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Fondazione Cariplo ha lanciato un’imponente iniziativa di contrasto alla povertà per la città di Milano in occasione dei suoi 25 anni di attività. L’azione si concentra in particolare sulla povertà infantile e alimentare e sui nuclei familiari fragili esposti a vulnerabilità ed esclusione sociale. Attraverso l’elaborazione di strategie comuni ad attori pubblici e privati, e con l’aiuto di una complessa analisi dei dati, il programma QuBì si propone di gettare le basi per una risposta strutturale alla povertà a Milano. QuBì, lanciato nel 2017, ha conosciuto una prima tappa fondamentale la scorsa primavera con la pubblicazione della call Al bando le povertà!; le "ricette di quartiere" nate da questo bando sono state presentate a dicembre 2018 e saranno implementate nel corso del 2019. Dopo aver approfondito "Al bando le povertà!" in una prima intervista con Monica Villa, vice-direttrice dell’area “Servizi alla Persona – Welfare di Comunità”, abbiamo proseguito la chiacchierata concentrandoci sugli obiettivi generali del programma QuBì e sulle altre azioni che lo compongono.

La call “Al bando le povertà!” si inserisce nel più ampio programma QuBì – La ricetta contro la povertà infantile. Come sta procedendo il programma? Su quali altri fronti state lavorando?

Bisogna innanzitutto precisare che il programma QuBì è molto ambizioso e si propone degli obiettivi alti; quasi subito ci siamo resi contro che – in una città grande come Milano – promuovere interventi di sistema è complesso e richiede lunghi tempi di implementazione. Per questo fin dall’inizio ci siamo posti come obiettivo non tanto quello di intervenire nei tre anni di sperimentazione, quanto piuttosto di costruire le basi per un lavoro futuro capace di collaborazioni significative. La call “Al bando le povertà!”, che rispecchia in pieno questo approccio al futuro [come abbiamo visto nella prima parte dell’intervista, NdR], è uno dei tre assi di intervento del programma QuBì. Stiamo poi lavorando principalmente su altri due fronti: l’elaborazione dei dati sulla povertà nel Comune di Milano e la predisposizione, a livello cittadino, di azioni di contrasto alla povertà alimentare e di promozione dell’alimentazione sana.

Perché, dal vostro punto di vista, l’elaborazione dei dati è così importante? Ci puoi raccontare come si è svolto questo lavoro e chi ha coinvolto?

L’unico dato che avevamo a disposizione era una stima di 21mila minori in povertà sulla città di Milano; si tratta solo di una stima Istat, dato che l’Istituto nazionale non rilascia micro-dati a livello cittadino. Il nostro intento era di provare ad avere un dato reale per promuovere una conoscenza più dettagliata, con un focus territoriale e, di conseguenza, riuscire a programmare in maniera più puntuale e sostenere interventi sempre più appropriati. Siamo partiti coinvolgendo il Comune di Milano che, nel momento in cui l’abbiamo contattato, stava riflettendo sulla costruzione di un archivio integrato che mettesse in collegamento l’anagrafe, il catasto e la situazione reddituale dei cittadini milanesi. Questo archivio aveva, per il Comune, lo scopo di fornire dati e indicazioni su come ridisegnare la Tassa sui Rifiuti e per noi ha invece rappresentato l’opportunità di leggere le situazioni di povertà a Milano. Abbiamo preso in considerazione 21 misure che mirano a contrastare la povertà o hanno la condizione di povertà come requisito d’accesso, quali ad esempio il bonus bebè, l’ex sostegno per l’inclusione attiva (SIA), contributi o servizi erogati direttamente dal Comune o interventi di natura nazionale che però transitano attraverso i servizi sociali comunali. Dopo un complesso lavoro di coordinamento tra i vari archivi – che hanno tutti linguaggi e forme differenti – e grazie a strumenti che ci hanno permesso di lavorare nel rispetto della privacy, siamo riusciti finalmente ad individuare un bacino di quasi 54.500 persone suddivise in 19.000 nuclei familiari (dati riferiti all’anno 2016). All’interno di questo gruppo di beneficiari abbiamo poi selezionato i nuclei in cui erano presenti minori, perché il focus del programma QuBì è la povertà infantile. Abbiamo così individuato 9.400 famiglie che si trovano in situazione di povertà, a cui corrispondevano circa 19.700 minori.

