Per molto tempo le organizzazioni di Terzo Settore hanno evitato di investire in strumenti e processi digitali. Perché questo cambiasse ci è voluta una pandemia globale: è stato infatti il Covid-19 a spingere (anche) tali realtà ad intraprendere, finalmente, percorsi di digitalizzazione e di trasformazione digitale1.
Sul nostro portale abbiamo avuto modo di discuterne a più riprese e, dopo aver raccontato tante esperienze concrete e descritto dinamiche ricorrenti nelle organizzazioni di Terzo Settore, ora possiamo basare le nostre riflessioni anche sui numeri. Nell’ambito del Censimento permanente delle istituzioni non profit (INP) l’Istat ha infatti raccolto per la prima volta dati sull’uso del digitale tra le organizzazioni del Terzo Settore.
Di seguito riportiamo i principali con alcuni commenti cercando di capire perché, almeno per noi, si tratta di una novità molto importante.
La nostra attenzione sui nessi tra Terzo Settore e digitale
Percorsi di secondo welfare ha iniziato a dare conto del ricorso “forzato” al digitale da parte del Terzo Settore già nei primi mesi dell’emergenza pandemica, raccontando sul Corriere della Sera alcuni processi in atto e riflettendo sulle principali dinamiche che li caratterizzavano. Dai grandi mutamenti legati all’ambito sanitario fino a quelli più “vicini” della collaborazione digitale, dallo sviluppo del cosiddetto platform welfare – e in generale delle piattaforme digitali in ambito sociale – al ricorso alle blockchain per il fundraising: in questi anni abbiamo cercato di monitorare come il digitale stesse cambiando il secondo welfare e, in particolare, gli enti non profit.
L’impressione, come scrivevamo nell’estate 2022 sempre sul Corriere, era che tra queste organizzazioni fossero ricorrenti le preoccupazioni legate a competenze e risorse e, anche per questo, come si rischiassero passi indietro rispetto ai percorsi intrapresi in pandemia. Queste percezioni si sono fatte più consistenti nei mesi successivi, grazie al confronto con alcune realtà impegnate in processi strutturati di trasformazione digitale che abbiamo raccontato nel quaderno “Digitale per bene“, realizzato con gli amici di TechSoup. Per quella pubblicazione la scelta affrontare il tema partendo da storie concrete e attraverso le voci di operatori, beneficiari ed esperti, era stata ponderata, voluta, editoriale. Ma ci eravamo arrivati anche per mancanza di dati quantitativi sul “peso” del digitale nel Terzo Settore.
Prima della pandemia l’unica analisi sul “peso” del digitale nel Terzo Settore era infatti stata condotta nel 2018 da Italia Non Profit su un campione limitato di circa 200 professionisti per inquadrare lo stato dell’arte del non profit digitale, le competenze digitali dei dipendenti e dei board e le sfide da essi attese. Più recentemente, nel 2021, a cercare di quantificare il fenomeno erano state Fondazione Italia Sociale, Deloitte Private e TechSoup che, all’interno di una più ampia indagine sulla “domanda di innovazione nel Terzo Settore“, avevano affrontato la questione digitale. Anche in questo caso, tuttavia, raccogliendo il parere di sole 180 organizzazioni. Un numero un po’ limitato per fare considerazioni di ampio respiro. Ora i dati raccolti da Istat ci permettono di colmare un gap conoscitivo importante.
Il digitale nel Terzo Settore: i dati di Istat
Ormai da diversi anni, attraverso il Censimento permanente, Istat raccoglie e diffonde dati sulle istituzioni non profit con il Registro statistico delle INP, basato principalmente su fonti amministrative che permettono di conoscere consistenza e caratteristiche strutturali del settore, e le rilevazioni campionarie multiscopo realizzate con frequenza triennale per offrire approfondimenti tematici specifici a policy makers, cittadini e stakeholder.
