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Il problema

I vincoli imposti dal patto di stabilità interna e dalle misure di austerità prese a livello nazionale per fronteggiare la crisi finanziaria stanno determinando difficoltà molto rilevanti per gli enti locali a garantire i servizi ai cittadini. A questo proposito solitamente si è portati a sottolineare i problemi di carattere economico derivanti dalla riduzione dei trasferimenti, una questione indubbiamente rilevante; altrettanto gravi sono tuttavia i vincoli normativi posti all’assunzione del personale, che rischiano di condizionare pesantemente le scelte gestionali delle amministrazioni locali, soprattutto dei Comuni.

Deliberatamente o meno, il quadro normativo sembra spingere i Comuni alla dismissione dei servizi in gestione diretta a favore dell’affidamento a soggetti terzi. Le norme principali che concorrono a favorire tale esito sono:
• l’art. 14, co. 9 della legge 122/2010 che converte con modifiche il decreto legge 78/2010. Tale norma stabilisce che si “possa procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente”. Ciò significa che ogni cinque dipendenti cessati dal servizio solo uno può essere assunto di ruolo;
• l’art. 36, co. 2 del decreto legislativo 165/2001, come modificato dall’art. 17, co. 26, della legge 102/2009, che stabilisce che le pubbliche amministrazioni possano “avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale” e quindi anche dei contratti a tempo determinato, solo “per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali”. Recentemente la disposizione è stata emendata rafforzando la responsabilità dirigenziale e le sanzioni previste in caso di violazione della norma sull’impiego di contratti “atipici” o non standard;
• l’art. 4, co. 102, lett. b) della legge 183/2011, approvata in agosto, ha esteso agli enti locali le disposizioni contenute nel decreto legge 78/2010 (come si è detto, convertito con modifiche dalla legge 122/2010). Tali disposizioni avevano posto sulle amministrazioni statali un vincolo nella possibilità di “avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009”. Lo stesso limite vale per “la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio”. La disposizione è stata prorogata fino a tutto il 2013.

Questo insieme di norme introduce forti vincoli alla possibilità degli enti locali di sostituire personale dipendente che cessa dal servizio, ponendo limiti molto stretti sia alle assunzioni a tempo indeterminato che alle assunzioni o ai rinnovi a tempo determinato o con altre forme contrattuali di tipo non standard. Ciò rende sempre più difficoltosa la gestione diretta dei servizi, in particolare nel caso dei servizi labour intensive, ossia che richiedono l’impiego di un numero elevato di operatori, come i servizi alla persona (asili nido, scuole dell’infanzia, servizi sociali).

In questi mesi il problema è emerso soprattutto in relazione ai servizi per l’infanzia 0-6 anni nei quali molti Comuni fanno ricorso, in misura significativa, a educatrici, personale docente ed assistenti con incarichi annuali a tempo determinato, per colmare carenze d’organico causate da pensionamenti o trasferimenti di personale solo parzialmente sostituito con nuove assunzioni a tempo indeterminato. Per l’anno scolastico 2012-13 gli incarichi a tempo determinato potranno essere solo in parte rinnovati e questo pone in forte difficoltà i Comuni in cui l’offerta di servizi per l’infanzia comunali è più estesa. L’avvenuta esclusione delle scuole e dei servizi educativi degli enti locali a rispettare il limite del 50% delle spese sostenute nel 2009 per la stipula di contratti a tempo determinato, per l’anno 2012, non farà che riproporre il problema nel gennaio 2013, rischiando di mettere i Comuni nella condizione di non poter garantire anche la sostituzione del personale assente per brevi periodi dal lavoro. Anche la possibilità di ricorrere alla mobilità interna non risolve la carenza di educatori e insegnanti, in quanto negli organici comunali sono praticamente assenti le figure professionali qualificate provenienti da altri servizi e inseribili in asili nido e scuole dell’infanzia.
La questione è stata sollevata da numerosi Comuni italiani, tra cui quelli di Bologna, Milano, Napoli e Torino. Si tratta di realtà nelle quali gli asili nido e le scuole dell’infanzia comunali hanno una tradizione ampia e radicata, coprono una parte consistente e spesso maggioritaria dell’offerta, forniscono servizi di qualità elevata, fungendo da punto di riferimento per i soggetti privati che operano in questo campo.


