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Il 20 dicembre 2017 l’Istat ha presentato i dati aggiornati relativi al censimento permanente sulle istituzioni non profit. L’Istituto nazionale di statistica sta infatti riorganizzando le proprie modalità operative implementando nuovi strumenti di raccolta dati e ricerca per garantire ogni anno dati aggiornati. A fianco dei tradizionali censimenti e dei flussi amministrativi verranno dunque realizzate inchieste campionarie per mettere a disposizione dati più recenti e articolati.

L’Istat definisce le “istituzioni non profit” come “unità giuridico-economiche dotate o meno di personalità giuridica, che producono beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non hanno facoltà di distribuire, anche indirettamente, profitti o altri guadagni diversi dalla remunerazione del lavoro prestato ai soggetti che le hanno istituite o ai soci”. Rientrano quindi nella categoria le associazioni (riconosciute e non riconosciute), le fondazioni, le cooperative sociali, i comitati, le organizzazioni non governative, le organizzazioni di volontariato, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), i partiti politici, i sindacati, le associazioni di categoria, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che svolgono attività di carattere sociale, le imprese sociali.

Fatta questa premessa, andiamo a vedere alcuni dei numeri più recenti messi a disposizione dall’Istat, la cui analisi permette di avere un quadro aggiornato sullo stato di salute del non profit italiano e comprendere i cambiamenti intercorsi tra il 2011 (anno dell’ultimo censimento) e il 2015 (anno in cui sono state effettuate le nuove rilevazioni).

Quante sono le istituzioni non profit in Italia

Al 31 dicembre 2015 le istituzioni non profit presenti in Italia erano 336.275, l’11,6% in più rispetto al 2011. Di queste, 171.419 (51%) sono collocate nell’Italia settentrionale, 75.751 (22,5%) nell’Italia centrale e 89.105 (26,5%) nell’Italia meridionale. Le istituzioni non profit sono in crescita, a diversi livelli, in tutte le Regioni con l’eccezione del Molise, ove si rileva un calo del 2%. In relazione al rapporto tra attori presenti e popolazione, l’incidenza maggiore si ha nel Nord-Est (67,4 istituzioni ogni 10 mila abitanti), seguito da Centro (62,8), Nord-Ovest (57,7), Isole (46,8) e Sud (40,8).


La forma giuridica

La maggior parte delle istituzioni non profit sono costituite come associazioni riconosciute e non riconosciute (85%), cooperative sociali (4,8%) o fondazioni (1,9%). Il restante 8% ha un’altra forma giuridica: si tratta di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative o imprese sociali con forma giuridica di impresa. Non emergono variazioni significative rispetto al 2011 ad eccezione che per la crescita della organizzazioni con altra forma giuridica che erano solo il 4,8%. In base alla documentazione fornita dall’Istat e a causa della grande varietà di realtà comprese nella definizione non è possibile avanzare ipotesi fondate sulle ragioni di tale crescita.

I settori di attività

È interessante osservare anche i settori di attività. I primi cinque settori in cui sono attive le istituzioni non profit sono “cultura, sport e ricreazione” (64,9% nel 2015 e 65,0% nel 2011), “assistenza sociale e protezione civile” (9,2% nel 2015 e 8,3% nel 2011), “relazioni sindacali e rappresentanza di interessi” (6,1% nel 2015 e 5,4% nel 2011), “religione” (4,3% nel 2015 e 2,3% nel 2011) e “istruzione e ricerca” (4,0% nel 2015 e 5,2% nel 2011).

I settori con il maggior incremento sono stati “religione” (110,3%), “relazioni sindacali e rappresentanza di interessi” (25,6%), “assistenza sociale e protezione civile” (23,4%) e “cooperazione e solidarietà internazionale” (21,5%) mentre sono calati “tutela dei diritti e attività politica” (-22,9%), “filantropia e promozione del volontariato” (-21,9%), “ambiente” (-18,9%) “istruzione e ricerca” (-13,2%).

Le risorse umane

Nel non profit tra dipendenti e volontari sono coinvolte complessivamente 6.316.886 persone (ma è opportuno considerare che singole unità potrebbero essere state conteggiate più volte perché volontari o dipendenti in più organizzazioni). I 788.126 dipendenti (erano 680.811 nel 2011) sono presenti in 55.196 organizzazioni (41.744 nel 2011), mentre i 5.528.760 volontari (4.758.622 nel 2011) in 267.529 organizzazioni (243.482 nel 2011).