Nelle scorse settimane Istat ha diffuso i nuovi dati che restituiscono informazioni sulle attività svolte dalle INP e i loro destinatari, le dimensioni economiche, le reti di relazioni, la comunicazione, la raccolta fondi e l’innovazione sociale. Ma anche su tematiche più generali quali la responsabilità sociale, lo sviluppo sostenibile, l’impatto del Covid-19 e, appunto, il rapporto con il digitale.
Occorre notare che Istat presenta questi dati come “provvisori“. Quelli definitivi arriveranno solo verso la fine del 2023, ma vista la loro importanza li riportiamo ampiamente di seguito. Il report completo è disponibile sul sito dell’istituto nazionale di statistica.
Il ricorso al digitale per settori
Nel 2021, il 79,5% delle INP italiane ha utilizzato almeno una “tecnologia digitale”. In particolare, analizzando i settori di attività nei quali le INP operano in via prevalente, Istat registra che il 94,6% delle istituzioni attive nel settore delle Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi utilizza almeno una tecnologia digitale; seguono le istituzioni dei settori Istruzione e ricerca (92,4%), Sanità (91,4%), Tutela dei diritti e attività politica (89,8%), Cooperazione e solidarietà internazionale (89,8%), Filantropia e promozione del volontariato (87,7%) e Assistenza sociale e protezione civile (86,6%). La diffusione delle tecnologie digitali è invece più contenuta nelle INP che svolgono attività nei settori Sviluppo economico e coesione sociale (81,5%), Ambiente (80,8%) e Attività culturali e artistiche (80,3%), mentre le INP attive negli altri settori si collocano al di sotto della media nazionale (vd. figura 2). Considerando gli ambiti di intervento più “digitalizzati”, Istat rileva che gli 11 settori di attività prevalente, in cui la quota di INP che utilizzano almeno una tecnologia digitale è superiore alla media nazionale, raccolgono l’86,2% delle INP attive in Italia.
Le tecnologie digitali utilizzate
Nel 2021 il 74,9% delle INP ha utilizzato tecnologie digitali che consentono la connessione a internet. Il 68,5% delle INP digitalizzate si connette a Internet attraverso una tecnologia mobile e il 62,9% ricorre ad una connessione internet fissa in banda larga. Istat rileva poi che il 35,5% delle INP ha utilizzato piattaforme digitali2, mentre il 28,0% si è avvalso di applicazioni mobile3. Una quota più contenuta di INP, pari al 9,8%, ha acquistato servizi di cloud computing e il 2,1% delle INP digitalizzate ha adottato almeno un dispositivo relativo a internet delle cose (IoT)4, robotica, stampa 3D o blockchain5. Una quota ridotta di INP, pari allo 0,9%, ha utilizzato tecnologie e/o strumenti per analisi di big data6.
Chi ricorre di più al digitale e come
Secondo Istat il processo di transizione digitale è intrapreso in maniera eterogenea dalle organizzazioni non profit, soprattutto se si prende in considerazione la tipologia delle tecnologie digitali che adottano. Osservando la distribuzione per forma giuridica, le INP che fanno uso di tecnologie digitali più della media nazionale (79,5%) sono le fondazioni (86,5%) e le cooperative sociali (86,4%). Rispetto alle diverse tecnologie utilizzate, nello specifico il 44,7% delle fondazioni digitalizzate ha adottato infrastrutture come le piattaforme digitali, raggiungendo livelli significativi anche nell’uso di applicazioni mobile (38,7%) e servizi di cloud (21,1%). Le cooperative sociali manifestano una propensione variegata nell’adozione di tecnologie digitali adottando, oltre alla connessione a internet, anche strumenti più innovativi come le piattaforme (39,3%), le app (33,9%) e i servizi di cloud. Tra le associazioni prevale invece l’uso della connessione mobile a internet (69,3%) e l’adozione di applicazioni (28,8%). Infine, nelle INP con altre forme giuridiche è diffusa l’adozione della connessione fissa in banda larga a internet (71,2%, quota superiore alla media nazionale), mentre livelli più contenuti si rilevano nell’utilizzo di piattaforme (33,1%) e app (25,1%).
