Come vi abbiamo raccontato qui, per l’anno fiscale 2020 il Legislatore aveva stabilito la possibilità di raddoppiare il limite destinato ai cosiddetti fringe benefit. Nel Decreto Agosto era stata infatti introdotta una norma che consentiva a tutte le imprese di destinare ai propri dipendenti una serie di servizi di welfare aziendale per un valore massimo di 516,46 euro, il doppio rispetto ai 258,23 euro previsti dalla normativa, totalmente esenti da tassazioni. Il Parlamento sta valutando se rinnovare tale previsione anche per l’anno in corso.
Fringe benefit: cosa sono e come funzionano?
I fringe benefit riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che godono di specfici benefici fiscali secondo quanto previsto dalla normativa che regola il welfare aziendale. Tra le formule più comuni ci sono: card acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online), buoni benzina, beni e servizi connessi allo sviluppo della mobilità sostenibile (novità recente, prevista dall’interpello 293/2020 dell’Agenzia delle Entrate), polizze assicurative. Molto spesso, inoltre, nei fringe benefit rientrano varie forme di voucher che, tramite strumenti digitali o cartacei, sono spendibili presso attività commerciali e fornitori di servizi convenzionati. Come accennato in apertura, attualmente l’articolo 51 del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) pone un limite al loro utilizzo da parte delle aziende. Secondo la norma fiscale è infatti possibile per i datori di lavoro elargire questi benefit ai propri dipendenti entro il valore annuo massimo di 258,23 euro.
Verso un nuovo incremento della “soglia”?
In questi giorni, nel corso del confronto al Senato sul cosiddetto Decreto Sostegni, sono stati presentati tre emendamenti – a firma Floris (Forza Italia), Laus Pittella (Partito Democratico) e Conzatti (Italia Viva) – finalizzati a ripristinare la soglia dei 516,46 euro prevista per la seconda parte del 2020. Come si legge nella relazione illustrativa degli emendamenti, “questa misura, utilizzabile facilmente anche dalle piccole e medie imprese, rappresenta uno strumento interessante a disposizione di tutto il tessuto produttivo italiano, per sperimentare i vantaggi del welfare aziendale“.
Inoltre, come abbiamo avuto modo di sottolineare in occasione del precedente aumento della “soglia”, questo intervento può essere un’opportunità economica per il sistema Paese. In generale infatti le cifre che i datori di lavoro destinano al welfare aziendale vanno ad integrare la normale retribuzione ma, al contrario di quest’ultima, non possono “andare a risparmio” e devono essere spese dai lavoratori entro l’anno fiscale di riferimento. In un periodo come quello attuale in cui molte attività economiche hanno ridotto drasticamente il proprio volume di affari a causa di una generale contrazione dei consumi dovuta alla pandemia, permettere un maggiore ricorso ai fringe benefit potrebbe dare una decisa spinta ai consumi. Ma occorre pensare anche ai rischi.
Attenzione ai rischi: il ruolo dei “protagonisti” del welfare aziendale
L’eccessivo ricorso ai fringe benefit porta comportan anche alcune criticità su cui riflettere. Comunemente, infatti, questi strumenti tendono a non essere utilizzati per spese e servizi di natura sociale. Come spesso abbiamo ricordato, la normativa pone allo stesso livello prestazioni molto differenti tra loro: alcune sono sostanzialmente dei benefit accessori, o comunque legati al tempo libero (viaggi, palestre, sconti), mentre altre – spesso definite come più “nobili” – sono rivolte a fornire una risposta a bisogni di natura sociale dei lavoratori e dei loro familiari. I fringe benefit appartengono alla prima categoria, e sono comunemente adoperati per consentire ai lavoratori e alle lavoratrici di acquistare beni o servizi presso grandi catene.
Proprio per questo, nella gestione degli interventi di natura aziendale, è (e sarà) fondamentale il ruolo dei vari “attori” del welfare aziendale. Tra questi ci sono i cosiddetti provider di welfare aziendale, che potrebbero sostenere progettualità più complesse e attente alla dimensione sociale del welfare aziendale, ma anche le parti sociali, che potrebbero orientare l’azienda verso interventi ritenuti in grado di rispondere maggiormente ai bisogni sociali dei dipendenti.