Il caso del Comune di Modena

In tale contesto il Comune di Modena, governato da una coalizione di centro-sinistra, sta mettendo a punto una soluzione innovativa, che cerca di contemperare la necessità di garantire i servizi per l’infanzia in presenza di forti vincoli alle assunzioni pubbliche e quella di salvaguardare un’esperienza di qualità riconosciuta a livello nazionale e internazionale.
Nell’anno scolastico 2011-12 a Modena il sistema comunale, che comprende gli asili nido e le scuole dell’infanzia, pubblici e privati, che ricevono fondi dal Comune e tra le quali le famiglie hanno possibilità di scelta, presenta una composizione mista:

• su 1.835 posti di asili nido, 965 (il 52,6%) sono garantiti da strutture comunali e i restanti da soggetti convenzionati (privati for-profit, non-profit e nidi aziendali);
• su 4.902 posti nelle scuole dell’infanzia, le strutture a gestione diretta comunale coprono il 35,5% dei posti totali (1.740), quelle statali coprono il 17,9% dell’offerta (877 posti), le scuole di matrice religiosa aderenti alla FISM (Federazione Italiana Scuole Materne) il 37,0% (1.815 posti), quelle selezionate dal Comune mediante gara d’appalto e gestite da due Fondazioni ex IPAB il 9,5% (470 posti).

La presenza del settore pubblico comunale è quindi rilevante, per quanto sia andata diminuendo nel corso del tempo. Negli ultimi nove anni il numero di posti negli asili nido è cresciuto di 612 unità, tutte in strutture convenzionate, e quello dei posti nelle scuole dell’infanzia di circa 650 unità, di cui 125 in scuole statali, 380 in scuole FISM e 150 in strutture appaltate (i dati sono stati forniti dall’Assessorato all’Istruzione del Comune di Modena, che si ringrazia per la collaborazione).

Le disposizioni normative che limitano le assunzioni dei pubblici dipendenti negli enti locali rischiano di mutare molto velocemente questo equilibrio, determinando una progressiva prevalenza dei soggetti privati, non più per effetto dell’espansione dell’offerta complessiva mantenendo inalterata, in termini assoluti, la componente pubblica, ma bensì per la drastica contrazione dell’offerta pubblica comunale. Infatti, mentre nel 2009 il Comune di Modena riusciva a coprire quasi tutti i posti con personale a tempo indeterminato, a causa di pensionamenti e trasferimenti ad altri enti oggi presenta 35 posti vacanti, coperti con personale assunto con contratti a tempo determinato. E’ evidente che solo una parte di tali contratti potrà essere rinnovata, 15 in tutto il Comune di Modena, mentre i posti vacanti sembrano destinati ad aumentare nel corso del 2012 e nel 2013 (dati tratti da un documento redatto dal Coordinamento delle Scuole dell’Infanzia e dei Nidi dopo un incontro con l’Assessore all’Istruzione tenuto l’8 febbraio 2012).

La carenza di personale con contratto a tempo indeterminato è particolarmente grave nelle scuole dell’infanzia, dove negli ultimi due anni quasi una ventina di insegnanti sono passate allo Stato, che propone condizioni contrattuali più favorevoli rispetto agli enti locali. Peraltro, la graduatoria comunale delle insegnanti in possesso di abilitazione e quindi in condizione di essere assunte a tempo indeterminato dispone ancora di 8 nominativi, mentre le unità di personale abilitato trasferibili da altri servizi comunali sono in tutto 2. In tale situazione, il Comune di Modena rischia quindi di non poter garantire l’apertura di alcune sezioni e strutture già nell’anno scolastico 2012-13 e quindi di non essere in grado di assicurare ad ogni famiglia richiedente un posto per i propri figli nelle scuole dell’infanzia.

