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Di seguito vi proporniamo un articolo pubblicato su Impresa Sociale in cui Carlo Borzaga e Eddi Fontanari rifletterono sulla necessità di finanziare delle imprese sociali. Una versione più estesa di questo lavoro è stata pubblicata anche  in “Cooperazione di credito, Rivista quadrimestrale del Credito Cooperativo”, n. 227-228, maggio-dicembre 2017, con il titolo “Impresa sociale e finanza oltre le narrazioni. Come le cooperative sociali hanno gestito il fabbisogno di mezzi finanziari”. Si ringrazia la rivista per l’autorizzazione a riprodurre parte del contenuto.

 

Introduzione

Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione per le necessità finanziarie delle imprese sociali, le possibili fonti cui attingere e le presunte difficoltà di accesso. In proposito si sono andate diffondendo due convinzioni. La prima, che se le imprese sociali crescono meno del loro potenziale sarebbe soprattutto perché non dispongono di sufficienti mezzi finanziari. E questo perché – ecco la seconda tesi – avrebbero difficoltà strutturali di accesso a questi mezzi a causa:

  1. del vincolo di non distribuzione di utili che di norma caratterizza queste imprese
  2. della insufficiente patrimonializzazione
  3. della generale impreparazione nella costruzione di progetti investment ready
  4. della diffidenza degli istituti finanziari, in particolare delle banche, che non sarebbero capaci di comprendere e valutare correttamente i modelli di business di queste imprese.

Nessuna di queste tesi tuttavia è stata finora suffragata da robuste evidenze empiriche. Anzi, le poche indagini finora realizzate sembrerebbero dimostrare il contrario.

Non risulta confermata la tesi che le imprese sociali abbiano nella maggior parte dei casi una diffusa domanda di risorse finanziarie esterne all’impresa e che la sua mancata soddisfazione impedisca loro di crescere. Da una ricerca realizzata da Lyons e Baldoch (2014) su un campione di imprese sociali inglesi risulta che solo il 15% delle intervistate aveva dichiarato di avere avuto bisogno di mezzi finanziari esterni nei tre anni precedenti all’indagine. Anche secondo la ricerca Icsi (Andreaus, Tortia, 2007), realizzata sulle cooperative sociali italiane, la mancanza di mezzi finanziari adeguati non figurava tra i principali problemi segnalati dalle imprese intervistate.

Non risulta neppure dimostrata la tesi secondo cui le imprese sociali soffrirebbero di difficoltà rilevanti di accesso ai canali tradizionali di finanziamento, in particolare a quelli bancari. Dalla già citata ricerca sulle imprese sociali inglesi risulta infatti che del 15% di imprese che hanno dichiarato di avere avuto bisogno di mezzi finanziari, ben l’85% li ha ottenuti dal sistema bancario a condizioni accettabili. Lo stesso sembra valere anche per l’Italia, dove il totale dei crediti erogati dal sistema bancario al settore non profit è pari a diversi miliardi (Gobbi et al., 2012). E dove, secondo ricerche recenti, il 65% delle imprese sociali è soddisfatto dei rapporti con le banche di riferimento (Osservatorio UBI Banca, 2014). In altri termini sembra proprio che i sistemi bancari di paesi come Italia e Regno Unito, dove l’impresa sociale è più sviluppata e conosciuta e per i quali si dispone di più informazioni, abbiano capito già da tempo che queste imprese hanno generalmente profili di rischio contenuti e le trattino quindi come normali clienti a basso rischio.

Inoltre, sembra che nel dibattito non si tenga nel giusto conto né che la domanda di mezzi finanziari da parte di queste imprese è relativamente contenuta a seguito della natura labour intensive dei processi produttivi in cui sono impegnate, né che il vincolo alla distribuzione di utili che le caratterizza non limita la loro capacità di pagare interessi sui debiti contratti e, anzi, può contribuire in modo significativo alla loro patrimonializzazione e quindi rappresentare una fonte finanziaria importante per lo sviluppo.

