Come noto, la ridotta dimensione d’impresa è uno dei fattori che ostacolano maggiormente una diffusione capillare del welfare aziendale nel tessuto produttivo italiano, fatto per oltre il 98% da aziende micro o piccole (sotto i 50 dipendenti). In agricoltura alla ridotta dimensione d’azienda si aggiungono ulteriori specificità che rendono realisticamente praticabile il welfare solo in presenza di un attento accompagnamento delle aziende e di strumenti in grado di favorire l’aggregazione tra più imprese e soggetti territoriali.
In occasione del secondo incontro del percorso di formazione sul welfare aziendale “a filiera corta”, organizzato lo scorso 4 maggio da Percorsi di secondo welfare con il sostegno della Fondazione MPS, Gabriella Merlo, presidente dell’Associazione Irene, e Michela Allievi hanno ripercorso l’origine e gli sviluppi dei progetti sul welfare aziendale in agricoltura che hanno visto impegnata l’associazione lombarda negli ultimi anni, da E-Net a Welfare in campo sino ad Agriwel, avviato a inizio 2021 nel quadro delle Reti territoriali di conciliazione e promosso dall’Associazione Irene insieme a Città Metropolitana di Milano, CIA Lombardia Centro, Casa dell’Agricoltura, Cgil Ticino Olona, Cisl Milano Metropoli e Uil Milano e Lombardia, iniziativa finanziata da Regione Lombardia a supporto degli interventi di conciliazione vita-lavoro PTC 20202/2023
In questa intervista Gabriella Merlo (GM) e Michela Allievi (MA) ci spiegano in che modo dei partenariati pubblico-privati possono fare tesoro dell’esperienza maturata e aiutare ad accrescere la sensibilità anche delle imprese più piccole verso i temi del welfare aziendale e della conciliazione.
Come si è sviluppato il percorso che vi ha portato ad Agriwel?
GM | Come Associazione Irene abbiamo partecipato sin dalla prima edizione, nel 2010, alle Reti di Conciliazione lombarde, in vari partenariati. A differenza dei precedenti avvisi pubblici, che richiedevano che le Alleanze locali avessero come capofila un’istituzione pubblica, l’ultimo bando promosso dalla Regione Lombardia, relativo ai progetti 2020-2023, ha previsto che anche le organizzazioni no profit potessero svolgere il ruolo di capofila.
Abbiamo così promosso e costituito un partenariato composto da Enti pubblici (Città Metropolitana di Milano), dalle parti sociali (CIA – Agricoltori e Cgil, Cisl e Uil) e da un’organizzazione no profit particolarmente significativa per il settore di riferimento, la Casa dell’Agricoltura. Quindi, un partenariato articolato, composito, secondo noi rappresentativo di tutti gli attori che devono operare e interfacciarsi con le aziende rispetto al tema del welfare. Un partenariato di progetto che è già di per sé una rete, e che porta a risultati che sono significativi su vari piani e a vari livelli. Fin da subito la nostra idea è stata quella di portare, anche con questa alleanza, il tema della conciliazione in tutto quel settore di micro e piccole imprese che – dall’artigianato ai servizi – costituiscono in realtà il grosso del settore produttivo del nostro Paese. Quindi ci siamo focalizzati sull’ambito delle micro e piccole imprese incontrando da subito grandi difficoltà ovviamente: per ottenere risultati, queste aziende vanno accompagnate quasi con un percorso “porta a porta”.
Ma Agriwel raccoglie quanto già seminato da Irene con precedenti progetti…
GM | Esatto. Il nostro primo progetto significativo su questi temi è stato Conciliazione In Pratica (C.I.P.) – La piccola impresa si innova, realizzato nel 2016 con l’allora Provincia di Milano. Andammo a sondare, forse per la prima volta, quali fossero i reali bisogni delle micro imprese tramite un’indagine piuttosto approfondita che riguardò un campione di imprese non significativo statisticamente, ma comunque numericamente rilevante (circa 1.000 micro e piccole aziende). Da questo primo progetto passammo a una seconda esperienza, il progetto E-Net.