A breve termine invece gli asili nido presentano una condizione di minore sofferenza grazie ad assunzioni compiute negli anni passati. Tuttavia anche nei servizi 0-3 anni la carenza è inevitabilmente destinata a presentarsi, nel caso si protraggano i vincoli alle assunzioni e, più in generale, le restrizioni poste alle disponibilità della finanza pubblica locale. Il problema del personale delle scuole dell’infanzia comunali è emerso progressivamente a partire dall’ultima parte del 2011, per giungere prepotentemente alla ribalta cittadina nei primi mesi del 2012.

Esso inoltre si è intrecciato al dibattito sul bilancio preventivo per il 2012, non ancora approvato a testimonianza delle difficoltà in cui si dibatte l’amministrazione comunale, pur in una situazione finanziaria che, per il pregresso, appare positiva. Il bilancio per il 2012 vede un taglio delle risorse a disposizione del Comune, rispetto al 2011, pari a 36 milioni 800 mila euro (-17%). La proposta di manovra della giunta comunale, attualmente oggetto di discussione con le organizzazioni degli interessi e il mondo dell’associazionismo, prevede di colmare la mancanza di tali risorse per più di 10 milioni di euro attraverso misure di contenimento della spesa e di miglioramento dell’efficienza e per poco meno di 26 milioni di euro attraverso maggiori entrate fiscali, agendo principalmente sulla nuova aliquota Imu e sulle addizionali Irpef (Modena Comune, Aprile 2012).


Che fare? Dall’esternalizzazione alla fondazione

Per far fronte alla prevista carenza di personale nelle scuole dell’infanzia la prima opzione che si è presentata è quella dell’esternalizzazione di un numero non chiaramente definito di strutture comunali mediante gara di appalto, con affidamento a soggetti selezionati mediante gara d’appalto. Per alcuni questa ipotesi si inseriva in un quadro di trasformazione radicale dei servizi alla persona, nel quale il settore pubblico doveva progressivamente ridurre al minimo le funzioni di gestione diretta, per assumere più compiutamente quelle di programmazione e di controllo di soggetti privati, for-profit e non-profit. In questo senso ad esempio si esprime, dall’opposizione, il capogruppo cittadino in Consiglio comunale e coordinatore regionale dell’Udc, Davide Torrini, che parla di “cedere una certa quantità di sezioni della scuola materna e dei nidi di infanzia”, scendendo al 15-20% dell’offerta per la materna, “riuscendo comunque a mantenere il controllo del servizio”, ventilando anche la possibilità di affidare le scuole, oltre che a soggetti privati, a insegnanti riunite in “cooperative” (Il Resto del Carlino – Modena, 21 agosto 2011). Torrini richiama anche la necessità di “razionalizzare i costi, soprattutto in ambito educativo”, anche riducendo gli standard per gli asili e quelli dell’accreditamento per i servizi agli anziani: “bisogna fare una scelta: o i servizi costano meno oppure qualcuno deve restare fuori… sui servizi a mio avviso bisognerebbe identificare una soglia di qualità sotto la quale non si possa scendere ma garantendo costi di gestione minori di quelli attuali” (L’Informazione, edizione di Modena, 25 novembre 2011).

L’idea di avviare un processo di significativa esternalizzazione viene condivisa anche da esponenti del mondo economico tradizionalmente vicino alla sinistra, come Lega Coop, il cui presidente provinciale Lauro Lugli, secondo il resoconto riportato dalla stampa locale, auspica fortemente “l’esternalizzazione della gestione di una serie di servizi come asili, scuole e strutture di assistenza, che comporterebbe una significativa razionalizzazione dei costi, pur mantenendo un elevato livello di professionalità e servizio” (La Gazzetta di Modena, 28 novembre 2011). Anche altre componenti delle categorie produttive e dell’imprenditoria locale condividono posizioni simili, come diventerà palese in momenti successivi.
Nei primi mesi del 2012 l’esternalizzazione delle scuole dell’infanzia si precisa e giunge più apertamente all’attenzione dell’opinione pubblica. L’idea che si fa strada è quella di approvare una delibera di Consiglio comunale in cui si prospetta di affidare all’esterno due scuole dell’infanzia mediante gara d’appalto e di chiedere per altre due la statalizzazione riservandosi, nel caso probabile in cui questa non sia ottenuta, di appaltare anche la gestione di queste scuole.