Le tecnologie adottate per settori
Le piattaforme digitali sarebbero adottate dall’88,1% delle INP attive nel settore Istruzione e della ricerca, seguite da quelle impegnate nei settori Tutela dei diritti e attività politica (81,5%), Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (79,9%), Attività culturali e artistiche (76,4%), Sanità (75,7%) e Assistenza sociale e protezione civile (74,0%). Le applicazioni mobile sono invece diffuse tra le INP dei settori Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (61,3%), Ambiente (65,3%), Attività sportive (60,7%), Sanità (60,6%) e Assistenza sociale e protezione civile (59,7%). In misura più contenuta, i servizi di cloud computing vengono acquistati prevalentemente da INP che si occupano di Sviluppo economico e coesione sociale (38,3%), Altre attività (34,8%), Istruzione e ricerca (32,3%) e Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (31,6%). L’utilizzo di servizi cloud è rilevante, infine, anche per le INP attive in Cooperazione e solidarietà internazionale (29,1%), Assistenza sociale e protezione civile (27,8%) e Sanità (24,1%).
Perché chi non è digitalizzato non si digitalizza
Tra le INP non digitalizzate (pari al 20,5% del totale) il 29,5% ritiene l’adozione di tecnologie digitali non necessaria per lo svolgimento delle proprie attività. Fra i principali fattori che hanno rallentato la digitalizzazione del settore non profit si registrano poi la carenza di risorse finanziarie (26,4%), la scarsa cultura digitale (15,7%), la presenza di altre sfide e/o problematiche più urgenti (13,8%), la carenza di personale qualificato (12,6%) e l’assenza di investimenti in innovazione tecnologica (9,0%). Infine, quote più contenute di INP segnalano come elementi ostativi alla transizione digitale la mancanza di adeguata formazione in materia ICT (5,0%) e la necessità di riorganizzare prima processi ed infrastrutture (3,9%).
Qualche riflessione e alcune domande
I dati diffusi da Istat ci permettono finalmente di fare alcune riflessioni sul rapporto tra Terzo Settore e digitale, ma sollevano anche alcune domande.
Abbiamo avuto una percezione sbagliata?
In primo luogo, su queste pagine abbiamo sempre detto che la stragrande maggioranza delle organizzazioni del Terzo Settore con la pandemia era stata costretta a ricorrere al digitale a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. Impossibilitate a continuare le proprie attività nelle modalità “tradizionali”, le organizzazioni avrebbero necessariamente dovuto investire in digitale. Eppure secondo Istat ben 1 INP su 5 nel 2021 non avrebbe fatto ricorso a tecnologie digitali. Questo costringe e rivedere al “ribasso” la stima sulla trasformazione digitale delle organizzazioni di Terzo Settore, anche se è difficile fare valutazioni visto che non sono state effettuate rilevazioni sul 2020, primo anno di pandemia. Nel caso meno negativo, dopo la spinta dell’emergenza, molte realtà potrebbero aver scelto di fare un passo indietro sul digitale nel 2021; quindi un approccio verso il digitale, seppure passeggero, ci sarebbe stato. Nel caso più negativo, invece, tale sforzo non ci sarebbe stato neanche nel momento emergenziale.
Davvero il Terzo Settore è così sconnesso?
A fare una certa impressione è anche il fatto che circa il 25% delle organizzazioni non avrebbe una propria connessione a internet, né fissa né mobile. Si tratterebbe di un dato più alto rispetto a quello generale delle organizzazioni non digitalizzate (20,5%) citato in precedenza. C’è da chiedersi quali altre tecnologie digitali possano essere utilizzate in assenza di una “basica” connessione al web da queste organizzazioni. App, piattaforme e cloud come possono funzionare senza collegamenti a internet?
Il digitale dipende da settori o organizzazioni?