Un contributo ad una più approfondita verifica delle diverse tesi può derivare dall’analisi delle condizioni finanziarie oggettive di gruppi sufficientemente ampi e rappresentativi di imprese sociali. Analisi che viene presentata nei paragrafi che seguono con riferimento all’universo delle cooperative sociali italiane, una delle forme più consolidate e meglio strutturate di impresa sociale, che ha il mandato di “perseguire l’interesse generale della comunità” attraverso la produzione di servizi sociali e di inserimento nel lavoro di persone svantaggiate, può distribuire utili in modo molto limitato ed è caratterizzata da asset lock. Di queste cooperative si analizzerà in particolare se e in quale misura hanno avuto o hanno bisogno di mezzi finanziari, se sono riuscite a ottenerne nella misura necessaria, se e come li hanno ottenuti e come li stanno gestendo.

Più precisamente, nei prossimi paragrafi si presentano prima le caratteristiche della fonte dei dati e la metodologia utilizzata. In seguito, dopo aver ricostruito l’ammontare delle risorse mobilitate dall’insieme delle cooperative sociali, si illustra la loro situazione economica, finanziaria e patrimoniale e la si mette a confronto con quella di tutte le imprese italiane. Infine, si analizza l’andamento del capitale investito e del patrimonio, sia di queste cooperative che delle altre forme di impresa nel periodo della duplice crisi (2008 e 2011) che ha caratterizzato l’economia italiana. Come si vedrà, l’analisi smentisce in modo piuttosto netto la convinzione secondo cui sarebbe stata o sarebbe la carenza di mezzi finanziari a bloccare lo sviluppo di queste imprese e restituisce un’immagine di un settore che in poco più di due decenni è riuscito a patrimonializzarsi in modo adeguato e ad attrarre risorse significative dal sistema bancario, mantenendo un buon equilibrio finanziario.

Ovviamente, le valutazioni qui proposte si riferiscono alle esigenze finanziarie e di capitale delle cooperative sociali date le attività e i servizi in cui si sono andate specializzando nei decenni scorsi e non alle esigenze determinate da ipotetici sviluppi in ambiti diversi. E non tengono in conto degli affetti anche su queste imprese della pandemia in corso. Anche se datata, l’analisi dimostra comunque l’inconsistenza della narrazione secondo cui le imprese sociali sono quasi per definizione finanziariamente fragili e suggerisce di affrontare le sfide che nei prossimi anni interesseranno queste imprese e le strategie anche finanziarie che si dovranno delineare con maggiore serietà.


Dati e metodologia

L’analisi prende in considerazione i bilanci di tutte le imprese italiane presenti nella banca dati Aida Bureau Van Dijk suddivise tra cooperative sociali, cooperative in genere, società per azioni e a responsabilità limitata. Dapprima l’analisi si sofferma su un unico anno, il 2015, e successivamente viene estesa all’arco temporale dal 2008 al 2015. Per verificare se le imprese operano in equilibrio finanziario, ovvero se sono in grado di generare un flusso in entrata in grado quantomeno di controbilanciare le uscite correnti, sono stati presi in esame esclusivamente i bilanci che rendono ‘visibile’ la distinzione per durata (entro o oltre i 12 mesi) sia dei debiti che dei crediti.

L’analisi è condotta, per ciascuna forma d’impresa, sull’aggregato dei bilanci dell’esercizio. L’approfondimento tiene conto anche della suddivisione per classe di fatturato al fine di mettere in evidenza eventuali particolarità dipendenti dalla diversa dimensione delle imprese. Nello specifico, questa variabile è espressa da quattro intervalli di valore della produzione: micro, da 0 a 2,5 milioni di euro; piccola, da 2,5 a 10 milioni di euro; media, da 10 a 50 milioni di euro; grande, con oltre 50 milioni di euro.