L’amministrazione però si riserva di approfondire anche la possibilità di costituire una fondazione di partecipazione per le quattro scuole dell’infanzia, quale soluzione alternativa all’esternalizzazione. La fondazione, che gestirebbe le scuole, è un soggetto di diritto privato che opera senza fini di lucro. Esso potrebbe appaltare la gestione o invece esercitarla in forma diretta, assumendo personale dipendente. L’organo principale di governo della fondazione sarebbe rappresentato da un Consiglio di amministrazione, i cui membri sarebbero nominati dal Comune che, in questo modo, garantirebbe “controllo analogo” a quello garantito nella gestione diretta rispetto al servizio erogato dalla Fondazione (il concetto di “controllo analogo “ è introdotto dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza Commissione v. Italia dell’8 aprile 2008, C-337/05).

Pur in presenza di esperienze in qualche modo accostabili nel settore sanitario e in quello socio-assistenziale, attivate soprattutto in Lombardia, la conversione di strutture pubbliche in fondazioni è una novità pressoché assoluta nei servizi per l’infanzia 0-6 anni. Nell’ipotizzare questa soluzione l’amministrazione comunale ha di fronte, nel panorama scolastico modenese, la costituzione, a Modena come altrove, di una fondazione di partecipazione per la riorganizzazione dei percorsi di formazione professionale di Istruzione e Formazione Superiore (IFS) e la conversione di due vecchie Ipab in fondazioni per la gestione di scuole dell’infanzia a Modena, con l’erogazione del servizio appaltata a soggetti privati.

Inizialmente la fondazione sembra un’ipotesi secondaria, per le difficoltà di progettare e realizzare un’innovazione ricca di implicazioni giuridiche e organizzative assai complesse con un tempo a disposizione assai limitato, dovendosi garantire la riapertura del servizio per settembre 2012. L’esternalizzazione pare quindi la soluzione più probabile, almeno sul breve termine. Ciò emerge chiaramente prima in un incontro, tenutosi l’8 febbraio 2012, tra l’Assessore all’Istruzione Adriana Querzè e il Coordinamento dei Consigli degli asili nido e delle scuole dell’infanzia di Modena (gli organismi di rappresentanza eletti dai genitori nelle scuole); poi, in un’assemblea pubblica con i genitori e le insegnanti delle scuole svoltasi il 6 marzo, con la partecipazione del Sindaco Giorgio Pighi e dell’Assessore all’Istruzione.
In tali incontri l’esternalizzazione viene presentata come una strada obbligata, percorsa a malincuore dal Comune, che l’accompagna con iniziative nazionali volte ad escludere la scuola dai vincoli sulle assunzioni degli enti locali posti dal patto di stabilità, attivando in tal senso l’Anci e i parlamentari modenesi. Questo modo di prospettare l’esternalizzazione, comprensibile in un contesto di forte radicamento dei servizi per l’infanzia comunali e della scuola pubblica, suscita il malumore del mondo del terzo settore e delle associazioni di categoria e rischia di innescare una contrapposizione pubblico-privato di fatto ampiamente superata all’interno di una rete consolidata di offerta ampiamente pluralistica.
E’ evidente a tutti, peraltro, che la posta in gioco non consiste nell’esternalizzazione di due o quattro scuole ma, in un’ottica di medio-lungo termine, nell’avvio di un riassetto complessivo delle modalità gestionali dei servizi educativi, che porterebbe ad un forte ridimensionamento della presenza diretta pubblica.