Anche in questo caso si trattava di un progetto basato su un partenariato ampio, composto da una sessantina di enti di varia natura e da imprese appartenenti a diverse categorie produttive che parteciparono alla realizzazione del progetto sin dalle prime fasi. È stato durante la realizzazione del progetto E-Net che abbiamo incontrato molte microimprese del settore agricolo. Gli ambiti territoriali in cui andavamo lavorando, l’Abbiatense, l’Alto Milanese, il Magentino, sono caratterizzati in effetti da un altissimo numero di microimprese agricole multifunzionali. Da E-Net siamo poi passati al progetto Welfare in Campo, nel quale abbiamo sperimentato la messa a punto vera e propria di piani di conciliazione specifici per le aziende del settore agricolo, dopo un percorso molto articolato di sensibilizzazione, un vero e proprio “porta a porta della sensibilizzazione”: in questo modo abbiamo capito anche meglio quali potessero essere, in pratica, le esigenze di questo genere di aziende e quali le risposte che le imprese chiedevano per il welfare.
Il processo è consistito prima di tutto nel sensibilizzare il territorio, l’ambito territoriale di riferimento, poi nell’intervistare le singole aziende per rilevarne i bisogni, offrire loro una consulenza personalizzata per scrivere un piano di welfare che avesse un senso e che spesso – e questo ci tengo moltissimo a dirlo – in realtà recuperava e formalizzava interventi che in maniera informale, senza nemmeno saperlo, le imprese già mettevano in campo. L’ultimo passaggio è consistito nel supportare la creazione di accordi territoriali (nessuna di queste aziende aveva una rappresentanza sindacale interna) e la creazione di reti e forme di collaborazione tra imprese, anche se per ora ancora informali.
Con questi due progetti – E-Net e Welfare in campo – Associazione Irene si era quindi già cimentata con il tema del welfare nella micro e piccola impresa. Quale tipo di azioni avevate sperimentato?
MA | Sì, nell’ambito dei progetti E-Net e Welfare in Campo abbiamo lavorato parallelamente con due tipologie di azione. Da un lato, la realizzazione di piani di welfare aziendali “personalizzati” per le aziende con cui siamo venuti in contatto e che hanno aderito al nostro progetto. Dall’altro, in modo anche un po’ imprevisto – perché soprattutto nella fase di candidatura del primo progetto, E-Net, non avevamo proprio pensato a questo tipo di azione, ma poi ne è emersa l’esigenza ascoltando bisogni e richieste che provenivano dalle aziende – la realizzazione in modo sperimentale di Accordi Territoriali di welfare aziendale per le PMI e Micro imprese.
Ci siamo accorti infatti che per le piccole e le micro imprese con cui ci stavamo interfacciando mancavano quegli strumenti che invece avevano a disposizione le grandi imprese e che consentivano loro di accedere alle agevolazioni fiscali che nel corso degli ultimi anni le Leggi di Stabilità mettevano a disposizione delle aziende. Per queste microimprese, in realtà, era molto difficile accedere a queste agevolazioni fiscali perché non avevano al proprio interno le rappresentanze sindacali. Ed è stato quindi proprio nel corso del progetto, incontrando le aziende e dialogando anche con tutti gli attori del territorio in cui andavamo a sviluppare le azioni progettuali, che ci siamo resi conto di questa esigenza, e quindi abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di realizzare questi accordi nei vari territori.
Come avete operato per stimolare la redazione di accordi territoriali?
MA | Con il progetto E-Net – poi proseguito anche con il progetto Welfare in campo – siamo riusciti a stendere e a siglare quattro accordi territoriali di welfare aziendale: nei territori dell’Legnanese, del Magentino, dell’Abbiatense e Castanese. Quattro accordi destinati proprio alle piccole e microimprese di questi territori. Ed è stata una risposta diciamo “a km 0”, perché i soggetti che sono stati coinvolti e che ci hanno anche sollecitato a creare questi strumenti sono proprio i soggetti che operano direttamente in questi territori: i firmatari di questi accordi sono gli Enti pubblici, gli Ambiti territoriali, le Aziende sociali, i Consorzi di Comuni, le Associazioni Datoriali, le Associazioni Sindacali e anche gli Enti del Terzo Settore. Quindi, è davvero rappresentata l’intera platea degli attori che operano nel campo del lavoro e anche dei servizi sociali. Il ruolo di Associazione Irene è stato quello di coordinare tutti questi attori, di metterli insieme, di radunarli attorno a un tavolo e facilitare una riflessione comune su questi temi fino alla stesura e alla sigla degli Accordi. Alcuni sono ancora in vigore, altri verranno rinnovati nel corso dei prossimi mesi.
