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Il seguente articolo è ripreso integralmente dal numero 3/2020 di Rivista Solidea, pubblicazione curata dall’omonima Società di Mutuo Soccorso del Sociale e dedicata ai temi del lavoro, del welfare e della mutualità.


Le cooperative di comunità sono uno strumento imprenditoriale con cui i cittadini possono diventare attori dei processi di sviluppo locale dei propri territori. In questi anni, decine di realtà sono nate sui territori, nei piccoli borghi, nelle aree interne e più recentemente anche nelle città e nelle cinture peri-urbane, promuovendo un modello di sviluppo locale alternativo a quello finora conosciuto, un modello che, unendo l’efficienza e l’intraprendenza imprenditoriale con la partecipazione e l’inclusione proprie del modello cooperativo, crea valore sul territorio, con il territorio, ridistribuendo quel valore nella comunità. Questi processi di creazione del valore non possono non essere sostenibili: nella gestione delle risorse, infatti, le comunità coinvolte hanno come obiettivo primario quello di non depauperare il proprio patrimonio. E sono sostenibili anche perché la forma cooperativa opera secondo una logica intergenerazionale, cioè punta a preservare le risorse, affinché le generazioni future che si succederanno in cooperativa potranno a loro volta usarle e tramandarle.

I processi avviati in questi anni dalle cooperative di comunità hanno riguardato la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio naturalistico, storico, artistico, recuperando tradizioni, produzioni antiche che rischiavano di andare perdute, aprendo le porte delle comunità all’esterno: non si sono chiuse in sterili e anacronistici campanilismi locali. Questi processi di valorizzazione sono cresciuti fondandosi sull’idea di accogliere e integrare i migranti e i turisti, facendoli diventare parte della comunità – i primi attraverso un mutuo scambio di opportunità, i secondi, trasformandoli in viaggiatori attenti e responsabili, nei confronti della comunità e del territorio – facendoli essere, con la prospettiva di una vita o di una breve vacanza, parte stessa della comunità e non semplici ospiti.

Un impegno forte nei territori più deboli

L’impegno delle cooperative di comunità è più forte laddove i territori e le comunità sono più fragili, dove lo Stato spesso non riesce ad arrivare e dove il mercato non ha interesse ad arrivare. Le cooperative di comunità attivano invece processi partecipativi che mettono a sistema le risorse dormienti di un territorio, le competenze, le capacità, le passioni in un progetto comune, condiviso.

La condivisione, poi, si realizza anche nella ridistribuzione dei vantaggi prodotti, all’interno dell’intera comunità. Gli spazi vuoti – che rappresentano ferite aperte nel cuore delle comunità, segno dell’abbandono, di un passato che non c’è più – vengono rigenerati e trasformati in luoghi da vivere, una reazione al passato che restituisce alla comunità un’idea di futuro.

«I vecchi, le strade inadatte alle auto, la fine del mondo contadino e di quello pastorale, il silenzio assoluto dei vicoli vuoti, l’horror vacui delle costruzioni antiche, una sull’altra come farsi compagnia e coraggio», lo spopolamento di un piccolo borgo, la solitudine e il degrado di una periferia urbana, sono silenzio, malinconia e vuoto. Le cooperative di comunità riempiono quel vuoto, con contenuti che non nascono nei masterplan elaborati negli uffici tecnici di qualche ente locale o nazionale, ma sono contenuti e opportunità che la comunità dà a sé stessa.

Ecco allora che le vecchie case abbandonate o inutilizzate si trasformano in alberghi diffusi, i terreni vengono recuperati da giovani e migranti che tornano a prendersene cura per conto della comunità, creando così piccole filiere biologiche a chilometro zero, la comunità riprende il controllo del territorio, ricomincia a curarlo e a mantenerlo, l’unico vero modo per prevenire il dissesto idrogeologico – causato dall’abbandono e dai cambiamenti climatici – che sempre più spesso e duramente colpisce e distrugge il nostro ecosistema.

Questi processi di sviluppo locale si fondano sulla ricostruzione di reti fiduciarie, che insieme al modello di democrazia partecipativa, tipico della cooperazione, promuovono un modello di sviluppo locale fondato sui principi di sussidiarietà orizzontale, finalizzato a salvaguardare e valorizzare l’impegno dei cittadini per il bene comune attraverso politiche volte a creare valore con la comunità per il territorio, secondo logiche ridistributive e non estrattive del valore stesso.

Essere partecipi, sentirsi coinvolti nella definizione del bene comune, genera un sentimento inclusivo, perché il valore creato non è esclusivo di pochi, ma è a sua volta strumento per una maggiore equità, il tentativo di riequilibrare le disparità sociali ed economiche, attraverso una dinamica collettiva.

L’Agenda 2030 dell’Onu individua obiettivi, focus, inquadra le singole attività in una matrice che ci aiuta a misurare l’operato di queste realtà, ma forse non tutte le attività di queste cooperative sono inquadrabili nelle matrici.

Potremo riportare numeri, risultati, che ci aiuteranno a capire come sostenerle e intervenire con politiche pubbliche o investimenti privati mirati, ma tutto sarà inutile se non riuscissimo a riconoscere qualcosa che non è tangibile o misurabile, quel sentimento collettivo che rende ogni comunità, ogni cooperativa di comunità, unica e diversa da tutte le altre, e senza il quale non potremmo ipotizzare alcuna vera idea di sviluppo sostenibile, perché un paese, una città possono definirsi tali solo quando i suoi abitanti, immaginando il proprio futuro, si sentono parte di quel processo.