La prospettiva concreta dell’esternalizzazione genera una forte mobilitazione della comunità locale, che vede in prima fila educatori e insegnanti delle scuole comunali e, soprattutto, i genitori. All’inizio di marzo si costituisce infatti un Comitato di genitori (“Giù le mani dagli asili”), che in alcune settimane raccoglie più di 7.500 firme contro le esternalizzazioni. Il 17 marzo si svolge poi una sorta di manifestazione molto partecipata in cui le insegnanti, assieme a genitori e bambini, espongono alla collettività i lavori realizzati dai bambini degli asili nido e delle scuole dell’infanzia comunali. Anche i sindacati, come prevedibile, sono contrari all’ipotesi di esternalizzazione, date le implicazioni esistenti in termini di peggioramento delle condizioni economiche e normative dei lavoratori delle scuole coinvolte.
La protesta spinge l’amministrazione comunale prima a rallentare e poi a rivedere completamente il percorso verso le esternalizzazioni, che vengono accantonate a favore dell’ipotesi della fondazione. Sotto il forte impulso dell’Assessore all’Istruzione, viene infatti definito un progetto di costituzione di una fondazione di partecipazione per la gestione diretta di quattro scuole dell’infanzia, verificata nel frattempo l’impossibilità della statalizzazione. La fondazione dovrebbe assumere 24 insegnanti di scuola dell’infanzia, che diventerebbero quindi dipendenti del nuovo soggetto privato. Il passaggio verrà effettuato progressivamente nel corso di tre anni, a partire dalle insegnanti delle sezioni dei tre anni per l’anno scolastico 2012-13; alle insegnanti delle sezioni 4 e 5 anni verrà prospettata la soluzione del comando, in modo da assicurare la continuità didattica ed educativa per i bambini delle scuole interessate. Oltre a permettere di superare i vincoli posti dalle misure connesse al patto di stabilità, la fondazione presenta vantaggi di carattere contributivo e previdenziale per l’ente locale.
La fondazione dovrebbe prevedere un organo di governo composto interamente da membri nominati dall’amministrazione comunale. L’ipotesi avanzata inizialmente di inserire rappresentanti dei genitori all’interno dell’organo di governo è stata accantonata per ragioni di carattere normativo. In coerenza con l’idea della fondazione di partecipazione, tuttavia, sono allo studio modalità tecniche per garantire forme di rappresentanza dei genitori che garantiscano a questi forme sostanziali di coinvolgimento nelle scelte di indirizzo e nel controllo della gestione delle scuole. Allo stesso modo, sono state ipotizzati meccanismi di partecipazione più o meno diretta al governo della fondazione da parte del personale.
L’approvazione delle linee guida sul nuovo soggetto dovrebbe avvenire entro aprile, mediante delibera del Consiglio comunale. Entro 45 giorni dal ricevimento degli atti la Regione dovrà poi fornire l’autorizzazione alla costituzione del nuovo soggetto. Se, come pare scontato, la Regione darà parere positivo, si passerà quindi all’approvazione dello statuto e alla creazione della fondazione.
Molte saranno ovviamente le questioni di carattere organizzativo e gestionale che dovranno essere affrontate per dare vita ad un soggetto caratterizzato da un alto tasso di innovazione istituzionale. Prima di tutto, occorrerà definire quale contratto collettivo di lavoro verrà applicato alle insegnanti dipendenti dalla fondazione: su questo è in corso un confronto tra l’amministrazione e i sindacati, che hanno dato per ora il loro assenso all’ipotesi della fondazione. Nelle esperienze precedenti nel settore sanitario e assistenziale le problematiche di carattere contrattuale e quelle, collegate, relative alla gestione del personale hanno presentato numerosi aspetti critici e di non facile soluzione, in particolare nei casi di compresenza tra dipendenti pubblici soggetti a comando e dipendenti privati dei nuovi soggetti di diritto privato. In questo caso, tuttavia, la compresenza dovrebbe essere solo temporanea.
Negli intenti dell’amministrazione, la nuova fondazione non rappresenta una soluzione ponte concepita per fronteggiare l’emergenza, ma un nuovo soggetto che, attivamente inserito nella rete dei servizi per l’infanzia comunali, possa sviluppare esperienze di innovazione in campo didattico e pedagogico. La natura giuridica di soggetto privato può infatti garantire una flessibilità organizzativa e gestionale adatta a sperimentare soluzioni innovative, nonché assicurare una maggiore facilità a reperire finanziamenti privati rispetto ai soggetti pubblici.
Ovviamente, in caso di successo, la fondazione potrà divenire un polo di aggregazione per altre scuole dell’infanzia comunali, ove dovessero perdurare le condizioni di difficoltà per la gestione dei servizi da parte degli enti locali. Come ha dichiarato l’Assessore all’Istruzione Querzè in un’intervista al mensile che il Comune di Modena distribuisce per posta alle famiglie, “il nostro impegno è mettere in piedi una fondazione che, anche negli anni a venire, ci consenta di gestire i servizi per l’infanzia con una formula nuova ma con la qualità di sempre perché le scuole sono uno degli elementi fondamentali per l’identità del nostro territorio. Oggi – conclude l’assessore – ci troviamo davanti a una sfida simile a quella degli anni Settanta: allora fu necessario inventare nuovi servizi per una società che cambiava, adesso tocca a noi trovare le strade per modificare e rinnovare quei servizi, rispettandone la qualità e i valori originari” (Modena Comune, Aprile 2012).