Per studiare l’equilibrio finanziario vengono calcolati due indicatori, uno per il breve e l’altro per il lungo periodo, chiamati nel seguito rispettivamente “di liquidità” e di “solidità aziendale”. Con il primo indicatore si intende testare la capacità dell’impresa di far fronte alle uscite monetarie di breve periodo (entro 12 mesi) con le disponibilità liquide immediate (cassa) o differite (crediti entro 12 mesi). Con il secondo indicatore si vuole invece verificare l’adeguatezza del piano di finanziamento o di copertura degli investimenti (equilibrio di lungo periodo), ovvero la coerenza temporale tra le fonti e gli impieghi oltre i 12 mesi. Molto intuitivamente, i due indicatori sono calcolati, nel primo caso, rapportando alla somma tra disponibilità liquide e crediti entro i 12 mesi i debiti di prossima scadenza; mentre, nel secondo caso, l’indicatore si ottiene dividendo la somma del valore del patrimonio netto e dei debiti di lungo periodo per il valore della somma di immobilizzazioni e crediti oltre i 12 mesi, ovvero dal rapporto tra passività consolidate e attivo immobilizzato. In entrambi i casi, per valutare la situazione finanziaria in cui versa l’impresa, si definiscono 4 intervalli di valore. Se gli indicatori (sia di breve che di lungo periodo) assumono un valore compreso tra lo 0% e il 49% si è in presenza di una situazione di grave squilibrio, tra il 50% e il 99% la situazione è critica, tra il 100% e il 150% si prospetta un buon equilibrio finanziario e, infine, un valore maggiore al 150% segnala un equilibrio finanziario ottimale.1

Le imprese selezionate rispondenti ai requisiti stabiliti in precedenza, e quindi considerate nell’analisi che segue, sono:

  • quasi 600 mila (592.842), di cui 10.159 sociali 28.216 altre coop, 22.113 spa e 532.354 srl, nell’analisi relativa al 2015;
  • quasi 330 mila (328.644) di cui 5.844 sociali 15.579 altre cooperative, 19.574 spa e 287.647 srl nell’analisi relativa all’intervallo temporale compreso tra il 2008 e il 2015.


L’analisi della struttura finanzia al 2015

L’analisi dei bilanci del 2015 segnala innanzitutto che le somme complessivamente amministrate dalle cooperative sociali non sono affatto contenute. Con riferimento alle 10.159 sociali esaminate (Tabella 1), si rilava infatti che il capitale investito ammontava nel 2015 a ben 9,8 miliardi di euro, con un apporto di mezzi propri, riconducibili essenzialmente alle riserve indivisibili, di 2,5 miliardi di euro e un valore della produzione nel medesimo anno intorno ai 12 miliardi di euro (11,9). In questo quadro, il maggior contributo è dato dalle cooperative che erogano servizi (di tipo A), con i 2/3 delle risorse mobilitate, contro un terzo delle cooperative che si occupano di inserimento lavorativo di persone svantaggiate

 

Tabella 1. Risorse mobilitate dalle cooperative sociali in Italia. Valori in migliaia di euro. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Questi numeri sono sufficientemente significativi da rendere interessante capire se si accompagnano anche ad una situazione di equilibrio finanziario; prima è tuttavia utile richiamare brevemente il modo di funzionare di queste cooperative.

Quando infatti si affronta il tema dell’accesso alle risorse finanziarie da parte di un’impresa o di un sistema di imprese, occorre tenere in considerazione il contesto operativo dell’impresa, a partire dal settore di attività, dalle sue caratteristiche e dalla composizione dell’attivo che ne consegue. In particolare, nelle attività labour-intensive, come sono per la stragrande maggioranza quelle gestite dalle cooperative sociali, il fattore strategico non è tanto il capitale finanziario quanto quello umano. Di conseguenza, la dotazione di capitale è generalmente più contenuta di quella necessaria in altri settori. Inoltre, lo stesso livello di capitale può essere ottenuto attraverso una differente combinazione di capitale proprio e di capitale di terzi, a patto che l’impresa sia in grado di far fronte alle uscite, ovvero alla restituzione delle risorse ottenute in prestito. Seguendo questa logica, se un’impresa che si caratterizza per una quota prevalente di attivo circolante perché impegnata in attività labour-intensive riesce a garantire un maggior ritorno del capitale investito sotto forma di maggiori ricavi, essa sarà anche in grado di reggere una maggiore esposizione finanziaria. E questa è proprio la situazione delle cooperative sociali italiane.