L’altro tipo di azione è consistito invece nella messa a punto di piani aziendali personalizzati…
MA | Sì, per farlo, come dicevo, Associazione Irene ha svolto un’attività di “porta a porta”, cioè siamo proprio andati a incontrare gli imprenditori cascina per cascina. Certamente non siamo riusciti a raggiungere l’intera platea delle aziende agricole attive nel Parco Sud di Città Metropolitana di Milano, l’ambito territoriale in cui si realizzava il nostro progetto Welfare in campo. Il progetto prevendeva azioni sperimentali con un numero ridotto di aziende. Riusciremo con i nuovi progetti, con le nuove azioni in corso, a raggiungere nuove aziende coinvolgendo sempre più imprenditori.
La metodologia che abbiamo utilizzato è stata questa: attraverso degli eventi personalizzati in cascina, abbiamo incontrato sia gli imprenditori e le loro famiglie (che spesso sono direttamente coinvolte nelle attività delle aziende agricole), sia i loro dipendenti; quindi, attraverso questionari, interviste, anche degli incontri informali, abbiamo cercato di raccogliere quali fossero i bisogni reali di tutte le figure attive nelle aziende agricole.
E quali sono le aree di bisogno emerse come più avvertite?
MA | Due sono le aree di intervento che ci sembravano registrare una maggiore richiesta: quelle legate al tempo e allo spazio. E quindi le proposte che abbiamo avanzato, individuate insieme agli imprenditori quali risposte alle necessità emerse, si sono concentrate innanzitutto su un sostegno alla mobilità al fine di facilitare l’accesso dei lavoratori al luogo di lavoro: le cascine, per quanto vicine alla città e alle principali linee di trasporto pubblico, sono ancora difficilmente raggiungibili.
Abbiamo così realizzato essenzialmente due iniziative: in alcuni casi, per i dipendenti residente a più di 20 km dalla cascina, si è trattato un rimborso delle spese di trasporto riconoscendo un valore monetario al tempo impiegato, non solo alla distanza percorsa, da ciascun lavoratore per i propri spostamenti in altri casi – ed è un intervento richiesto da diverse imprese che abbiamo incontrato, perché è veramente un problema molto diffuso – si è trattato di aiutare i dipendenti stranieri a conseguire la patente di guida. Non è stato semplice: abbiamo dovuto “accompagnare” le imprese nella ricerca dell’ autoscuola più adatta, capace di offrire moduli formativi specificamente pensati per dei lavoratori stranieri. Sono stati diversi i tentativi purtroppo falliti, nel senso che non riuscivamo a trovare l’agenzia che riuscisse davvero a dialogare con questi lavoratori e quindi ad arrivare all’obiettivo finale. Per questo, in parallelo, almeno in alcune imprese sono stati attivati anche dei corsi di italiano per favorire l’inserimento dei dipendenti stranieri nel contesto sociale in cui vivono e nel mondo del lavoro.
Insomma, sono esempi di azioni molto concrete che hanno voluto rispondere a esigenze reali di vita quotidiana del lavoratore, degli imprenditori, e hanno portato poi a una riorganizzazione dei tempi del lavoro all’interno delle aziende stesse. Sul sito Agriwel trovate tutte queste esperienze, così potete entrare nel dettaglio.
Ora quali sono gli obiettivi che vi ponete con Agriwel, dopo tutte queste esperienze durate anni?
GM | I progetti producono risultati quando non si chiudono su se stessi, ma diventano volano di nuove iniziative e in definitiva, secondo me, si traducono in azioni di sistema. Per produrre davvero risultati visibili, misurabili, il progetto deve avere una sua continuità e una prospettiva di sistema.