Tutti d’accordo? La scommessa della fondazione tra pubblico e privato
La soluzione trovata con la creazione di una fondazione soddisfa il Comitato dei genitori, che riconosce all’amministrazione locale e, in particolare all’Assessore all’Istruzione, il merito di avere saputo ascoltare la cittadinanza e quello di avere escogitato una risposta adeguata alla situazione. In un volantino distribuito nelle scuole dell’infanzia il 4 aprile, il Comitato dei genitori ringrazia l’Assessore “per il coraggio, la lungimiranza e la capacità di ascolto dei cittadini, oltre che per la sua competenza”. Anche i sindacati e la comunità professionale delle scuole comunali sembrano avere accettato la situazione, percepita quanto meno come il “male minore” rispetto all’esternalizzazione.
Non è dello stesso avviso l’opposizione di centro-destra, che parla di escamotage per aggirare i vincoli del patto di stabilità e accusa l’amministrazione di condurre una battaglia di retroguardia, finendo con l’aumentare le tasse invece di tagliare le spese (“Il Comune di Modena tassa alle stelle i cittadini ma intanto crea fondazioni per non tagliare la spesa” scrive in una nota il consigliere regionale modenese del Pdl Andrea Leoni il 26 marzo). Ma soprattutto non paiono apprezzare l’idea della fondazione diverse componenti del mondo economico. In un documento pubblicato il 29 marzo Cna, Confcommercio, Confesercenti e Lapam, lamentando lo sbilanciamento sulle entrate dell’operazione di recupero dei tagli alla spesa previsti nel bilancio 2012, chiedono “un piano di esternalizzazione di servizi all’infanzia, tale comunque da garantire il governo sui servizi stessi da parte dell’amministrazione… crediamo che un processo di esternalizzazione costruito con regole chiare, rigorose e requisiti molto selettivi permetterebbe, in servizi di primaria rilevanza come quelli dell’infanzia di mantenere in capo al pubblico il compito di definire l’orientamento didattico, così come il necessario esercizio della funzione di controllo sulla qualità del servizio erogato… un’azione, questa, che da un lato consentirebbe di valorizzare in un’ottica di sussidiarietà la partnership con il settore privato nella gestione di alcune strutture e dall’altro determinerebbe un’essenziale riduzione dei costi” (Prima Pagina, 30 marzo 2012).
Di fronte a tali posizioni, il Comitato dei genitori si esprime con inusitata chiarezza, oltre che con notevole enfasi: “a coloro che sostengono che la scuola modenese sia solo un costo da sfrondare diciamo: siamo estremamente felici di avere pagato tasse che ci hanno ripagato con un servizio pubblico sulla scuola 0-6 che il mondo intero ci invidia” (volantino del Comitato “Giù le mani dagli Asili di Modena”, 4 aprile 2012).