Se si guarda infatti esclusivamente al livello del capitale proprio investito dalle cooperative sociali rispetto alle altre forme d’impresa, la distanza risulta considerevole (Tabella 2): in media, 246 mila euro contro 794 delle srl, 903 delle altre cooperative e 34,3 milioni delle spa. Tuttavia, come dimostrano i dati sul capitale investito, questa contenuta disponibilità di mezzi propri non sembra compromettere la capacità di queste cooperative di sviluppare la propria attività. E ciò perché le cooperative sociali risultano la forma di impresa con il maggior effetto leva: per ogni euro di capitale proprio sono riuscite infatti a generarne complessivamente ben 3,9, contro i 2,89 delle srl, i 2,71 delle spa e i 3,72 delle altre cooperative. A tal proposito, l’approfondimento della composizione del capitale investito ci dice che il 69% di quello delle cooperative sociali contro il 57% delle srl, il 46% delle spa e il 65% delle altre cooperative è costituito da attivo circolante, osservazione che spiega – soprattutto rispetto alle società di capitali – il diverso fabbisogno finanziario in termini di risorse proprie. Infatti, il fabbisogno, e quindi l’eventuale apporto di capitale di rischio, va commisurato alla necessità dell’impresa di effettuare impieghi finanziari di lungo termine (investimenti) che a sua volta dipende dalla natura capital o labour-intensive dell’attività svolta.

 

Tabella 2. Struttura finanziaria delle cooperative sociali rispetto a srl, spa e altre cooperative. Valori medi. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

La composizione dell’attivo si ripercuote poi anche sull’incidenza dei debiti di breve periodo, che risulta nelle cooperative sociali (e nelle altre cooperative) significativamente superiore a quella delle società di capitali (Tabella 2).

Come c’è da aspettarsi, le cooperative sociali presentano una dimensione media calcolata sul valore della produzione inferiore a tutte le forme d’impresa, ma, se si osserva la resa del capitale – data dal rapporto tra il valore della produzione e il capitale investito (meglio conosciuto come indice di rotazione del capitale investito) – si può apprezzare come essa risulti nettamente superiore a ogni altra tipologia d’impresa. Ciò garantisce a queste cooperative indicatori finanziari migliori, soprattutto per quanto riguarda la liquidità, che risulta più che positiva, mentre in tutte le altre forme i valori risultano inferiori a quelli di equilibrio.

La situazione finanziaria delle cooperative sociali non sembra neppure rappresentare un limite alla crescita dimensionale. Esaminando infatti la loro distribuzione per classe dimensionale emerge una pressoché perfetta sovrapponibilità con quella delle srl e delle altre cooperative (Tabella 3), seppur con un’incidenza leggermente inferiore della classe medio-grande. In particolare, se si concentra l’analisi sulla classe dimensionale maggiormente rappresentata anche nelle srl e nelle altre cooperative, quella micro, si rileva che il livello medio del valore della produzione delle cooperative sociali supera quello delle altre cooperative (416 contro 369 mila euro) e si avvicina a quello delle srl (461 mila euro) (Tabella 4). Inoltre, i valori medi delle cooperative sociali risultano in linea con quelli delle srl e delle altre cooperative anche nelle classi superiori, fatta eccezione per la grande dimensione. Questo, nonostante si confermi il minor livello di capitale investito trasversalmente alle classi dimensionali e rispetto a tutte le forme d’impresa sia in valori assoluti (Tabella 5) che rispetto al valore della produzione. Ma che, come si è visto, tradotto in termini di resa (valore della produzione/capitale investito; Tabella 6), risulta superiore nelle cooperative sociali, garantendo un equilibrio finanziario diffuso superiore a quello delle altre forme d’impresa, come confermato sia dall’indicatore di solidità che di liquidità (tabb. 7 e 8).

 

Tabella 3. Distribuzione del numero di imprese per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in %. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 4. Valore della produzione medio per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in migliaia euro. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 5. Capitale medio investito per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in migliaia euro. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 6. Resa del capitale investito per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in unità di euro. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.
 

