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L’articolo che segue è parte di “Allargare lo sguardo sulla conciliazione”, dispensa che raccoglie approfondimenti tematici per i partecipanti del modulo formativo “Rinnovare le RTC: reti e nuove logiche per innovare i servizi locali” realizzato da WorkLife Community.

La direttiva UE 2019/1158, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, si inscrive a pieno titolo tra le politiche adottate dall’Unione Europea per promuovere la parità di genere. La Direttiva, che è l’esito di un lungo e acceso dibattito iniziato nel 2016, nonostante le numerose modifiche che ne hanno ridotto il potenziale innovativo1 introduce politiche di degenderizzazione relative all’equilibrio tra lavoro e vita privata volte a equilibrare i carichi di cura e migliorare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Vediamo meglio di cosa si tratta.

Il divario di genere nel mercato del lavoro e nelle retribuzioni

Quella della conciliazione vita-lavoro è ormai concepita dall’Unione Europea come una sfida per la competitività e la crescita. Anche per questi motivi, dunque, l’adozione della Strategia per la parità di genere 2020-2025 identifica alcune priorità chiave per la creazione di un’economia paritaria rispetto al genere non solo nel mercato del lavoro (e in vari settori produttivi), ma anche nelle retribuzioni.

Tassi di occupazione per genere per paese (%), EU27, raffronto 2008–2019 (20-64). Fonte: Eurofound, 2021

Da un lato, infatti, se si prende in considerazione il tasso di occupazione per genere, appare evidente che in questo ambito persiste ancora oggi un divario di genere significativo: nel 2020, più di 3 uomini su 4 avevano un lavoro (77,2%) mentre lo stesso si poteva dire solo di 2 donne su 3 (66,2%). In Italia, invece, mentre per gli uomini si registrava un dato di poco inferiore a quello europeo (72%), solo 1 donna su 2 aveva un lavoro (52%): si definisce così un divario di genere di circa 20 punti percentuali per il caso italiano contro gli 11 della media europea.

Dall’altro lato, inoltre, è fondamentale notare che questo divario si aggrava se consideriamo il tasso di occupazione per genere in presenza di figli. Nel 2020, in Europa – e in misura maggiore in Italia – i padri erano maggiormente occupati rispetto agli uomini senza figli, alle donne senza figli e, in particolare, rispetto alle madri. Semplificando: se il tasso di occupazione per gli uomini aumenta all’aumentare del numero di figli, per le donne è vero il contrario, come mostrano i dati dell’Eurostat. Una tendenza dovuta alla persistenza del modello dell’uomo breadwinner (e quindi unico percettore di un reddito da lavoro) e della donna responsabile della cura.

Tasso di occupazione per presenza di figli/e, anno 2020. Fonte: Eurostat, 2021.

I dati sull’impiego a tempo pieno, infatti, mostrano che le donne tendono a lavorare molto più spesso part-time e con contratti a tempo determinato rispetto agli uomini. Ciò è spesso legato a una maggior quantità di tempo dedicato al lavoro di cura: nel 2021, 1 donna su 3 dichiarava di essere disoccupata per svolgere tale attività (contro il 9% degli uomini); nel 2020, 1 donna su 4 (26%) lavorava part-time per questo motivo (contro il 6% degli uomini) e sempre per ragioni legate alla cura – in particolare dei figli – 6 donne occupate su 10 hanno subito un qualche cambiamento nella propria occupazione (contro il 17% degli uomini)2. Non sorprende dunque che le donne guadagnino meno rispetto agli uomini: secondo quanto riportato da Eurostat (2022), infatti, nel 2018 le donne hanno percepito una retribuzione oraria lorda in media inferiore a quella degli uomini di 14,4 punti percentuali.

L’impatto della pandemia

Non possiamo poi dimenticare o sottovalutare l’impatto della pandemia da Covid-19, che ha significativamente colpito occupazioni e settori produttivi che sono ancora oggi altamente femminilizzati – all’interno di un mercato del lavoro europeo che è ancora fortemente segregato in base al genere. Come segnala anche l’European Institute for Gender Equality, sono state soprattutto le giovani donne (con un alto tasso di contratti a tempo determinato), o quelle con bassi livelli di educazione (e quindi in occupazioni scarsamente qualificate che non prevedono il telelavoro), e soprattutto le donne migranti (con importanti difficoltà nell’accedere alla protezione sociale) ad aver scontato il maggiore impatto negativo in termini di occupazione e di fuoriuscita dal mercato del lavoro a causa della pandemia.

Quando, invece, è stato possibile per le donne accedere al telelavoro, non è chiaro se sia stato un bene o un male. Da un lato, ha fornito alle donne con carichi di cura la possibilità di mantenere un’occupazione; dall’altro, pare tuttavia aver ridotto la visibilità del loro lavoro e le prospettive di carriera, oltre ad aver aggravato i conflitti sulla conciliazione vita-lavoro attraverso il consolidamento dei ruoli di genere tradizionali3.

Guardando al Gender Equality Index, possiamo tuttavia notare un miglioramento nella situazione dell’Italia che, nel 2021, si aggiudica il 14° posto con un punteggio di 63,6 su 100, mentre nel 2005 era solo 26°. Se, da una parte, questo è un chiaro segnale del fatto che il nostro paese è sulla buona strada per superare il gender gap, dall’altra, dobbiamo tenere presente che comunque l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile.