Il 36% (283.767 unità) del personale dipendente è presente nel settore “assistenza sociale e protezione civile”, il 22,6% (177.725 unità) nella sanità, il 15,8% (124.879 unità) nell’”istruzione e ricerca” e il 11,8% (92.696 unità) nello “sviluppo economico e coesione sociale”; i volontari invece prediligono impegnarsi nella “cultura sport e ricreazione” (3.128.701 unità, pari al il 56,6%), nell’ “assistenza sociale e protezione civile” (888.080 unità, 16,1%), nella “sanità” (428.744 unità, 7,8%) e nell’ “ambiente” (179.726 unità, 3,3%).

È interessante notare come sia il personale dipendente che il personale volontario abbiano avuto un incremento dal 2011 al 2015 (rispettivamente del 15,8% e del 16,2%). Per i dipendenti l’incremento maggiore è avvenuto nei settori “cooperazione e solidarietà internazionale” (+139,5%), “religione” (+135,1%), “assistenza sociale e protezione civile” (+26,1%) e “sviluppo economico e coesione sociale” (+25,9%). I volontari invece sono cresciuti nei settori “assistenza sociale e protezione civile” (+48,3%), “relazioni sindacali e rappresentanza di interessi” (+46,7%), “cooperazione e solidarietà internazionale” (+35,2%) e “ambiente” (+28,2%).

Vi sono settori in cui le risorse umane si sono invece ridotte. Ad esempio i settori “ambiente” (-54,6%,), “tutela dei diritti e attività politica” (-21,4%) e “filantropia e promozione del volontariato” (10,7%), hanno visto ridursi i dipendenti occupati; così come i settori “sviluppo economico e coesione sociale” (-21,1%), “tutela dei diritti e attività politica” (-18,8%) e “istruzione e ricerca” (-8,9%).

Un settore che cresce ma…

I dati emersi dal censimento dell’Istat paiono interessanti e aiutano a comprendere l’evoluzione del non profit italiano sebbene lascino aperti diversi quesiti.

In primo luogo appare chiaro come il comparto sia in forte crescita non solo numerica ma anche di impatto economico. Tra il 2011 e il 2015 non sono solo aumentate le singole organizzazioni ma anche le risorse umane impegnate. È quindi evidente come il non profit possa generare lavoro e quindi crescita economica. Non sono poi da tralasciare le positive conseguenze della crescita del volontariato, come l’incremento di capitale sociale individuale e collettivo e lo sviluppo di metacompetenze e responsabilità sociale dei volontari.

Il censimento mostra inoltre come alcuni settori d’intervento abbiano un peso maggiore di altri: mentre alcuni sia notevolmente cresciuti e altri siano fortemente calati. Anche queste sono informazioni significative per comprendere le caratteristiche dello sviluppo del non profit. Si può infatti notare come il settore “assistenza sociale e protezione civile” sia il più strutturato per numero di organizzazioni, di personale dipendente e volontario. E non è un caso che sia il comparto che comprende tutte le associazioni, cooperative sociali, enti ecclesiali attivi nei servizi alla persona, nell’assistenza, fortemente radicato sul territorio e con rapporti strutturati con la Pubblica Amministrazione (in particolare Comuni e Aziende Sanitarie). La gestione dei servizi alla persona richiede continuità e competenza; questo porta alla strutturazione dell’attività e all’investimento sulle risorse umane, non solo volontarie ma dipendenti. Si tratta però di servizi che rientrano nelle politiche pubbliche di welfare e che quindi hanno rapporti di convenzione, accreditamento o appalto con le Pubbliche Amministrazioni, fattore che almeno parzialmente garantisce risorse finanziarie certe.

Accanto agli evidenti segnali positivi rimangono però diversi quesiti aperti. Non è infatti facile spiegare alcuni dinamiche come il forte calo di diversi settori – ad esempio “tutela dei diritti e attività politica” o “filantropia e promozione del volontariato” – o la crescita del settore “religione”. In questo senso sarebbe interessante analizzare i dati sulla raccolta fondi, che è sicuramente una variabile importante, ma al momento questi numeri non sono disponibili. Inoltre, ai fondamentali dati statistici sarebbe interessante affiancare dati qualitativi inerenti alla normativa (che sta cambiando profondamente a causa della Riforma del Terzo Settore): sarebbe un altro elemento che potrebbe favorire o sfavorire l’impegno in un certo campo e l’adozione di una determinata forma giuridica.

Lascia inoltre qualche perplessità l’ampiezza della definizione di “istituzione non profit”. Certamente l’internazionalizzazione della ricerca statistica richiede l’adozione di definizioni condivise però per certi tratti non si adatta perfettamente al contesto italiano. Ad esempio in Italia non sono generalmente considerate organizzazioni non profit i partiti e i movimenti politici, i sindacati e le associazioni di categoria e alcuni tipi di fondazione. Questo aspetto può generare un’errata o quantomeno imprecisa osservazione e analisi dei fenomeni rilevati.