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Recentemente l’Istat ha pubblicato uno studio campionario incentrato sulle azioni di sostenibilità sociale e ambientale realizzate dalle imprese italiane tra il 2016 e il 2018 (disponibile qui). L’analisi ha coinvolto circa 280mila aziende con almeno 3 addetti: tale bacino rappresenta un universo di circa un milione di unità, corrispondenti al 24% delle imprese italiane che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 91,3% dei lavoratori dipendenti.

La sostenibilità sociale e ambientale nelle imprese italiane

Stando ai risultati del report sarebbero 712mila (il 69%) le imprese che nel 2018 hanno introdotto misure e interventi di welfare e finalizzati a migliorare il benessere lavorativo del proprio personale. Sarebbero invece 688 mila (il 66,6%) le organizzazioni che hanno predisposto azioni per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività (figura 1).

Figura 1. Imprese che hanno attivato iniziative in campo sociale o ambientale (percentuale)

Fonte: Istat, 2018

Le motivazioni che portano le imprese a investire in campo sociale sono soprattutto legate alla mission e alla strategia aziendale (37%). Come si vede dalla figura 2, circa un’azienda su 4 (il 26%) ha indicato invece che la ragione per cui ha messo in piedi tali interventi riguarda la loro coerenza con l’attività svolta dall’impresa. Le restanti organizzazioni hanno dichiarato di aver fatto questi investimenti per migliorare la loro reputazione (18%) e per rafforzare il legame con la comunità locale (16%); solo il 2% è invece mossa da sgravi e vantaggi fiscali.

Figura 2. Motivazioni per cui le imprese attivazioni azioni di sostenibilità

Fonte: Istat, 2018

Le iniziative di sostenibilità sociale e di welfare nelle imprese italiane

Come detto dunque sono circa il 70% le imprese impegnate in azioni – extra rispetto a quanto previsto dalla legge – volte a migliorare il benessere lavorativo e lo sviluppo professionale dei loro collaboratori. Come si vedrà in seguito, all’interno di questa definizione non rientrano esclusivamente misure di welfare aziendale tout court, ma anche prestazioni di più ampio respiro.

A questo riguardo, come sintetizzato dalla figura 3, le pratiche più diffuse individuate dall’indagine dell’Istat riguardano l’adozione di una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (di entrata, uscita, pausa, ecc.) e la previsione di interventi per la formazione e lo sviluppo professionale: tra il 2016 e il 2018 tali azioni hanno interessato rispettivamente il 68% e il 65% delle imprese con almeno 3 addetti (Figura 3).

Più contenuta, ma comunque significativa, risulta essere l’adozione di buone prassi collegate alla tutela delle pari opportunità dei lavoratori (62%), così come il loro coinvolgimento nella definizione degli obiettivi aziendali (60%). Un ulteriore elemento di attenzione nelle politiche aziendali rivolte al benessere lavorativo riguarda il mantenimento di livelli occupazionali elevati anche in presenza di una riduzione dei profitti aziendali (52%).

Le misure più vicine a ciò che comunemente rientra sotto la definizione di welfare aziendale presentano invece livelli percentuali inferiori. Ad esempio, il 37% delle imprese prevede la possibilità di fruire di permessi, congedi o part-time per la nascita di un figlio oltre a quanto previsto dagli obblighi di legge; il 33% ha invece introdotto permessi per l’inserimento dei figli al nido o alla scuola materna e il 22% l’estensione della durata del congedo per gravi motivi. Seguono poi forme di incremento del congedo parentale (12%) e forme di sostegno economico (11%); soltanto il 2,5% delle imprese attente al benessere lavorativo offre infine un asilo aziendale a condizioni agevolate o gratuite.

Figura 3. Gli interventi più diffusi nel campo del benessere lavorativo

Fonte: Istat, 2018

Secondo le stime effettuate dall’Istituto di Statistica non emergono particolari differenze per la maggior parte delle misure e azioni a livello territoriale. Le uniche eccezioni riguardano la flessibilità oraria (72% delle imprese del Nord-est, 69% del Nord-ovest, 68% del Centro e 64% nel Mezzogiorno) e i permessi per l’inserimento dei figli al nido o alla scuola materna (35% nel Nord-ovest, 35% nel Nord-est, 33% del Centro e 27% nel Mezzogiorno), entrambe più diffuse tra le imprese del Settentrione.

