro Europeo dei Diritti Sociali" (PEDS). Lo scopo dichiarato del Pilastro è di promuovere un percorso di "convergenza sociale verso l’alto" (upward social convergence) tra gli Stati membri, da realizzarsi dapprima all’interno dell’Eurozona e successivamente con riferimento all’intera Unione europea. La Commissione si è posta un duplice obiettivo. Innanzitutto, il Pilastro è stato pensato come quadro di riferimento per i modelli di welfare nazionali chiamati a far fronte alle nuove sfide poste dalla contemporaneità (quali per esempio l’automazione del lavoro, l’invecchiamento demografico, la digitalizzazione e globalizzazione dell’economia). In secondo luogo, il PEDS è stato proposto allo scopo di aggiornare la legislazione europea in tema di politiche sociali e del lavoro (il cosiddetto “social acquis”). Entrambi questi obiettivi sono accomunati dal tentativo di ridurre lo squilibrio tra dimensione economica e dimensione sociale del processo di integrazione europea e, per questa via, di affrontare il crollo nella percezione della legittimità dell’Unione europea (Ue), aggravatasi a seguito della recente crisi economica e finanziaria, della Brexit e della difficile gestione dei flussi dei migranti.

La Commissione si è spesa per la promozione del Pilastro nei diversi Stati Membri e a livello sovranazionale, sin dall’annuncio di tale iniziativa. Nel corso del 2015, è stato condotto un ampio processo di consultazione con i governi nazionali, gli stakeholders e i cittadini, al fine di raccogliere prime impressioni, suggerimenti e aspettative riguardo al futuro del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Sulla scorta di questa consultazione, la Commissione europea ha pubblicato nel mese di marzo 2017 una serie di documenti (17 in totale). Tra questi possiamo menzionare, oltre alla bozza della proclamazione inter-istituzionale sul PEDS e a una raccomandazione che ne riprende il testo, un rapporto di riflessione sulla dimensione sociale dell’Unione europea, una proposta di direttiva sul bilanciamento tra attività lavorativa e vita familiare e due documenti di accompagnamento relativi alla consultazione delle parti sociali sulla direttiva inerente condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, e su una possibile azione in materia di accesso alle tutele sociale per tutti i lavoratori.  L’adozione della proclamazione inter-istituzionale avvenuta nel vertice europeo di Göteborg nello scorso mese di novembre rappresenta dunque uno dei primi passi formali verso l’effettiva creazione di un Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

Nello specifico, la proclamazione identifica una lista di 20 principi e diritti, sussunti sotto tre distinte aree: uguali opportunità, pari condizioni lavorative, protezione e inclusione sociale. Tali principi e diritti coprono sia aree dove l’UE possiede un’esplicita competenza legislativa (per esempio le pari opportunità, l’eguaglianza di genere e la sicurezza sul posto di lavoro), sia in aree dove l’UE ha finora esercitato una competenza limitata (per esempio il diritto a un’abitazione dignitosa e l’assistenza ai senza fissa dimora).


La proclamazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali: che cosa possiamo aspettarci?

L’accordo inter-istituzionale siglato nel vertice di Göteborg dai Presidenti del Consiglio dell’Unione europea, della Commissione e del Parlamento europeo è stato accolto dalla stampa e da molti commentatori con un certo scetticismo (si vedano David Rinaldi, Philippe Pochet, John Weeks e Dimitris Papadimoulis). La critica principale ha riguardato il rischio di inconsistenza di tale iniziativa e la sua incapacità di produrre effetti concreti nel breve-medio periodo, finendo di fatto con l’accendere speranze poi sistematicamente disattese. Non sono comunque mancate alcune valutazioni più ottimistiche che colgono nel Pilastro un chiaro segnale di svolta nel discorso europeo sui diritti sociali o perlomeno un’opportunità di cambiamento che, se opportunamente sfruttato, potrebbero innescare dinamiche al momento inattese (si veda ad esempio Frank Vandenbroucke, Zane Rasnaca, Claire Courteille-Mulder e Juan Menéndez-Valdés, Maurizio Ferrera e Franca Maino).