 

Tabella 7. Indicatore di solidità per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in %. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 8. Indicatore di liquidità per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in %. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

È possibile testare ulteriormente questi risultati individuando il numero delle imprese i cui indicatori, sia di solidità che di liquidità, risultano almeno pari a 100, ovvero segnalano un perfetto bilanciamento tra le fonti e gli impieghi (di lungo e di breve periodo). Anche operando in questo modo, la percentuale di cooperative sociali in equilibrio si conferma superiore, non solo di quello del resto delle cooperative, ma anche di quello delle società di capitali (Figura 1). Se per quanto riguarda la solidità (equilibrio di lungo periodo) il tasso di cooperative sociali in equilibrio risulta in linea con quello di spa e cooperative di dettaglianti, mentre nell’approfondimento dell’equilibrio di breve periodo (liquidità), nessuna delle forme considerate, né cooperative né tantomeno capitalistiche, si avvicina neanche lontanamente alla percentuale di cooperative sociali in equilibrio. In sostanza, 3 cooperative sociali su 4 si caratterizzano, tanto nel breve quanto nel lungo periodo, per un perfetto bilanciamento tra entrate e uscite.

 

Figura 1. Percentuale di cooperative in condizioni di equilibrio finanziario di lungo e di breve periodo per tipologia cooperativa rispetto a spa e srl. Valori in %. Anno 2015

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Prendendo infine in considerazione gli oneri finanziari maturati e pagati dalle cooperative sociali nel 2015, emerge come questi nel complesso siano risultati pari a quasi 90 milioni di euro. Dunque, una cifra decisamente importante che dimostra l’inconsistenza delle diffuse e ripetute considerazioni sulle difficoltà di accesso al capitale di debito, incluso quello bancario. L’analisi rileva, infatti, come del totale dei debiti contratti dalle cooperative sociali circa un euro su tre (31,2%) sia riconducibile al canale bancario, una percentuale superiore a quella registrata sia dalle altre cooperative che, in particolar modo, dalle spa (un euro su cinque: 21,4%). Questo risultato sembra perciò dimostrare come le cooperative sociali italiane abbiano trovato e trovino nelle banche un valido supporto finanziario.

Se poi si vuole andare oltre e dare una indicazione del livello degli oneri finanziari generati ogni 100 euro di debito complessivamente contratti dall’impresa, si ottiene che le cooperative sociali si trovano nettamente sotto il valore delle spa (e in linea con le altre cooperative): 1,58 contro il 2,20 delle spa (1,33 per le altre cooperative). In aggiunta, se, sempre con riferimento agli oneri finanziari, si vuole invece capire il livello di valore della produzione (ricavi) da essi assorbito, anche in questo caso si ripropongono le medesime differenze, con un peso maggiore degli oneri finanziari (per unità di ricavo) nelle spa: 0,77% delle cooperative sociali contro l’1,92% delle spa (0,90% le altre cooperative). 

 

Tabella 9. Costo del debito per forma d’impresa. Valori in %. Anno 2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

L’evoluzione dal 2008 al 2015

Analizzando l’evoluzione delle risorse finanziarie investite dalle cooperative sociali durante la crisi (Figura 2), emerge – anche in questo caso contrariamente alle attese di chi ritiene queste forme di impresa incapaci di dotarsi dei mezzi finanziari necessari allo sviluppo – un dinamismo decisamente sorprendente come dimostra l’ampio divario a favore delle cooperative sociali nei tassi di crescita del capitale investito dalle diverse forme di impresa. Lo stesso trend trova conferma anche nell’analisi dell’andamento del patrimonio netto.

La maggior crescita delle risorse finanziarie delle cooperative sociali tra il 2008 e il 2015 caratterizza inoltre tutte le classi dimensionali (Tabelle 13 e 14), con l’unica eccezione della media dimensione, in cui le srl presentano un incremento del patrimonio netto leggermente superiore: +47% contro il +43,8% delle cooperative sociali (Tabella 11). Di particolare interesse è inoltre la performance registrata dalle cooperative sociali di grande dimensione, interessate da una crescita del capitale investito dell’85,1% e del patrimonio netto di oltre il 100% (Tabella 10).

