IMA Diversity (Inclusion Management to Arrange Diversity) è una start-up nata recentemente con l’idea di portare i principi e le pratiche del diversity management nel mondo del Terzo Settore. Abbiamo fatto una chiacchierata con Antonella Viggiani e Valeria Roberti, co-fondatrici di IMA insieme a Giuseppe Seminario, e ci siamo fatti raccontare come il diversity management possa aiutare cooperative e imprese sociali a essere agenti di cambiamento sul proprio territorio e nella propria comunità di riferimento.
Perchè il diversity management nel Terzo Settore?
Al centro di IMA c’è l’idea del cambiamento – di tipo non solo organizzativo – volto a favorire l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. In questo senso il diversity management, considerato nella sua accezione più ampia, si propone come strumento di formazione e gestione delle risorse umane volto a valorizzare e migliorare le competenze e i talenti all’interno delle organizzazioni. IMA compie un passo in più, portando le istanze del diversity management al di fuori dell’ambito in cui è nato e si è sviluppato (le imprese for profit). Secondo le fondatrici, con alle spalle esperienze nel mondo della cooperazione e dell’associazionismo, il Terzo Settore è un contesto in cui il diversity management può inserirsi naturalmente: il suo spirito di inclusione e promozione del benessere è infatti assolutamente coerente con la mission degli enti non profit. Il diversity management rappresenta – anzi – uno strumento ulteriore per permettere a queste organizzazioni di perseguire i propri obiettivi e, al tempo stesso, “rafforzare il legame con collaboratori, collaboratrici e comunità di riferimento”.
Questa intuizione si è incontrata con il fatto che si sta diffondendo in tutte le imprese – sociali e non – la consapevolezza dell’importanza di valorizzare peculiarità, competenze e talenti personali all’interno delle organizzazioni. Il bisogno di investire in questo campo è avvertito anche dai soggetti del Terzo Settore, che però solitamente non hanno competenze, risorse economiche e/o umane per supportare questi percorsi. Da qui l’idea di offrire un servizio di consulenza nel campo del diversity management a favore di imprese sociali e piccole realtà imprenditoriali profit con un forte radicamento territoriale.
Consulenza e strumenti per il diversity management
L’agenzia di consulenza è partita da una rilevazione dei bisogni del target individuato (attraverso interviste, incontri di riflessione e focus group). Proprio da questa fase di networking sono nate le prime collaborazioni.
Il percorso di consulenza nasce innanzitutto dall’espressione di un problema o di un bisogno: difficoltà nella gestione delle relazioni con il personale, comunicazione poco efficace all’interno e all’esterno dell’organizzazione, ecc. Gli enti vengono accompagnati nell’approfondimento delle dinamiche problematiche, alla “scoperta dei vari fronti possibili di cambiamento” all’interno della propria organizzazione. Dopo questa fase di approfondimento, realizzata attraverso interviste e osservazioni esterne di eventi e/o dinamiche organizzative, avviene la co-progettazione della consulenza vera e propria attraverso la scelta degli strumenti più appropriati. Il percorso di accompagnamento si realizza principalmente attraverso tre interventi: la formazione, il community organizing e la comunicazione.
Il primo intervento non si limita a una semplice formazione – intesa come trasmissione di conoscenze e capacità di tipo tecnico, emotivo o sociale – ma si configura come una “co-costruzione di saperi e consapevolezze” volta a individuare e valorizzare le peculiarità e le competenze di ciascuno all’interno del gruppo di lavoro. A partire dalla mission dell’impresa, le persone si mettono in gioco nella costruzione di manufatti, con tecniche laboratoriali e con strumenti di “visualizzazione”. Prendiamo l’esempio di una ciclofficina: l’organizzazione è visualizzata come una bicicletta e a ognuno è richiesto di identificare il proprio ruolo con una parte del mezzo (“Sono la dinamo perchè…”) e di riconoscere agli altri la funzione che si attribuiscono.
L’altro strumento di azione è il community organizing, cioè la congiunzione tra l’organizzazione e la sua comunità/territorio di riferimento. Questo aspetto appare fondamentale dal punto di vista del Terzo Settore: gli enti che ne fanno parte – secondo le intervistate – si propongono come “agenti di cambiamento nei confronti dell’intera comunità, non solo del proprio target di riferimento”. Il legame con l’esterno appare quindi come parte integrante di un intervento di diversity management all’interno dell’organizzazione. Anche il community organizing è utilizzato nell’ambito di una consulenza “sartoriale”, che tiene conto delle esigenze e delle caratteristiche dell’organizzazione e dell’ambiente in cui è inserita; per questo motivo le azioni concrete di community organizing possono essere le più svariate: eventi di sensibilizzazione aperti alla cittadinanza, incontri di in-formazione su temi specifici rispetto a cui l’organizzazione ha preso una posizione, facilitazione di reti con altri soggetti che condividono la mission e l’impegno dell’organizzazione.
La terza azione – trasversale rispetto alle prime due – è la comunicazione. Essa rappresenta una necessaria conseguenza e, al tempo stesso, un fondamentale strumento per l’introduzione di iniziative di diversity management: è infatti la comunicazione all’interno e verso l’esterno che permette di rendere stabile, condiviso e conosciuto il cambiamento prodotto dal diversity management.