Il 12 giugno la Fondazione Sodalitas ha organizzato l’evento “L’impatto sociale in scena”, che ha anticipato l’avvio di “Fatti e Effetti”, network di operatori intenzionati a diffondere anche in Italia la misurazione dell’impatto sociale. Il network è aperto alla partecipazione del mondo accademico, della consulenza, della finanza sociale, del Terzo Settore, di donor istituzionali e imprese. L’obiettivo è mettere insieme le forze e le competenze per contribuire ad impostare su basi solide, affidabili e condivise lo sviluppo e la diffusione sia della cultura della valutazione sociale che delle pratiche e degli strumenti connessi.
Perché valutare gli impatti?
Diversi interventi di esperti del settore hanno motivato la bontà nell’utilizzo della valutazione degli impatti sociali.
Maria Teresa Scherillo, introducendo il convegno, ha innanzitutto sottolineato come valorizzare l’approccio della valutazione implichi un rovesciamento della prospettiva di azione: dal problema alla soluzione, dagli effetti al processo operativo, dalla logica top down a quella bottom up, dando la parola ai destinatari. Così come per le politiche pubbliche, anche le attività che le organizzazioni private svolgono nell’interesse pubblico vanno valutate sulla base dei risultati e degli effetti sulle persone, sulla comunità e l’ambiente. Si tratta di un processo che coinvolge tutti gli stakeholder: Terzo Settore, finanziatori, donatori, imprese e beneficiari come valutatori attivi e passivi. L’attenzione all’impatto genera una maggiore presa di responsabilità, perché porta ad una sorta di dimostrazione della validità dei propri principi e delle proprie intenzioni, ci permette di connettere la teoria ai fatti, tra cui invece c’è spesso una forte divergenza. Un processo di grande valore perché, in sostanza, serve a rendere conto ma anche a rendersi conto ed attuare eventuali correttivi alla propria azione.
E’ poi intervenuto Tris Lumley, Head of Development di New Philanthropy Capital (NPC), secondo il quale “Alla fin fine ciò che conta è darsi obiettivi chiari. Misurarli diviene, allora, la naturale conseguenza”. Una ricerca condotta di recente nel Regno Unito ha infatti rivelato che ben il 75% delle ONP del Paese misura sistematicamente l’impatto sociale della propria attività; di queste, oltre la metà se ne occupa su sollecitazione dei propri finanziatori, mentre il 20% lo fa su mandato della leadership.
Se dunque nel Regno Unito l’obiettivo è far sì che misurare l’impatto diventi la norma, in Italia questa pratica non ha ancora una diffusione trasversale, sebbene sia già oggetto di ampio dibattito dal momento che la crisi economica, riducendo le risorse disponibili, da una parte ha reso finanziatori e donatori più attenti a come le risorse stesse vengono utilizzate, dall’altra indotto le organizzazioni a cercare nuovi modi per rispondere ai bisogni “facendo di più con meno” e “facendo, diversamente, di più”.
I benefici derivanti dalla misurazione dell’impatto sociale sarebbero numerosi: massimizzare il beneficio generato a favore degli utenti; verificare e innescare il proprio miglioramento nel tempo e confrontarsi con il lavoro di altri; sviluppare indicatori o criteri di efficacia ed efficienza comuni per ambito d’intervento. La misurazione dell’impatto non rimuove il “rischio” che un progetto sociale non generi gli effetti attesi, rischio che è implicito in ogni attività innovativa, ma rende il progetto replicabile, perché fornisce le informazioni di fatto necessarie per valutare gli effetti dell’idea innovativa e, se possibile, migliorarne l’applicazione.
Gloria Regonini, docente di Politiche Pubbliche presso l’Università di Milano, ha spiegato come la valutazione può essere fondamentale in ambiti differenti “valutare le politiche è applicare il problem solving ai problemi pubblici per sostenere decisioni basate sull’evidenza. Anche nel nonprofit la valutazione facilita l’apprendimento, l’accountability, la fiducia”. L’Italia è ancora caratterizzata da un vistoso squilibrio tra gli strumenti utilizzati nella gestione delle politiche pubbliche, fortemente incentrati su norme e budget e poco su management e valutazione degli interventi. Benchè quindi valutare politiche e programmi sia molto costoso, è di grande utilità, perché consente di apprendere dagli errori e di rendere conto non solo ai finanziatori ma alla società nel suo complesso.
Che valutare e misurare si possa quasi dappertutto, anche nella didattica e nella ricerca, senza tralasciare gli staff amministrativi, è stato confermato da Matteo Turri del Nucleo di Valutazione dell’Università di Milano, con un avvertimento: contano le metriche, ma ancora di più il coinvolgimento e il processo.
Ne è un esempio “OutcomeStar”, strumento di valutazione e misura del lavoro sociale che favorisce un’alleanza virtuosa tra operatore e utente: “se, infatti, l’impatto è misurato coinvolgendo direttamente chi opera in prima linea, non è un costo ma un investimento per fare meglio” ha spiegato Fabio Lucchi, dirigente medico dell’azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia.
PierMario Vello, Segretario Generale di Fondazione Cariplo, ha spiegato che, sebbene sia importante chiedersi se le nostre azioni filantropiche producano un effetto sostanziale, tuttavia, l’impatto non è un tema isolato dalla strategia, non è una questione a sé stante. Ogni sistema di misurazione e controllo ha senso se è inserito dentro un modello di cambiamento e nel quadro di una durata autonoma dei cambiamenti effettuati, in modo tale che gli effetti delle azioni non siano effimeri. Perché misurare abbia un senso e sia utile, occorre, a monte, un processo che garantisca l’utilizzo dei risultati per il cambiamento organizzativo e operativo. Per evitare di partire dalla coda dei problemi, è bene chiedersi fin dal principio come creare un sistema culturale e manageriale predisposto a discutere, dibattere sui risultati delle misure, per poi migliorare e cambiare, apprendendo da tali risultati. Misurare è bene, ma soprattutto occorre una nuova leadership che faccia massa critica con i suoi operatori e anche con lo Stato. Allora, l’impatto assume un significato molto più complesso.
Un’attività, quella della valutazione, già avviata in molte ONG – come spiegato da Claudio Ceravolo, Presidente di Fondazione COOPI – che, esposte a valutazioni internazionali, sono chiamate più e prima di altre ad affrontare questa sfida: “Valutare l’efficacia reale di un intervento è lungo e costoso, ma è il solo modo di aiutare veramente”.
Infine Anna Franzetti, Responsabile Bilancio Sociale AIRC, ha spiegato come le competenze acquisite nel processo di elaborazione del Bilancio Sociale si possano rivelare preziose nel momento in cui si decide di affrontare la misurazione dell’impatto delle attività.
Riferimenti
Il programma dell’evento
Il video di Tris Lumley, New Philanthropy Capital (NPC)
Il punto di vista del donor, Pier Mario Vello
A passion for impact. Per una stagione di responsabilità, Maria Teresa Scherillo
Raddrizziamoci le idee.La lunga marcia della valutazione delle politiche pubbliche, Gloria Regonini