Il "Patto per la Fabbrica" (il cui testo è disponibile qui) siglato il 28 febbraio 2018 da Confindustria con Cgil, Cisl e Uil, e firmato oggi, venerdì 9 marzo, contiene delle linee-guida destinate, almeno nelle intenzioni, ad ammodernare le relazioni industriali e la contrattazione collettiva dei prossimi anni. Quest’ultimo ambito, in particolare, tenendo conto delle innovazioni e delle trasformazioni dei settori produttivi e più in generale dello stesso modo di intendere e di vivere il lavoro nell’epoca della digitalizzazione 4.0, dovrà puntare ad un modello di “governance adattabile” i cui pilastri s’incentrano, tra gli altri, sulla definizione del TEC (il trattamento economico complessivo) e del TEM (il trattamento economico minimo). Nella determinazione del TEC, oltre al TEM, rientrerà anche la valorizzazione delle “forme di welfare” che il CCNL qualificherà come comuni a tutti i lavoratori del settore di riferimento.
Specifiche e prioritarie intese tra le parti firmatarie del “Patto” riguarderanno le materie sulle quali, in questi ultimi anni, si stanno concentrando gli sforzi della contrattazione e tra queste figura, al primo posto di una lista di cinque priorità, proprio il Welfare Aziendale (WA) che, ferma restando la necessità di “salvaguardare il carattere universale del welfare pubblico” dovrà atteggiarsi sempre più come un welfare contrattuale “integrato e coordinato”.
Si noti la differenza: il WA “integrativo” (di quello pubblico), come sin qui è sempre stato qualificato quello predisposto dalle imprese a beneficio dei propri lavoratori, esprime interventi che si affiancano e non si sostituiscono (e spesso neppure dialogano) con quelli di matrice pubblica dei quali sono, appunto, solo “integrativi”; viceversa, come ora si propongono di fare le parti sociali, un WA “integrato” e “coordinato” vogliamo preconizzare possa aspirare a diventare qualcosa di diverso e di ulteriore, ossia un complesso d’interventi che, pur avendo natura e origine occupazionale, possano risultare sempre più sinergici con quelli pubblici, in base ad una dinamica e ad una logica di maggiore interscambio e reciprocità (si pensi alla messa a disposizione di servizi nati in azienda o da essa sostenuti, ma resi accessibili anche alla comunità, così come alla disponibilità, per i dipendenti delle imprese private, di servizi che costituiscono l’offerta territoriale organizzata nel quadro degli interventi pubblici locali ed operativamente realizzati dalle realtà del Terzo Settore).
Tali ultime realtà, nel quadro di uno scenario di WA “integrato”, potranno essere l’elemento di raccordo che potrà dare fattiva attuazione al disegno, tanto più considerando che il Terzo Settore si sta attrezzando anche come diretto interlocutore delle imprese e quindi come protagonista del welfare aziendale, nella sua duplice veste sia di fornitore dei servizi necessari a dare risposte ai bisogni che le imprese intendono soddisfare, sia come operatore provider dei servizi di supporto che le aziende ricercano per ottimizzare la gestione dei programmi di WA.
Il “Patto per la Fabbrica” poi, nel richiamare la necessità di un “maggior coordinamento delle iniziative”, data la loro disomogeneità, derivante dalle diverse impostazioni che al tema ha dato la contrattazione tanto di primo che di secondo livello, sottolinea come sia necessario fissare con “accordi a livello interconfederale” alcune linee di indirizzo su materie di interesse generale che esprimono i temi “core” del WA (si tratta della previdenza complementare, della sanità integrativa, della tutela della non autosufficienza, della conciliazione vita-lavoro e degli altri ambiti di rilievo sociale cui il WA è in grado di fornire risposte).
Insomma: per il “Patto” occorre ricentrare l’attenzione sulla funzione più alta e meritoria del WA, quella che ne giustifica il trattamento fiscale e contributivo di favore anche per evitare quel “Welfare Aziendale ludico” cui in alcuni ambienti sindacali ci si riferisce per indicare gli interventi associabili a meri consumi voluttuari e di scarsa utilità prospettica (si pensi ai buoni benzina o ai buoni per il cinema), ossia a quegli interventi che nulla o poco hanno a che fare con la costruzione di tutele che le politiche di WA, si direbbe di “vero” WA, devono invece saper sempre perseguire per essere realmente considerabili tali.