Il testo finale della proclamazione è il risultato di mesi di lunghe negoziazioni volte a trovare un compromesso tra diverse esigenze emerse durante la consultazione. In particolare, la proclamazione può essere vista come tentativo di conciliazione tra, da un lato, la volontà degli Stati membri di salvaguardare la propria autonomia contro possibili interferenze dell’Unione nella sfera sociale nazionale e, dall’altro, la necessità di evitare di annacquare completamente il valore della stessa proclamazione inter-istituzionale.

Per esempio, chiare evidenze di questo compromesso emergono nel preambolo del testo di Göteborg. In questa parte viene ribadita la funzione del PEDS sia nel riaffermare diritti sociali già presenti nell’acquis comunitario, sia nell’aggiungerne di nuovi, prevedendo a tal fine l’adozione di misure legislative a livello appropriato. Allo stesso tempo, il preambolo ricorda come lo scopo del Pilastro non possa che essere chiaramente limitato ai “poteri e compiti attuali dell’Unione, come conferiti dai Trattati”, senza implicarne una possibile estensione. Infine, la sua implementazione necessita l’adozione di misure dedicate (legislative e non) che devono tener conto delle differenze culturali, socio-economiche, nonché rispettare la sovranità nazionale nell’ambito delle politiche sociali. Tali misure non devono altresì mettere in discussione gli equilibri finanziari degli stessi Stati membri.

Questa duplice esigenza del Pilastro, da un lato, di rilanciare la dimensione sociale dell’UE e, dall’altro, di preservare l’autonomia degli Stati Membri, potrebbe essere letta come un forte limite al potenziale stesso di tale iniziativa. Ciò nonostante, non è detto che l’accordo inter-istituzionale rimanga un documento privo di valore. Zane Rasnaca, a tal proposito, mette in rilievo il ruolo che la Corte di Giustizia potrebbe avere, richiamando nelle sue pronunce tanto la proclamazione del PEDS quanto la relativa Raccomandazione della Commissione. In altre parole, nonostante entrambi i documenti menzionati siano da considerarsi come strumenti di soft law non vincolanti, essi potrebbero dunque in futuro produrre effetti giuridici, come è già avvenuto in passato con riferimento alla proclamazione della Carta europea dei diritti fondamentali e ad alcune raccomandazioni.

Lo stesso riferimento alla Carta europea dei diritti fondamentali nel preambolo della proclamazione di Göteborg porta inoltre ad auspicare che anche il PEDS possa essere successivamente incorporato nei Trattati, conferendone maggiore forza. Se così fosse, esso non si limiterebbe a estendere e specificare l’interpretazione dei diritti sociali già sanciti nella Carta, ma ne amplierebbe la lista prevedendo ad esempio il diritto a un eguale accesso alla protezione sociale per tutti i lavoratori a prescindere dal tipo di contratto di lavoro, il diritto a salari equi che garantiscano standard di vita dignitosi e il diritto per i minori svantaggiati a un adeguato percorso di formazione e inserimento.

Al di là della possibile rilevanza giuridica della proclamazione inter-istituzionale, è necessaria una chiara volontà politica affinché il PEDS possa tradursi in qualche risultato tangibile. Quest’ultima sembra tuttavia ancora mancare sia da parte degli Stati membri, sia della stessa Commissione Junker. Colto da questa prospettiva, il Social Summit di Göteborg potrebbe apparire nulla di più che un semplice tentativo di mostrare di aver “fatto qualcosa”, senza riuscire a produrre alcun cambiamento significativo e soprattutto nessun concreto ribilanciamento dei profondi squilibri tra priorità economiche e performance sociali nell’UE.

A questa prospettiva, se ne aggiunge un’altra, di segno opposto. Il vertice europeo di Göteborg può essere interpretato come un "momento politico", fortemente voluto dalla Commissione, che ha aperto alla possibilità di influenzare le dinamiche tra e all’interno degli Stati membri e creato alcune premesse che potrebbero portare anche a conseguenze inaspettate. Per meglio cogliere tale prospettiva, occorre però superare la classica contrapposizione che traspare nei giudizi sul Pilastro Europeo dei Diritti Sociali tra (mancato) strumento di hard law e vano meccanismo di soft law. È necessario infatti guardare a quest’ultimo come a una nuova opportunità che potrebbe contribuire a strutturare meglio l’esercizio concreto di diritti sociali spesso formalmente esigibili, ma troppo debolmente realizzati. Se adottassimo questo diverso punto di vista, potremmo ribaltare il classico quesito sull’utilità diretta del Pilastro sociale, indirizzando la riflessione su come una pluralità di attori possano concorrere a far sì che nei fatti i diritti sanciti dal Pilastro siano poi effettivamente declinati e non solo proclamati. Ed è proprio da questa prospettiva che può essere inquadrato il ruolo del Secondo Welfare come uno dei possibili "bracci armati" dell’accordo inter-istituzionale di Göteborg.

