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Il settore dell’economia sociale ha registrato negli ultimi anni un processo di consolidamento e di “strutturazione” interna, che ha via via selezionato le pratiche capaci di resilienza e incentivato passaggi di scala e creazioni di raccordi orizzontali e verticali fra attori e iniziative.

In buona parte, questo processo è stato guidato – ma anche sviluppato – da quella logica d’azione che l’Unione Europea chiama “innovazione sociale”: nuove idee e sperimentazioni volte, da un lato, a migliorare le risposte ai bisogni sociali e, dall’altro lato, a incoraggiare nuove forme di collaborazione fra attori e nuove relazioni sociali e istituzionali.

Il Piano d’azione europeo sull’economia sociale, varato nel 2021, ha scommesso sulla creazione di un circolo virtuoso basato proprio su questi due aspetti. Da un lato, i soggetti del Terzo Settore contribuiscono a identificare soluzioni “place based” a bisogni non adeguatamente coperti e, in molti casi, nemmeno riconosciuti dal welfare pubblico. L’esito qui è non solo una maggiore protezione e inclusione sociale, ma anche l’attivazione di dinamiche di sviluppo endogeno, soprattutto nei territori più vulnerabili e periferici. Dall’altro, l’adozione di forme di governance partecipata stimola l’emergenza di impegni multilaterali al raggiungimento di obiettivi condivisi che vanno al di là delle singole iniziative, generando un capitale sociale e organizzativo capace di auto-alimentarsi nel tempo. Il portale Social Economy Gateway contiene molte informazioni che documentano le best practices in vari Paesi e descrivono le numerose opportunità di finanziamento e partnership promosse dalla UE.

Le analisi della Commissione (ma anche, per l’Italia, le ricerche svolte da Percorsi di secondo welfare) attestano in particolare il ruolo cruciale svolto dall’approccio collaborativo, basato sulla cosiddetta co-creazione, nel generare i circoli virtuosi. La co-creazione si articola su due differenti livelli. Il primo è quello della coprogrammazione, ossia l’insieme di attività volte all’individuazione dei bisogni delle comunità̀, degli interventi necessari e delle modalità̀ per realizzarli, nonché́ delle risorse disponibili. Il secondo livello è la coprogettazione, finalizzata alla definizione – ed eventualmente alla realizzazione – di specifici progetti di servizio o di intervento. La co-creazione è un processo che muove dal basso, in buona parte spontaneo. Ma necessita di un contesto istituzionale favorevole.

Nel novembre 2023, il Consiglio UE ha adottato una Raccomandazione “sullo sviluppo delle condizioni quadro dell’economia sociale”. Gli Stati membri sono invitati a sviluppare quadri strategici e normativi che favoriscano e sostengano l’economia sociale, in linea con il piano d’azione dell’Unione.

Nel nostro Paese questo quadro è in larga parte già presente. Già la legge 328 del 2000, la cosiddetta riforma Turco sull’assistenza e i servizi sociali, aveva posto le basi per gli interventi di innovazione sociale. Il punto di svolta è stato, tuttavia, la Riforma del Terzo settore del 2017, che ha ampliato in modo significativo gli spazi di decisione e attuazione partecipata, assicurando il coinvolgimento attivo delle organizzazioni sociali senza fini di lucro tramite co-programmazione, co-progettazione e accreditamento. La recente approvazione (2023) del Codice degli appalti ha confermato il sostegno e l’interesse dello Stato all’“amministrazione condivisa” fra enti pubblici ed enti del Terzo Settore.

Il mutamento del contesto normativo ha sottratto le organizzazioni non profit dalla tradizionale marginalità funzionale e simbolica, formalizzando la legittimità e le modalità del loro coinvolgimento diretto nella sfera dei servizi e interventi sociali. Così facendo, ha spianato la strada allo sviluppo di quelle pratiche collaborative capaci di fungere da pilastri portanti dell’innovazione sociale. Il cambiamento normativo non è stato una mossa unilaterale dall’alto, quanto piuttosto il riconoscimento di una realtà già collaudata nonché delle sue esplicite richieste.

Il Terzo Settore stesso ha proposto di uscire dalla logica della competizione e di relazioni pubblico-privato imperniate sul contracting out e l’abbattimento dei costi. E l’adozione invece di un nuovo modello collaborativo e partecipativo, più impegnativo ma anche potenzialmente più efficace del tradizionale sistema “bandi e contratti”.

La co-creazione delle politiche e degli interventi sociali non presenta naturalmente solo luci ma anche qualche ombra. Poter collaborare non significa saperlo fare: la co-progettazione formalizzata può fornire incentivi perversi, come la formazione di semplici “matrimoni d’interesse” fra enti incapaci o poco motivati a creare sinergie. Resta poi sempre il rischio, particolarmente elevato in un contesto amministrativo come quello italiano, che si generi eccessiva complessità procedurale o si indulga nel formalismo.

La Raccomandazione UE insiste molto su un elemento che costituisce la garanzia più efficace contro questi rischi: il monitoraggio accompagnato da valutazione. La misurazione dell’impatto sociale prevede l’utilizzo di metriche e strumenti dedicati e accreditati, nonché la promozione di processi e capacità di cui un’organizzazione ha bisogno per gestire e aumentare in maniera attiva la propria efficacia. Gli Stati membri dovranno dotarsi anche di sistemi nazionali di monitoraggio. Nel 2028 la Commissione effettuerà a sua volta un “meta-monitoraggio” per accertare l’effettiva attuazione della Raccomandazione.

Nel dibattito sul futuro del Welfare State europeo, il consolidamento dell’economia sociale è visto da alcuni come un percorso evolutivo in direzione “neo-tocquevilliana”, ossia imperniata su quell’ésprit d’association che Alexis de Tocqueville considerava “il mezzo universale attraverso cui le persone rispondono ai bisogni collettivi”. Osservando più da vicino l’“arte dell’associazione” che si sta sperimentando oggi in Europa, sotto la spinta della UE, possiamo forse fare un riferimento a un altro grande pensatore novecentesco: John Dewey. Per la tradizione pragmatista americana, la vitalità di una democrazia dipende, infatti, anche dalla capacità dello Stato di coinvolgere il proprio pubblico nelle decisioni che lo riguardano più da vicino. Sotto questo profilo, l’economia sociale può essere un vero e proprio laboratorio di coinvolgimento, o, come diceva Dewey, di “esercizio collettivo dell’intelligenza pratica”.

 

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Foto di copertina: Andrew Moca, Unsplash.com