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Fondazione Cariplo ha lanciato il Programma QuBì, un’imponente iniziativa di contrasto alla povertà per la città di Milano. All’iniziativa hanno già aderito – in qualità di partner finanziatori – Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Fiera Milano e Fondazione Invernizzi. Il programma si concentra in particolare sulla povertà infantile e alimentare e sui nuclei familiari fragili ed esposti a vulnerabilità ed esclusione sociale. Attraverso l’elaborazione di strategie comuni ad attori pubblici e privati, e con l’aiuto di una complessa analisi dei dati, il programma QuBì si propone di mettere le basi per una risposta strutturale alla povertà a Milano.

QuBì, lanciato alla fine del 2017, ha conosciuto una prima tappa fondamentale la scorsa primavera con la pubblicazione della call “Al bando le povertà!”. I progetti selezionati dal bando sono entrati a settembre nella fase progettuale, mentre l’avvio è previsto per gennaio 2019.

Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Monica Villa, vice-direttrice dell’area Servizi alla Persona di Fondazione Cariplo, per farci raccontare l’evoluzione del programma QuBì e delle varie azioni che lo compongono. In questa prima intervista vi raccontiamo gli sviluppi della call “Al bando le povertà!”.

La fase di selezione di “Al bando le povertà!” si è conclusa e sono già iniziati gli incontri di quartiere. Potresti raccontarci qualcosa degli obiettivi del bando e della sua implementazione?

Con il Programma QuBì abbiamo l’ambizione di facilitare un lavoro integrato di tutti i soggetti che a Milano si occupano di povertà. Riunirli intorno a un tavolo sarebbe però impossibile, anche perché avremmo dovuto affittare San Siro, tanto le realtà sono numerose! Inoltre, nell’elaborare il Programma, ci stiamo facendo guidare dall’idea del primario benessere del minore, consapevoli del fatto che esistono varie forme di povertà. Perciò ci sembra importante coinvolgere non solo chi si occupa direttamente di povertà, ma anche, ad esempio, il mondo dell’associazionismo sportivo e culturale. Poiché coinvolgere tutti questi attori a livello cittadino sarebbe stato molto complesso e probabilmente poco efficace, abbiamo pensato di lavorare a livello di quartiere.

Con “Al bando le povertà!” abbiamo invitato tutte le organizzazioni attive localmente a far emergere le iniziative già attuate per contrastare la povertà; allo stesso tempo abbiamo lanciato una riflessione su come mettere in evidenza e in rete gli interventi già esistenti, cercando di individuare sovrapposizioni e lacune del sistema locale. Nel contesto locale abbiamo poi valorizzato molto il ruolo del Comune, proprio per favorire un coordinamento tra le varie misure – in particolare il REI – e per promuovere una relazione sempre più collaborativa tra Terzo Settore e attore pubblico.

Il bando era rivolto a tutti i quartieri di Milano?

Sebbene tutti i quartieri potessero partecipare, abbiamo individuato alcuni quartieri come prioritari e principali percettori delle risorse messe a bando, in quanto in questi contesti abbiamo registrato un’incidenza più alta delle famiglie in povertà. L’individuazione dei quartieri è avvenuta sulla base di un’analisi georeferenziata della distribuzione delle misure pubbliche di sostegno al reddito (analisi condotta con la collaborazione del Comune di Milano sui dati del 2016) che ci ha permesso di capire in quali zone vivono le persone più povere. Abbiamo poi letto i dati legati alle domande di REI accolte nei singoli quartieri; allo scopo di raccogliere anche la percezione di povertà da parte delle persone e delle famiglie abbiamo tenuto conto delle domande di REI presentate (e non accolte). Questo lavoro di rielaborazione quantitativa, che ha permesso di produrre degli indici di misurazione della povertà nei quartieri milanesi, è stato poi condiviso con i servizi sociali territoriali per un approfondimento di tipo qualitativo. Abbiamo quindi chiesto alle assistenti sociali di ogni municipio di rileggere i dati quantitativi alla luce della loro esperienza e della loro conoscenza dei bisogni e delle risorse dei propri territori di riferimento. Abbiamo così individuato una ventina di quartieri prioritari.

Abbiamo chiesto fin dall’inizio una forte attivazione da parte dei soggetti locali, che comprendesse già una lettura del territorio, una prima emersione delle iniziative in campo e la proposta di una “ricetta di quartiere” per contrastare la povertà. Un primo ottimo risultato raggiunto è che quasi tutti i quartieri si sono impegnati a proporre un unico progetto basato su una sola rete ampia (composta da pubblico, Terzo Settore, parrocchie, mondo dell’associazionismo, eccetera). Sono state presentate 27 ricette di quartiere tra cui sono state selezionate 23 proposte che copriranno, anche attraverso azioni trasversali, 25 quartieri. Le 23 ricette selezionate sono entrate nella successiva fase di co-progettazione, in cui affineranno la loro capacità di lettura del territorio, dei suoi bisogni e delle sue risorse.

Come sta procedendo il lavoro di co-progettazione?

Abbiamo proposto un percorso di progettazione accompagnata. Abbiamo chiesto alle realtà coinvolte di nominare dei propri rappresentanti per costituire un gruppo di progettazione più ristretto che è accompagnato da un facilitatore. Questa figura aiuta il gruppo a rileggere le coordinate locali della povertà minorile in modo unitario e a individuare modalità di coordinamento e di intervento più definite. Partecipano agli incontri dei gruppi di co-progettazione anche gli assistenti sociali territoriali, proprio nell’ottica di rafforzare il dialogo e la collaborazione tra pubblico e privato.