Il contributo del secondo welfare al Pilastro Europeo dei Diritti Sociali

In tal senso, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, più che rivolgersi solamente alle istituzioni europee e ai governi riuniti in consessi sovranazionali, potrebbe essere inteso come una "bussola" di riferimento per l’adozione di misure volte a realizzare in modo sostantivo un’upward social convergence da parte di una pluralità di attori a livello statale e sub-statale, sia di natura pubblica, sia privata. In altre parole, il Pilastro dovrebbe fornire una solida base condivisa (uno zoccolo duro, ovvero un "socle", come direbbero i francesi) a cui far riferimento per l’attuazione di specifiche misure che, dal livello locale fino a livello sovranazionale, potrebbero essere indirizzate a concrete ed effettive forme di ribilanciamento della sfera economica e sociale che la globalizzazione delle economie e alcune delle attuali regole della governance macro-economica europea mettono fortemente a rischio.

In sostanza, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali dovrebbe rappresentare un quadro di riferimento a cui appellarsi esplicitamente e ripetutamente affinché determinati diritti sociali possano essere non solo sanciti da accordi inter-istituzionali, tratti internazionali o costituzioni, ma resi localmente esigibili. Si pensi ad alcuni diritti solennemente proclamati a Göteborg quali l’apprendimento lungo tutto il corso della vita, il diritto a una pronta ed efficace assistenza alla ricerca di un lavoro, a una corretta e trasparente informazione sulla tutela dei propri diritti, alla valorizzazione del dialogo sociale, alla prevenzione e al contrasto della povertà minorile, all’inclusione delle persone. O ancora il diritto a servizi adeguati ed economicamente abbordabili per le persone non autosufficienti, all’assistenza ai senza fissa dimora e alla promozione di forme di social housing e infine all’accesso a servizi essenziali (dall’acqua ed energia elettrica fino ai servizi digitali).

Si tratta di alcuni fra i diritti indicati dal nuovo Pilastro europeo la cui concreta esigibilità può comportare anche una valorizzazione delle iniziative di economia sociale e di secondo welfare, a supporto della fondamentale e imprescindibile azione del pubblico. Per essere veramente solido il Pilastro necessita infatti di essere declinato in progetti e misure concrete. In altre parole, esso necessità di strumenti portanti e impalcature che lo sorreggano. A loro volta, queste strutture abbisognano di una qualche idea o visione per poter essere ben assemblate. Ed è proprio ciò che la proclamazione di Göteborg ha cercato di fare, fornendo un quadro di riferimento condiviso a livello sovranazionale. Ma per far sì che la visione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali possa essere presa seriamente in considerazione, essa va ripetutamente invocata come guida e movente all’azione e ricondotta a concreti sforzi di traduzione che chiamano in causa una pluralità di soggetti a differenti livelli di governo.

Certamente vi è il rischio che si realizzi un effetto "boomerang", tale per cui l’appello al Pilastro rimanga solo lanciato nel vuoto. Per questo, le risorse politiche ed economiche necessarie per la sua traduzione dovranno essere scovate e poi (ri-)generate a tutti i livelli opportuni. Questo vale sia con riferimento al primo, sia al secondo welfare, dal momento che quest’ultimo non può limitarsi a essere uno strumento di accompagnamento alla contrazione dell’intervento pubblico.

Se però il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali vorrà diventare nel tempo qualcosa di tangibile per tutti i cittadini, ciò che occorre è una sua attivazione "dal basso" ("grass root level"), ovvero a partire dalla società civile. Solo così il Pilastro riuscirà a trovare quella linfa necessaria a conferirne effettiva importanza e salienza e ad alimentarlo nel tempo come imprescindibile punto di riferimento per l’azione.