Perplessità sulla soluzione della fondazione, ma prima ancora sui termini del dibattito che hanno portato alla scelta, vengono espresse anche dal mondo dell’associazionismo e del terzo settore. Paolo Ferrari, presidente di Federsolidarietà Modena, l’organizzazione che riunisce le cooperative sociali aderenti a Confcooperative, afferma che “l’azione dei cittadini a difesa dei servizi comunali è legittima e comprensibile. Non è condivisibile invece la contrapposizione tutta ideologica tra pubblico e privato. Si asserisce che il pubblico, a differenza del privato, garantisce professionalità e qualità. Oltre a non corrispondere per nulla alla realtà dei fatti, questa affermazione nuoce di rispetto alle persone che lavorano nelle scuole gestite dal privato sociale e alle famiglie che continuano a mandare i propri figli in queste strutture” (Modena 2000, 22 marzo 2012). In termini simili si esprime anche il Forum del Terzo Settore di Modena. Infine, in un’intervista ad un quotidiano locale, la presidente dell’Arci di Modena Greta Barbolini invita tutti a non aspettarsi “che le fondazioni risolvano tutti i mali di questa crisi. Saranno certamente utili nell’immediato, ma qui occorre una riprogettazione complessiva che tenga conto di fattori mutati… Le fondazioni non moltiplicano i pani e i pesci. Come capita in alcune fasi ci si concentra di più sugli strumenti che sugli obiettivi. Non è tempo di scorciatoie adesso, altrimenti queste scelte le pagheremo dopo” (Gazzetta di Modena, 4 aprile 2012).

L’importanza di mantenere un’offerta “forte” e non residuale di scuole comunali, all’interno di un sistema di welfare mix in cui il ruolo dei soggetti privati è assai rilevante, viene invece rivendicata dall’Assessore all’Istruzione. Nella lettera inviata ai parlamentari modenesi in data 8 marzo, cui anche il Comitato genitori fa riferimento, si afferma infatti che “in questi quarant’anni il sistema educativo e scolastico modenese per bambini da zero a sei anni è cresciuto in un’ottica di integrazione fra istituzioni pubbliche e private che consente oggi di offrire un posto al nido e alle scuole dell’infanzia a tutti i richiedenti. Anche il privato e il privato sociale, che tanto si sono spesi in questa città, riconoscono che la presenza di un nucleo forte di strutture comunali e l’efficacia dell’azione di programmazione e controllo dell’Ente locale hanno contribuito alla creazione di un sistema ampio, equilibrato e di qualità”. In queste parole si trova una delle argomentazioni portate più frequentemente a sostegno di una gestione diretta pubblica non residuale, vale a dire il fatto che essa sia necessaria all’ente pubblico per esercitare un’efficace azione di indirizzo e controllo sugli altri soggetti che gestiscono i servizi, oltre che sulle proprie strutture, al fine di garantire il perseguimento dell’interesse collettivo.