Da questo punto di vista ci sembra prioritario intervenire sui meccanismi di intercettazione della povertà e sul tema del REI: da un lato, riteniamo importante che le reti locali diano significato e contenuto ai percorsi di attivazione sociale e personale previsti nell’ambito del REI. Dall’altro lato, vogliamo anche rivolgerci alle persone e famiglie che, pur essendo in condizioni di povertà o esclusione, non possiedono tutti i requisiti necessari e sono rimaste escluse dal REI. In questo senso, grazie alla collaborazione tra Comune e Terzo Settore, speriamo di rafforzare la capacità di intercettare e quindi rispondere alla povertà.

Quali azioni pensate che emergeranno dalla co-progettazione e saranno poi implementate nei tre anni di sperimentazione?

Nelle “ricette” presentate inizialmente si parla di temi quali il coinvolgimento del mondo della scuola, l’emersione della povertà attraverso il coinvolgimento di “sentinelle” locali, l’attivazione di piccoli fondi di quartiere per venire incontro a piccole esigenze di persone e famiglie. A nostro parere il valore di questo progetto non risiede solo nell’implementazione di nuove azioni e modalità di intervento: le risorse messe a disposizione, circa 200.000 euro a quartiere, non sono infatti tali da permettere un intervento strutturale di contrasto alla povertà per tutte le famiglie in difficoltà.

Il valore aggiunto del bando è quello di ricomporre le risorse partendo da quelle di quartiere, perché esistono già numerose risposte alla povertà – molte delle quali informali – che si attuano nella quotidianità, nella dimensione più “micro”: il punto è impegnarsi a metterle a sistema e fare sì che la promozione di risposte condivise alla povertà diventi una modalità di lavoro permanente. Peraltro se le reti alla base delle “ricette” riusciranno a rimanere unite potranno poi rafforzarsi come soggetti significativi, promuovere nuove progettazioni, attirare altre risorse.

Quindi quali sono, più in generale, le vostre aspettative rispetto al bando e ai cambiamenti stabili che potrà produrre sul territorio?

Una prima ambizione è quella di facilitare la messa a terra del REI – la prima misura strutturale di contrasto alla povertà in Italia – e operare perché non perda la sua forza e la sua efficacia nel momento della sua effettiva implementazione. Da questo punto di vista noi ci aspettiamo quindi che i piani individualizzati legati REI siano co-costruiti tra pubblico e privato sociale, che non siano interpretati come mero adempimento formale ma sappiano valorizzare lo stimolo all’attivazione e l’attenzione al minore promossi dalla normativa. L’altra nostra aspettativa è che queste reti riescano a lavorare efficacemente sull’emersione della povertà e sull’intercettazione di persone e famiglie vulnerabili. Un ultimo aspetto importante è poi il lavoro di raccolta dei dati: abbiamo chiesto alle reti di impegnarsi non solo nella presa in carico unitaria delle famiglie, ma anche nella lettura e registrazione dei cambiamenti prodotti dagli interventi predisposti. Lavoreremo con le reti per costruire un unico set di indicatori da rilevare per riuscire a leggere con le stesse lenti la povertà e le sue declinazioni, così come i cambiamenti che saranno prodotti dagli interventi.

Le nostre aspettative maggiori si concentrano però sull’eredità che il programma QuBì, e in particolare questo bando, sapranno lasciare ai territori. Ci auguriamo infatti che – al di là delle singole azioni e collaborazioni messe in campo – si affermi un modo comune di lavorare, che si passi dalla suddivisione rigida di ruoli e competenze alla lettura condivisa del problema e alla collaborazione nell’individuazione di possibili risposte. È un percorso di crescita non scontato, che crediamo potrà essere facilitato dalla presenza degli assistenti sociali territoriali. Queste figure professionali, talvolta percepite dal Terzo Settore e dalle famiglie come inaccessibili o assenti, rappresentano invece una presenza costante e significativa sul territorio. Il confronto con i servizi sociali municipali ha poi fatto emergere il desiderio – da parte dei singoli professionisti – di riappropriarsi del lavoro di comunità troppo spesso accantonato per la scarsità di risorse e per il numero crescente di emergenze a cui fare fronte. In questo senso abbiamo concordato con il Comune di Milano che gli assistenti sociali che seguiranno gli incontri di co-progettazione potranno dedicare parte del loro monte ore al progetto. Sono stati selezionati professionisti con una certa esperienza e una buona conoscenza del territorio e, soprattutto, con una forte motivazione rispetto al lavoro di comunità e al Programma QuBì.

Quali strumenti avete ipotizzato per facilitare l’implementazione di modalità comuni di lavoro e per far sì che questo approccio rimanga operativo anche a conclusione dei progetti legati al bando?

Le assistenti sociali coinvolte nei diversi gruppi di co-progettazione si stanno già incontrando per aggiornarsi sugli sviluppi progettuali e per mantenere l’unitarietà dell’intervento a fronte di una progettazione disegnata sulle specifiche esigenze e risorse dei singoli territori. All’avvio dei progetti, nel gennaio 2019, i momenti di condivisione si apriranno anche ai referenti di rete del Terzo Settore. Intendiamo proporre percorsi di formazione e condivisione tra gli assistenti sociali e i referenti di rete, allo scopo di creare un continuo scambio di informazioni e favorire una visione coordinata sulla città. Per noi è importante creare occasioni di dialogo e confronto per rafforzare il più possibile l’abitudine a lavorare con obiettivi e modalità comuni, in modo che questa possa poi rimanere un patrimonio condiviso anche al termine del programma QuBì.