Nonostante alcuni progressi, in Italia e in Europa persistono divari occupazionali ampi fra uomini e donne – e, come abbiamo avuto modo di vedere, in alcuni paesi il dato peggiora per le donne con figli o con compiti di cura: ciò genera divari retributivi che, nel tempo, si trasformano in divari pensionistici, rischiando in generale di esporre le donne a un maggiore rischio di povertà. Le politiche di conciliazione possono fare molto in questo senso, soprattutto quando sono in grado di tenere in considerazione i diversi bisogni e rischi della popolazione femminile, oltre a tutti quei fattori di discriminazione intersezionali rispetto al genere, come la disabilità, l’età, il background migrante.

L’adozione della Direttiva 2019/1158: un percorso travagliato

In questo scenario si inserisce dunque l’adozione della direttiva relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Si tratta di un provvedimento particolarmente interessante perché, se è vero che l’Unione Europea ha da sempre promosso il modello dual-earner dual-carer, è anche vero che la maggior parte delle iniziative promosse e realizzate finora ha focalizzato l’attenzione sul miglioramento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, lasciando in ombra il tema della condivisione delle responsabilità di cura tra entrambi i genitori4.

La direttiva mette invece sotto i riflettori la necessità di un aumento del ruolo attivo dei padri nell’assistenza quale strumento capace di incidere positivamente anche sul miglioramento delle possibilità per le madri di mantenere e rafforzare la propria posizione nel mercato del lavoro. In questo modo, la direttiva mira a promuovere il cambiamento dei ruoli di genere, attraverso l’adozione di politiche di degenderizzazione relative all’equilibrio tra lavoro e vita privata5.

Tabella 1, The watering down of the WLBD directive. Fonte: de la Porte et al. (2022), p.12

Nella tabella sopra proposta troviamo riassunti i principali provvedimenti introdotti dalla direttiva europea a confronto con la prima proposta della Commissione. È interessante notare che è stata lasciata alla discrezione degli Stati membri l’estensione della copertura delle garanzie previste dalla direttiva. La proposta della Commissione, infatti, riguardava tutti i lavoratori e le lavoratrici; tuttavia, secondo la versione definitiva dell’art. 2, queste misure sono dirette a lavoratori e lavoratrici così come definiti in base alla legge e al diritto dei singoli Stati membri. La principale criticità di questa definizione, dunque, risiede nella possibilità per i singoli Stati membri di permettere l’accesso alle tutele previste dalla direttiva per chi lavora come dipendente, escludendo così le persone che si trovano ad avere varie forme di lavoro atipico, come chi lavora in autonomia.

Resta indiscusso, tuttavia, che tra le principali innovazioni e sfide introdotte dalla direttiva vi sia la previsione di un congedo di paternità della durata minima di 10 giorni al momento della nascita del figlio o della figlia e che questo sia retribuito almeno al pari dell’indennità di malattia. Allo stesso tempo, però, se è indubbio che l’introduzione di un simile provvedimento sia propizio per l’equità di genere, 10 giorni sono decisamente scarsi per incidere sui tradizionali ruoli di genere nelle responsabilità di cura.

Tale cambiamento può invece essere sostenuto e favorito dalla previsione del congedo parentale di 4 mesi per ciascun genitore, di cui 2 mesi non trasferibili all’altro genitore o dalla previsione dei 5 giorni di congedo per i prestatori e le prestatrici di cura.

Tuttavia, la letteratura sulla cura evidenzia la necessità che i congedi siano remunerati adeguatamente affinché siano richiesti anche dagli uomini. In questo senso, lasciare agli Stati membri la facoltà di definire l’adeguato livello di compensazione per il congedo parentale o di non prevedere una remunerazione specifica per i caregiver rischia di condurre a un’implementazione diseguale di questi strumenti di conciliazione. Ciò concorrerebbe a indebolire non solo i principi sanciti nel Pilastro sociale dei diritti europei (Agence Europe, 2018), ma anche la portata innovativa della direttiva in termini di sovversione dei tradizionali ruoli di genere nella cura.

La video-lezione di WLC sulla Direttiva 2019/1158

Per approfondire ulteriormente il tema consigliamo la visione della la video-lezione (suddivisa in 2 “pillole”) che la professoressa Ilaria Madama dell’Università degli Studi di Milano ha dedicato al tema nell’ambito delle “Pillole di Conciliazione” del progetto WorkLife Community.  Nella prima pillola, Madama effettua un inquadramento sulla situazione occupazionale femminile nell’Unione Europea e su come l’azione UE incide in tale ambito. Nella seconda pillola, la docente effettua un’approfondita analisi della Direttiva UE 2019/1158 attraverso disposizioni in termini di congedo di paternità, parentale e per i prestatori di assistenza.

 

Note

  1. de la Porte, C., et al. (2022). Strengthening European social rights via the work-life balance directive?. Zenodo, 30 dicembre 2022.
  2. European Institute on Gender Equity (2022), Gender equality index 2022. Covid-19 pandemic and care, Vilnius, EIGE. 

    Eurofund, 2021

  3. Estes, S. B., et al. (2007). Is work-family policy use related to the gendered division of housework?, Journal of Family and Economic Issues, 28, 527-545.

    Tomei, M. (2021). Teleworking: A Curse or a Blessing for Gender Equality and Work-Life Balance?, Intereconomics, 56, 260–264.

  4. Lewis, J., e Giullari, S. (2005). The adult worker model family, gender equality and care: the search for new policy principles and the possibilities and problems of a capabilities approach, Economy and society, 34(1), 76-104.
  5. de la Porte, C., et al. (2020). A Gender Equalizing Regulatory Welfare State? Enacting the EU’s Work-Life Balance Directive in Denmark and Poland, The ANNALS of the American Academy of Political and Social Science, 691(1), 84–103.
Foto di copertina: Sofatutor, Unsplash