Quindi quali obiettivi ci poniamo con Agriwel? L’obiettivo centrale rimane quello di supportare le aziende – il cui numero, in termini di contatti e adesioni al progetto Agriwel, sta aumentando – nel promuovere piani aziendali di welfare di conciliazione, perché è su questo tema che noi ci stiamo focalizzando. Però naturalmente nulla vieta che poi i piani di welfare si allarghino a seconda dei bisogni. E ci sembra che questo possa essere un inizio per far capire il valore di questi piani aziendali, un motore di cambiamento per la micro e piccola impresa in particolare. Con Agriwel abbiamo poi pensato di allargare la platea dei nostri destinatari, quindi di concentrarci sulle imprese femminili, così significative nel settore agricolo, e sui giovani. Soprattutto le imprenditrici agricole che abbiamo intercettato nei nostri progetti hanno espresso fortemente la necessità che l’attenzione al welfare di conciliazione sia posta sui bisogni dei dipendenti, ma anche su quelli delle imprenditrici stesse, che devono essere intese quali oggetto e soggetto di attenzione proprio per la difficoltà intrinseca, per le donne, nel lavoro in agricoltura. L’altro aspetto cui prestare attenzione, dal nostro punto di vista, è quello dei giovani.
Ci sembra infatti importantissimo avere anche come destinatari del nostro progetto le giovani generazioni, sia studenti (delle scuole di settore o che frequentano percorsi di apprendistato) sia quei giovani che intendono ritornare al settore agricolo come lavoratori o come imprenditori con un approccio che ci pare molto diverso rispetto a quello della generazione precedente. Il desiderio di dedicarci anche alle scuole nasce poi dalla convinzione che è importante parlare di welfare, di conciliazione, di condivisione, di ruoli maschili e femminili già a partire dalle scuole secondarie: non se ne può parlare, secondo me, quando le ragazze i ragazzi si affacciano al mondo del lavoro. Bisognerebbe cominciare a rifletterci per tempo su queste tematiche.
In questi primi mesi del progetto un obiettivo già raggiunto è stato la messa online del sito Agriwel.net…
GM | Sì, un primo risultato è consistito nella creazione del sito internet – Agriwel.net – che aspira a diventare un vero e proprio portale su queste tematiche. Al suo interno abbiamo cercato di recuperare e raccogliere tutti i materiali e i risultati dei progetti precedenti che pareva si stessero già un po’ disperdendo. Grazie a questo portale vorremmo metterli a disposizione di tutti perché davvero queste esperienze si possano capitalizzare e diventino trasferibili in altri territori.
Questo primo risultato si accompagna – e questo la facciamo trasversalmente lungo tutto il progetto – alle azioni di sensibilizzazione e consulenza alle imprese ove le imprese accettino di mettersi in gioco (perché anche loro devono mettersi in gioco rispetto a questi temi). Come seconda azione continueremo poi a supportare la contrattazione territoriale: la nostra idea è quella di far nascere un contratto territoriale della Città Metropolitana di Milano dedicato al settore dell’agricoltura. Continueremo inoltre a promuovere le attività di networking tra imprese perché riteniamo importante che le aziende capiscano che la rete, le reti effettive consentono di raggiungere risultati significativi.
Quali sono le lezioni apprese in questi 5 anni dedicati al welfare aziendale, all’agricoltura e alla micro e piccola impresa?
GM | Dirò una cosa molto banale: abbiamo appreso che lavorare con le micro e piccole imprese è molto difficile. Sono veramente parcellizzate e hanno esigenze diverse l’una dall’altra. Insomma, in merito alle lezioni apprese mi ritrovo in tutti gli elementi di difficoltà evidenziati nella matrice SWOT presente nella ricerca che avete curato sul welfare aziendale “a filiera corta” in provincia di Siena: in base alla nostra esperienza, noi li condividiamo tutti! Guardando alle prospettive, si tratta di portare il più possibile a sistema gli interventi, di ampliare il più possibile il bacino dei destinatari perché le imprese agricole sono tante, perché il futuro – l’impulso ci arriva dall’Europa con il Green New Deal – sta molto in questo settore, che è ampio e variegato.
E poi, come dicevo, occorre continuare a coinvolgere molto i territori. Le risposte, a livello territoriale e locale, sono la chiave di volta della promozione del welfare e anche l’interfaccia con le piattaforme. Sulle microimprese è difficile parlare di piattaforme: però se le imprese imparassero a fare rete e anche interfacciarsi con piattaforme che danno servizi locali, credo che ne trarrebbero un vantaggio. In conclusione è nostra convinzione che le politiche di conciliazione o di armonizzazione siano la chiave, il driver per il futuro, per la futura organizzazione del lavoro.
#FilieraCorta
Questo è articolo è parte del ciclo Storie di welfare aziendale “a filiera corta”, realizzato da Percorsi di secondo welfare con la collaborazione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.