Lo scorso 16 luglio, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato un nuovo report in merito ai contratti di secondo livello che prevedono forme premiali correlate alla produttività.
Stando ai dati resi pubblici, i contratti attivi nel mese di luglio 2019 sono 14.677; di questi 11.809 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 8.671 di redditività, 7.211 di qualità, mentre 1.342 prevedono un piano di partecipazione. Sono 7.802, invece, gli accordi che prevedono anche misure di welfare aziendale, oltre il 53% del totale.
La percentuale di contratti di secondo livello che regolamentano welfare si conferma quindi in continuo aumento. A luglio 2016, nella prima rilevazione effettuata dal Ministero, "solo" il 17% degli accordi prevedeva infatti tali istituti (qui è possibile approfondire); a novembre 2017 la percentuale era già salita al 33% circa (qui per approfondire). Un anno dopo, a novembre 2018, si è arrivato a toccare il 46% (qui per approfondire). Ora, quasi nove mesi dopo, i dati come detto parlano del 53%.
Allo stesso tempo però la diffusione del welfare aziendale si accompagna ad alcune difformità a livello di dimensione di impresa (piccole vs. medie e grandi), di contesto territoriale (Nord vs. Sud) e a livello di settore produttivo. Se sotto il profilo dimensionale la divisione appare meno netta – il 50% dei contratti riguarda aziende con meno di 50 dipendenti; il 15% realtà che hanno tra 50 e 99 adetti e il 35% realtà con più di 100 lavoratori – in termini geografici solo il 7% dei contratti che prevedono welfare è stato sottoscritto in aziende del Sud e solo il 16% in realtà del Centro; il restante 77% si riferisce invece a imprese del Nord. Per quanto riguarda il settore di attività economica, invece, viene evidenziato che il 57% degli accordi riguarda il settore dei "Servizi", il 42% quello dell’"Industria" e il restante 1% il settore agricolo.
Alcune riflessioni
Nonostante queste differenze, ci sembra doveroso sottolineare come l’aumento della contrattazione del welfare aziendale sia un segnale evidente e importante. Da un lato ha reso possibile ripensare lo scambio contrattuale e il dialogo tra le parti sociali. Dall’altro, a fronte di una crescita della produttività vicino allo zero dagli anni Duemila, nel nostro Paese è stato comunque possibile sviluppare una contrattazione con obiettivi monitorati di produttività, qualità e redditività: in altre parole, anche nei periodi più duri della crisi, attraverso il welfare (ma non solo) le parti sociali sono state in grado di imboccare nuove strade contrattuali.
L’attuale sfida per le parti sociali è quella di garantire la qualità della rappresentanza continuando a tutelare i diritti e a contrattare (migliori) condizioni di lavoro, cogliendone però le repentine evoluzioni in atto. In questo contesto il welfare aziendale, andando a rispondere in parte anche ai cambiamenti sociali che caratterizzano il nostro tempo, si configura come un pilastro per il cambiamento e l’evoluzione della natura dei rapporti lavorativi e contrattuali.
Riferimenti
Qui è disponibile il report di luglio 2019 pubblicato dal Ministero del Lavoro