Occorre poi notare come il ricorso al digitale nel non profit sia più frequente in settori che si occupano di servizi socio-assistenziali (sanità, educazione, filantropia, coesione sociale), soprattutto laddove l’obiettivo è raggiungere un’utenza più ampia o il miglioramento della qualità di erogazione, o in cui è presente una forte componente o relazionale (relazioni sindacali, attività politica). È invece inferiore in settori in cui, probabilmente, esistono basi coese e/0 in cui la domanda è superata dall’offerta, come sport, religione e attività ricreative. Peraltro, anche all’interno degli stessi settori, l’eterogeneità delle organizzazioni richiederebbe forse una lettura più attenta.
Aspettando i dati definitivi
Vedremo se i dati consolidati di Istat – che come detto arriveranno verso la fine dell’anno – confermeranno questi elementi e ci permetteranno, soprattutto, di fare ulteriori valutazioni.
Le informazioni a nostra disposizione, per quanto preziose, al momento non ci consentono – nonostante le tante definizioni offerte da Istat – di capire con esattezza cosa si trova sotto alcuni “cappelli” (ad esempio cosa si intende esattamente con il termine “piattaforme”? E con “applicazioni” si considera qualsiasi app accessibile liberamente? Oppure strumenti sviluppati ad hoc per le organizzazioni?). E, ancora, non ci permettono di capire quante organizzazioni facciano ricorso contemporaneamente a più tecnologie: alle organizzazioni digitalizzate è stato chiesto perché non facciano ulteriori investimenti sul digitale o la domanda si limita alle “non digitalizzate”?
Certamente, come detto, le informazioni finora diffuse rappresentano una base preziosissima su cui poter riflettere, finalmente, con maggior cognizione di causa per immaginare come il Terzo Settore possa affrontare le sfide del digitale, che restano cruciali per le organizzazioni che lo compongono e, in generale, per tutto il Paese.
Note
- Si tratta di due termini spesso usati come sinonimi, ma che hanno significati molto diversi. Se da un lato la digitalizzazione consiste nell’utilizzo di tecnologie digitali per ottimizzare processi già in essere, dall’altro la trasformazione digitale è sì abilitata dallo sviluppo di nuove tecnologie, ma non si limita alla loro adozione: essa integra e coinvolge tutto l’ecosistema toccato dal processo, incentivando la trasparenza, la condivisione e l’inclusione di tutti i partecipanti. La trasformazione digitale, dunque, è un percorso che coinvolge persone, processi e tecnologie, che va oltre il “solo” ricorso a strumenti digitali.
- Per Istat in questa definizione rientrano “infrastrutture digitali in grado di connettere tra loro sistemi diversi ed esporli agli utenti attraverso interfacce semplificate ed integrate, generalmente un’applicazione mobile o un sito web. Sono incluse le piattaforme digitali di Open Innovation“.
- Per Istat sono “programmi specificatamente sviluppati per essere utilizzati su dispositivi quali smartphone o tablet”
- Secondo la definizioni di Istat si tratta “dispositivi o sistemi interconnessi, spesso chiamati intelligenti, che raccolgono e scambiano dati e possono essere monitorati o controllati da remoto via Internet”.
- Letteralmente “catena di blocchi”, Istat la descrive come un “registro di dati digitale distribuito, immutabile e condiviso apertamente. Queste caratteristiche permettono la digitalizzazione dei dati, la loro distribuzione, la tracciabilità dei trasferimenti, la trasparenza e verificabilità delle informazioni, l’immutabilità del registro e programmabilità dei trasferimenti effettuati“. Del ricorso del Terzo Settore alla blockchain avevamo parlato qui.
- Secondo la definizione di Istat si tratta di “dati generati elettronicamente, caratterizzati da volume significativo (grandi quantità di dati generati nel corso del tempo); varietà di formato (strutturati o meno); velocità con cui sono generati, diventano disponibili e si modificano nel tempo. I big data sono, ad esempio, i dati ottenuti dalle attività svolte sui social media, dai processi di produzione, dalla geolocalizzazione. L’analisi dei big data prevede l’uso di tecniche, tecnologie e strumenti software applicati a grandi quantità di informazioni ottenute da fonti di dati proprie o da altre fonti”