A quel punto ci siamo interrogati sulle cifre che avevamo ottenuto: eravamo riusciti a individuare tutti i minori milanesi in condizione di povertà? Quindi tutti i minori milanesi in condizione di povertà sono raggiunti da almeno un intervento pubblico di contrasto alla povertà e di inclusione sociale? La cifra emersa dal nostro lavoro (19.700 minori) non è così distante dalla stima Istat (20-21.000 minori), riteniamo però che questo confronto non sia sufficiente: le 21 misure utilizzate per individuare i nuclei in povertà prevedono tutte un qualche tipo di attivazione da parte delle famiglie, perciò c’è un concreto rischio che dalla nostra rilevazione siano esclusi alcuni nuclei familiari (ipotizziamo, ad esempio, quelli più fragili e meno inseriti nelle reti sociali e dei servizi, che non hanno strumenti per poter presentare richiesta di contributo). Come programma QuBì, vorremmo fare un passo ulteriore: invece di partire dalle “risposte”, sarebbe fondamentale partire dalle condizioni reddituali delle famiglie, partire dal “bisogno” per poi fare dei passaggi di analisi ulteriori.

Inizialmente avevamo immaginato l’analisi dei dati come preliminare rispetto al bando QuBì, ma in fase di realizzazione ci siamo accorti che il lavoro era molto più complesso del previsto e, soprattutto, che poteva essere ampliato e risultare ancora più interessante e fruttuoso di quanto ipotizzato inizialmente. Per questo motivo abbiamo deciso di trasformare l’elaborazione dei dati in un asse portante di tutto il programma. Per poter proseguire con le altre azioni, inizialmente vincolate ai risultati di questo lavoro di ricerca, abbiamo condotto parallelamente un’analisi quantitativa e qualitativa volta a promuovere la call “Al bando le povertà!” [abbiamo parlato di questa rilevazione nella prima parte dell’intervista, NdR].

Oltre al Comune sono stati coinvolti altri attori nel lavoro di elaborazione dei dati sulla povertà a Milano?

Ci siamo rivolti anche a due protagonisti del privato sociale nel campo della povertà: Caritas Ambrosiana e Banco Alimentare. Ovviamente la prima preoccupazione è garantire l’anonimità dei dati e la tutela della privacy degli utenti di queste due realtà, perciò stiamo procedendo lentamente, con tutti i dovuti accorgimenti e tutele per le persone in questione. Con Caritas il processo è più avanzato: questo attore ha infatti già iniziato ad implementare un sistema di raccolta dei dati volto a rilevare l’impatto degli interventi e a orientare le scelte di programmazione dell’ente. Il sistema di raccolta dei dati sarà gradualmente utilizzato in tutti i centri d’ascolto, a partire da un nucleo di centri “sentinella” che sono stati selezionati perché statisticamente significativi. Con Banco Alimentare la riflessione è invece ancora in fase progettuale, anche a causa delle maggiori criticità legate al fatto che questo soggetto lavora con moltissimi attori, numerosi e diversi fra loro, dalle mense, agli enti caritativi che distribuiscono pacchi alimentari. Dal nostro punto di vista è importante che questi enti, così come tutti gli altri protagonisti a cui QuBì si rivolge, comprendano che l’analisi dei dati non ha lo scopo di ridurre i finanziamenti o giudicare le singole iniziative e si propone invece di avere contezza della rete locale di sostegno e di renderla più rispondente alle necessità di famiglie e persone in difficoltà.

Come per “Al bando le povertà!” [v. la prima parte dell’intervista, NdR], il nostro obiettivo per questo lavoro di raccolta dati è mettere le basi per la predisposizione di uno strumento di lettura dei bisogni e delle risposte costantemente aggiornato che rimanga operativo anche dopo la conclusione del programma QuBì.

Qual è il terzo ambito di intervento del programma QuBì, oltre alla call “Al bando le povertà!” e al lavoro di raccolta e analisi dei dati?