Da queste posizioni emerge chiaramente una delle questioni di fondo portate alla luce nella vicenda, relativa al ruolo che deve assumere un ente pubblico nella fornitura di servizi alla persona, in un contesto di difficoltà crescenti del sistema economico-produttivo a sostenere i costi del welfare. Non si tratta certamente di un problema sorto negli ultimi tempi, ma la crisi finanziaria e le politiche di austerità nella finanza pubblica messe in atto per fronteggiarla sembrano porre i soggetti pubblici e, in primo luogo, gli enti locali, verso scelte dirimenti e non più rimandabili.
E’ infatti probabile che nei prossimi anni gli enti locali e, tra questi, soprattutto i Comuni siano chiamati a decidere se continuare a gestire direttamente servizi alla persona in modo non residuale, o invece optare con decisione per l’adozione di un modello organizzativo e gestionale nel quale essi svolgano prevalentemente o esclusivamente funzioni di programmazione, indirizzo e controllo, oltre che almeno in parte di finanziamento, di servizi erogati da soggetti privati, for-profit e non-profit. La questione si pone in particolare in relazione ai servizi per l’infanzia 0-6 anni, dove la gestione diretta comunale è non solo quantitativamente assai cospicua in buona parte del territorio nazionale, ma anche qualitativamente di livello elevato risultando, in termini comparati, spesso migliore di quella statale e privata.
La scelta presenta alcuni trade-off non facilmente risolvibili. La gestione diretta pubblica offre maggiori garanzie in termini di qualità delle prestazioni, oltre che nelle condizioni di lavoro del personale, un aspetto fondamentale in questo tipo di servizi. D’altro canto essa rischia fortemente di non essere più in grado di garantire un servizio dotato di caratteri di universalità o, comunque, capace di soddisfare un’ampia quota della domanda proveniente dai cittadini. Un affidamento tendenzialmente completo alla gestione privata sembra fornire una soluzione a questo problema, ma al contempo può presentare dei rischi in termini di qualità complessiva del servizio, se non altro perché la dismissione della gestione comunale porterebbe in molti casi alla dispersione di un patrimonio consolidato e ampiamente riconosciuto di esperienze e di competenze maturate nel corso di decenni. A questo si aggiunge poi il rischio che, privato della gestione diretta, il settore pubblico non sia più in grado di svolgere funzioni di regolazione e controllo dell’offerta privata.

All’interno di tale dilemma, la scelta sembra pendere decisamente verso la seconda opzione, e quindi verso un processo di massiccia esternalizzazione dei servizi comunali per l’infanzia. Tuttavia, il caso modenese pare suggerire che vi siano delle opportunità di sfuggire ad un’alternativa di carattere dicotomico, mediante la conversione delle strutture pubbliche in forme societarie di carattere ibrido pubblico-privato, come le fondazioni.

Al di là della possibilità di far fronte ai vincoli posti all’assunzione di personale pubblico, le fondazioni possono erogare prestazioni in modo più efficiente rispetto alle strutture pubbliche, godendo di un maggiore grado di flessibilità organizzativa e gestionale. Al contempo, esse sembrano fornire all’ente pubblico maggiori possibilità di controllo sulla gestione rispetto all’appalto di servizi a soggetti esterni. Tali opportunità sembrano accomunare le fondazioni con altri soggetti, come le società a capitale misto, rientranti forse in modo più compiuto nell’ormai nota categoria delle public-private partnership o “collaborazioni pubblico-privato” di tipo istituzionale. Le public-private partnership di tipo istituzionale sono forme di collaborazione tra pubblico e privato caratterizzate dalla “creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato. Tale soggetto comune ha quindi la missione la fornitura di un’opera o di un servizio a favore del pubblico” (Commissione delle Comunità Europee, Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, COM(2004) 327 definitivo, 2004, pp. 18-19).

Queste potenzialità spingono ad ipotizzare che le fondazioni e le forme di partnership pubblico-privato possano rappresentare un tentativo di risposta alle difficoltà crescenti ad assicurare la gestione pubblica diretta in quei servizi nei quali permane un diffuso giudizio negativo sulla privatizzazione piena delle strutture di erogazione, anche se operanti sotto finanziamento pubblico. E’ il caso, in particolare, dei servizi sanitari e di quelli per l’infanzia, in cui si ritiene opportuno limitare il ricorso ai contratti di fornitura e agli affidamenti a soggetti privati, per quanto tali modalità gestionali abbiano un ruolo rilevante nei sistemi dell’offerta.

Solo il tempo sarà però in grado di dire se tali assetti societari siano effettivamente in grado di superare le criticità presenti nell’alternativa tra pubblico e privato, imponendosi come modello gestionale stabile per l’erogazione dei servizi alla persona, o se invece si tratta semplicemente di scelte contingenti, destinate a scomparire una volta finita la fase di emergenza finanziaria.

 

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