3 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Da gennaio 2019 tutte le imprese che adottano il contratto collettivo per i lavoratori dei Centri di Elaborazione Dati (CED), di imprese ICT e di professionisti digitali dovranno prevedere una quota annuale per tutti i dipendenti che dovrà essere destinata a beni e servizi di welfare aziendale. Questa novità è stata prevista dal recente rinnovo del CCNL del settore, sottoscritto dalle organizzazioni datoriali Assoced e Lait e dall’organizzazione sindacale UGL Terziario.

Il CCNL per i dipendenti dei centri elaborazione dati

Come è possibile leggere nell’introduzione del CCNL (disponibile integralmente qui), l’obiettivo principale che le parti sociali si sono poste con il rinnovo del contratto è stato quello di sviluppare un primo vero “percorso” normativo-contrattuale per tutto il settore dell’Information and Communication Technology (ICT) e delle professioni digitali.

Grazie alle novità tecnologiche e informatiche, infatti, negli ultimi anni sono nate e si sono sviluppate nuove professioni e nuove attività lavorative. Questi lavoratori e queste imprese si stanno progressivamente organizzando allo scopo di definire dei requisiti e dei trattamenti standard per tutto il settore e, ovviamente, per garantire percorsi formativi necessari. Proprio con tali scopi, le associazioni di rappresentanza Assoced (Associazione italiana centri di elaborazione dati) e Lait (Libera associazione italiana dei consulenti tributari e dei servizi professionali), insieme alla sigla sindacale Unione Generale del Lavoro (del settore terziario), hanno stipulato un accordo collettivo valido per tutte le realtà del settore.

Recentemente, con l’obiettivo di recepire i principali interventi normativi apportati dal Decreto Dignità, questa intesa è stata rinnovata. Grazie a tale rinnovo le parti sociali hanno previsto: l’introduzione di una nuova regolamentazione del contratto a termine, un aumento salariale del 3% valido per il prossimo triennio, l’introduzione dello smart working e del contratto di apprendistato di I livello e di alta formazione, la possibilità per i lavoratori di aderire (grazie a contributi versati dall’azienda) ad un fondo di previdenza complementare aperto (“Il Mio Domani” del Gruppo Intesa Sanpaolo) e la possibilità di porre in essere interventi in termini di flessibilità oraria e conciliazione vita-lavoro attraverso la contrattazione di secondo livello.

L’accordo ha infine previsto una quota fissa che ogni impresa dovrà destinare ai suoi lavoratori – sia a quelli a tempo determinato sia a quelli a tempo indeterminato – per usufruire di beni e servizi di welfare aziendale. Come già successo con altri CCNL primo di questo, i lavoratori avranno accesso ad una cifra per il welfare che aumenterà di anno in anno: sarà infatti pari a 100 euro per il 2019, 120 per il 2020 e 140 per il 2021.

Opportunità importanti, ma attenzione alle distorsioni

Come vi abbiamo mostrato in questi anni, anche grazie alle novità normative previste per questo genere di interventi di natura aziendale, il welfare aziendale e contrattuale sembra diffondersi sempre di più nella contrattazione collettiva. Il CCNL del settore metalmeccanico, infatti, è stato poi seguito da quello degli orafi e argentieri, da quello delle telecomunicazioni, da quello delle RSA e, più di recente, da quello dei centri elaborazione dati.

Queste novità – come evidenziato da molti addetti ai lavori – hanno prodotto alcuni effetti positivi, ma anche alcune distorsioni. In primo luogo, infatti, prevedere a livello obbligatorio misure e benefit di welfare attraverso la contrattazione collettiva rappresenta un primo passo per introdurre tali strumenti in un numero sempre maggiore di imprese. Molte realtà – ad esempio a causa di reticenze a livello culturale – sono infatti spesso “impermeabili” a queste forme di innovazione. Solamente “testarle” può consentire loro di comprenderne le utilità potenziali.

Dal punto di vista delle distorsioni è doveroso segnalare il fatto che le imprese che sono obbligate a prevedere tali strumenti di solito scelgono di far pervenire ai loro dipendenti dei semplici buoni o voucher spesa che, nei fatti, poco hanno a che fare con il welfare. Le ragioni sono fondamentalmente due. Da un lato, un’impresa che deve garantire poche centinaia di euro alla voce welfare non è incentivata a realizzare un piano complesso e articolato: di conseguenza questo può portarla a percorrere la strada più semplice, cioè quella dei buoni spesa. Collegato a ciò vi è il fatto che la normativa pone allo stesso livello prestazioni molto differenti tra loro: alcune sono sostanzialmente dei benefit accessori o comunque legati al tempo libero, mentre altre sono rivolte a fornire una risposta a bisogni di natura sociale dei lavoratori e dei loro familiari.

Riferimenti

CCNL dei Centri di Elaborazione Dati (CED), di imprese ICT e di professionisti digitali