L’ultimo tema che affrontiamo attraverso il programma QuBì è quello del contrasto allo spreco dei beni alimentari e alla povertà alimentari. Ci stiamo concentrando, in particolare, su tre azioni: sviluppare nuovi Empori solidali, rafforzare la capacità di raccolta e ridistribuzione delle eccedenze alimentari e trovare modalità di educazione ad una sana alimentazione, a partire dall’istituzione scolastica.

Sui primi due aspetti ci stiamo confrontando con il Comune di Milano per promuovere azioni coerenti con la Food Policy cittadina [che avevamo approfondito qui, NdR]. Per quanto riguarda il primo ambito di intervento il programma QuBì promuoverà la creazione di nuovi Empori solidali in collaborazione con Caritas Ambrosiana; riteniamo che l’analisi dati che stiamo conducendo – insieme ai progetti di “Al bando le povertà!” – potrà fornirci delle informazioni utili a progettare i nuovi Empori in luoghi e con modalità più rispondenti alle esigenze delle famiglie e delle persone in condizione di povertà.

Per quanto riguarda il secondo punto – il contrasto allo spreco alimentare – all’inizio del programma QuBì abbiamo finanziato la creazione di due hub di raccolta delle eccedenze alimentari gestiti da Banco Alimentare [ne abbiamo parlato qui, NdR]. Queste strutture – attivate in forma sperimentale – dovrebbero garantire una maggior capillarità sul territorio e permettere a Banco Alimentare di entrare in relazione anche con il commercio di prossimità e di allargare la propria rete di collaborazioni (che attualmente coinvolge principalmente la grande distribuzione organizzata). Il Politecnico di Milano accompagnerà la sperimentazione effettuando un’analisi organizzativa: questa valutazione permetterà di rilevare l’efficacia di raccolta e distribuzione degli hub e la loro sostenibilità economica. A fronte di questa ricerca si potrà quindi decidere se rendere istituzionale il progetto sperimentale e come ampliarlo sul territorio comunale.

Il programma QuBì intende infine promuovere il coinvolgimento delle scuole nel contrasto alla povertà e allo spreco alimentare. Oltre a considerare le scuole come luoghi presso cui è possibile trovare cibo sano e di qualità, QuBì si propone di sperimentare la trasformazione degli istituti scolastici in possibili canali di educazione alimentare e di ridistribuzione del cibo. Abbiamo attivato un percorso di confronto con il Comune di Milano e con Milano Ristorazione (ditta a cui è affidata la gestione del servizio di refezione scolastica della città) per capire come operare in questo senso. Anche sul tema dell’educazione alimentare siamo in una fase preliminare di confronto con gli attori locali, innanzitutto l’assessorato municipale all’educazione e istruzione. Anche in questo ambito – come nella call “Al bando le povertà!” – l’idea non è tanto di promuovere nuovi interventi e progettualità ma di far emergere e mettere in collegamento le molte azioni già attive a livello locale.

Quali sono le risorse destinate all’implementazione del programma QuBì? Attraverso quali meccanismi di finanziamento è sostenuto?

Il programma conterà su un ammontare complessivo di 25 milioni di euro. La Fondazione Cariplo, promotrice dell’iniziativa, ha garantito un investimento iniziale e successivamente sono state coinvolte importanti realtà imprenditoriali e filantropiche con un forte legame con Milano: Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Fiera Milano e Fondazione Enrica e Romeo Invernizzi. Incontriamo periodicamente questi partner per progettare insieme gli sviluppi del programma: ognuno si fa portatore di punto di vista e priorità differenti.

Prossimamente, quando il programma sarà in una fase di sviluppo più avanzata, vorremmo provare a promuovere delle campagne di raccolta fondi rivolte alla cittadinanza e a tutte le persone e realtà imprenditoriali e associative che in qualche modo gravitano intorno a Milano. Sarebbe importante – dal nostro punto di vista – non per lanciare un allarme sulla povertà, ma per far capire che la povertà minorile può essere contrastata se tutto il tessuto cittadino si attiva per trovare delle risposte.