Un fattore che influisce particolarmente sull’adozione delle misure di welfare, conciliazione vita-lavoro e benessere lavorativo è la dimensione aziendale: come mostrato anche da varie ricerche sul tema (come questa o questa) la possibilità di trovare un’organizzazione con tali prestazioni aumenta al crescere del numero di addetti; ciò vale per tutte le tipologie di misure analizzate e elencate nella figura 3.

La diffusione dello smart working e del telelavoro prima della pandemia

Il forte peso della dimensione aziendale è particolarmente evidente se ci si concentra sui fenomeni dello smart working e del telelavoro (figura 3). Il ricorso a queste misure organizzative – presenti a livello assoluto rispettivamente nel 10% e nel 4% delle organizzazioni – è molto più consistente nelle grandi imprese (24% smart work e 15% telelavoro) e medie (13% e 8%), piuttosto che nelle piccole (10% e 5%) e micro (10% e 3%).

Figura 4. Diffusione di smart working e telelavoro per dimensione aziendale

Fonte: Istat, 2018

Inoltre, come la pandemia e il lockdown ci hanno insegnato (ne abbiamo parlato qui), differenze importanti sussistono anche sulla base del settore produttivo. In merito, il documento dell’Istat evidenzia che una presenza maggiore dello smart working si presenta nei comparti dei Servizi di informazione e comunicazione (27%), in quello dell’Istruzione (20%), in quello delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (18%), nel settore della Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (15%) e nelle attività di Servizi alle imprese (14). Le percentuali più basse si trovano invece nelle Attività immobiliari, nelle Costruzioni, nella Ristorazione e nel comparto manifatturiero (figura 5).

Figura 5. Diffusione di smart working e telelavoro per settore

Fonte: Istat, 2018

Il welfare aziendale, la sostenibilità e l’Agenda 2030

Il report curato dall’Istat ci aiuta a comprendere come le iniziative delle imprese – soprattutto quelle di welfare aziendale – possono divenire strategiche anche in ottica di sostenibilità. Come recentemente evidenziato da Franca Maino e Federico Razetti nel volume “Organizzazioni solidali ai tempi del Covid-19” (che potete scaricare gratuitamente qui), anche le aziende giocano infatti un ruolo centrale nel raggiungimento degli obiettivi definiti dall’Agenda 2030.

Se si considera, ad esempio, il fenomeno del welfare aziendale appare chiaro come le organizzazioni – pubbliche, private e del non profit – possano contribuire ad alcuni degli SDGs (Sustainable Development Goals) definiti dalla Risoluzione adottata nel 2015 dalle Nazioni Unite; in merito basti pensare agli obiettivi inerenti al sostegno all’occupazione e sviluppo economico (obiettivo 8), il sostegno alle imprese, innovazione e infrastrutture (9), la conciliazione, parità di genere e empowerment femminile (5) e il rafforzamento delle comunità sostenibili e delle partnership (11 e 17).

Come evidenziano anche i dati riportanti sopra, però, la strada da percorrere per rafforzare queste pratiche è ancora lunga. Ciò che sembra necessario è, in prima battuta, garantire una diffusione del welfare occupazionale più uniforme all’interno del nostro Paese, sostenendo le micro e piccole imprese, le realtà del Mezzogiorno e quelle che operano in alcuni settori che – tradizionalmente – sono meno permeabili al welfare.

A tale scopo, come spesso sottolineiamo attraverso il nostro lavoro, per il futuro sarà strategico promuovere la creazione di reti di imprese e/o reti multi-stakeholder volte a sostenere la nascita di progetti di welfare aziendale territoriale o interaziendale. Queste formule aggregative consentono di dar vita a progettualità capaci di ridurre le criticità esposte in precedenza, favorire economie di scala, aggregare la domanda allargando la platea dei potenziali beneficiari, promuovere un riposizionamento dei soggetti in gioco senza perdere di vista la dimensione solidale che il welfare oggi è ancora di più chiamato a svolgere e, in ultimo, rafforzare il ruolo delle imprese nel raggiungimento dei SDGs.

Riferimenti

Report Istat “Sostenibilità nelle imprese: aspetti ambientali e sociali”