Anche la variazione del capitale investito registrato nella micro dimensione appare degna di nota, con una crescita del +48,4% nelle sociali contro un +5,5%, un -0,4% e un -0,8% rispettivamente nelle srl, spa e altre cooperative.

 

Figura 2. Tassi di crescita di capitale investito e patrimonio netto per forma d’impresa. Valori in %. Anni 2008-2015.

Tassi di crescita di capitale investito e patrimonio netto 2008-2015

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 10. Tassi di crescita del capitale investito per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in %. Anni 2008-2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Tabella 11. Tassi di crescita del patrimonio netto per classe dimensionale e forma d’impresa. Valori in %. Anni 2008-2015.

Fonte: Elaborazioni Euricse su dati Aida – Bureau Van-Dijk e Albo Cooperative MISE.

 

Quindi, neppure durante la crisi le cooperative sociali paiono aver incontrato particolari difficoltà dal punto di vista finanziario, distinguendosi invece per una capacità di crescita sia del capitale investito che del patrimonio, superiore a quella di tutte le altre forme d’impresa.

 

Conclusioni

I risultati dell’analisi della situazione e dell’evoluzione della situazione finanziaria delle cooperative sociali italiane fino al 2015 non confermano nessuna delle tesi che negli ultimi anni hanno monopolizzato il dibattito sulla relazione tra imprese sociali e capacità di reperire i mezzi finanziari necessari a sostenerne la crescita. Essi dimostrano infatti che le forma di impresa sociale più diffusa in Italia non presenta particolari problemi di questo tipo. Innanzitutto le cooperative sociali italiane sembrano essere state in grado di mobilitare il capitale necessario al perseguimento dell’obiettivo sociale. Inoltre esse presentano performance finanziarie migliori di quelle delle altre forme di impresa come dimostra sia il migliore equilibrio della struttura finanziaria – sia di breve che di medio-lungo termine – che la più elevata capacità di generare valore rispetto al capitale investito. Evidentemente quest’ultima attitudine, testimoniata dall’elevato valore medio della produzione registrato nella micro dimensione, consente alle cooperative sociali di meglio bilanciare le uscite, potendo contare su una più elevata rotazione del capitale investito.

Anche il livello di patrimonializzazione – nonostante il partial non profit distribution constraint e l’asset lock e quindi contrariamente alle attese – risulta significativo. Esso inoltre è cresciuto in linea con il fabbisogno di risorse e insieme alla solidità delle entrate ha garantito un effetto leva superiore a quello delle altre imprese e in particolare delle società di capitali. La maggior resa del capitale investito in termini di ricavi generati per euro di capitale ha finora consentito alle cooperative sociali di far fronte alle uscite, per la maggior parte di breve periodo. Al punto che le cooperative sociali, a differenza delle altre imprese e da quanto sostenuto sia in lavori teorici che nel dibattito recente sulla finanza ad impatto sociale, possono contare su un surplus di liquidità.

Infine, in un periodo storico caratterizzato da gravi difficoltà economiche e dal rallentamento generalizzato degli investimenti come quello che è seguito alla crisi finanziaria del 2008, i dati non solo non mostrano un crollo della propensione all’investimento, ma evidenziano una crescita tanto del capitale complessivamente investito che del patrimonio netto, nettamente superiori a quelle di tutte le altre forme d’impresa.

Tuttavia, se l’analisi approfondita dei rapporti tra imprese sociali e finanza consiglia maggior cautela nei giudizi sulla capacità di queste imprese di finanziare crescita e investimenti, non si vuole certo sostenere che il tema di come costruire una finanza per l’impresa sociale sia privo di interesse. E ciò per almeno due ragioni: una già presente prima della nuova crisi determinata dall’apparizione e dalla diffusione del Covid-19 e la seconda come conseguenza di quest’ultima. Già prima della nuova crisi infatti era prevedibile che, con l’aumentare della rilevanza delle imprese sociali non solo nella produzione di servizi alla persona e alla famiglia e nell’inserimento lavorativo, ma anche nei servizi sanitari, nell’housing sociale, nel turismo sociale, nei servizi di rete, ecc., il fabbisogno di mezzi finanziari a sostegno degli investimenti era destinato a crescere. Anche se non sembrava una domanda destinata ad esplodere nel breve periodo ed era del tutto ipotizzabile che potesse continuare a essere in buona parte soddisfatta dal ricorso ai canali tradizionali, come il contributo dei soci (inclusi lavoratori e utenti), l’accumulo di riserve indivisibili e il sistema bancario.

La sospensione di molte attività e la necessità di ripensare i modelli di erogazione dei servizi causate dalla pandemia hanno cambiato in modo significativo questo scenario. Molte imprese sociali, nonostante la possibilità di beneficiare dei sostegni previsti per la generalità delle imprese, si ritroveranno con perdite di bilancio che ne intaccheranno i patrimoni e le costringeranno a ricapitalizzare. Questo rende oggi più urgente affrontare il problema della capitalizzazione e più in generale del rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese sociali. Ma tenendo presente che, come dimostrano sia il caso italiano che quello inglese, più che una “finanza di impatto” esterna al sistema, quello che sembra facilitare maggiormente l’accesso ai mezzi finanziari da parte delle imprese sociali sono forme giuridiche ben riconoscibili e regolamentate, una buona reputazione e contratti stabili con le amministrazioni pubbliche (e private nel caso delle imprese sociali di inserimento lavorativo) con cui queste imprese in buona parte collaborano. La presenza di queste condizioni risulta in grado non solo di garantire rapporti più che soddisfacenti con il sistema bancario, ma anche di favorire lo sviluppo di una finanza dedicata, paziente ed esclusiva, gestita da istituzioni con caratteristiche, modalità di gestione e livelli di costo coerenti con la natura delle imprese sociali. Di simili istituzioni l’Italia e diversi paesi europei (European Commission, 2020) sono già in parte dotati e hanno solo bisogno di essere completate con alcuni nuovi strumenti, quali potrebbero essere dei fondi speciali creati e gestiti da istituzioni di tipo filantropico – come le fondazioni bancarie, di famiglia e di impresa – che invece di finanziare esclusivamente, o quasi, la gestione dei servizi destinassero parte delle loro erogazioni all’aumento delle dotazioni patrimoniali delle imprese sociali impegnate in progetti di investimento. Questi fondi contribuirebbero tra l’altro a semplificare ulteriormente i rapporti con il sistema bancario, che ha dimostrato di sapere sostenere in modo adeguato anche queste imprese, e a favorire forme di raccolta presso i risparmiatori, anche attraverso nuovi strumenti di carattere azionario o obbligazionario fiscalmente incentivati come previsto dalla nuova normativa sull’impresa sociale.

 

Bibliografia

Andreaus M., Tortia E. (2007), “La dimensione economica”, Impresa Sociale, Vol. 76, n. 3, Luglio- Settembre.

Barbetta G.P. (2015), La finanza salverà il welfare? Luci e ombre dei Social Impact Bond, Percorsi di Secondo Welfare, 2 gennaio.

European Commission (2020), Social enterprises and their ecosystems in Europe. Comparative synthesis report, Authors: Carlo Borzaga, Giulia Galera, Barbara Franchini, Stefania Chiomento, Roci?o Nogales and Chiara Carini, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

Gobbi G., Felici R., Pico R. (2012), “L’evoluzione della domanda di credito per il terzo settore”, in Venturi P., Rago S. (2012), Co-operare. Proposte per uno sviluppo umano integrale, Atti de Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, Aiccon.

Lyons F., Baldoch R. (2014), “Financing social ventures and the demand for social in-vestment”, Third Sector Research Centre WP, 124, Luglio.

Osservatorio UBI Banca su Finanza e Terzo Settore (2014), Indagine sui fabbisogni finanziari delle cooperative sociali in Italia, Marzo.

 

Note

L’analisi tratta separatamente l’equilibrio di breve e quello di lungo periodo, calcolando la percentuale di imprese che soddisfano i parametri di cui sopra in un caso e nell’altro.