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Per rilanciare il Mezzogiorno è necessario risolvere il "problema dei problemi": porre fine alla fuga dei giovani meridionali dalla loro terra arginando così il depauperamento del capitale umano che affossa il Meridione. È questa, in estrema sintesi, la proposta che emerge dal volume "Sussidiarietà e… giovani al Sud", rapporto pubblicato dalla Fondazione per la Sussidiarietà e curato da Alberto Brugnoli e Paola Garrone. Dopo un tour di presentazione che ha toccato quindici città italiane – la maggior parte nelle regioni meridionali – il 12 novembre il rapporto è stato presentato anche a Milano. Un’occasione per dire con chiarezza anche nella “locomotiva d’Italia” che se alcuni vagoni sono troppo pesanti il treno non riuscirà ad andare troppo lontano.


Tra grandi emergenze…

Il rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà contiene molti dati noti ma, presentandoli uno in fila all’altro, ha il pregio di restituire con grande chiarezza l’enormità dei problemi irrisolti del Mezzogiorno.

Sul fronte demografico, ad esempio, gli autori evidenziano come entro 50 anni la popolazione del Mezzogiorno diminuirà di circa il 25% – un calo molto più alto rispetto a quello atteso nel Nord e nel Centro – e l’età media della popolazione arriverà a 51,6 anni; dall’essere l’area più giovane del Paese il Sud diventerà quella più vecchia e meno popolata. Una denatalità “anomala” per il Mezzogiorno, che secondo gli autori è anzitutto un segnale di disagio e precarietà giovanile.

L’altra grande emergenza messa in evidenza è quella educativa. Secondo i dati presentati, ad oggi, circa il 18,4% dei giovani meridionali abbandona precocemente gli studi (contro una media nazionale del 13,8%), mentre la percentuale di laureati universitari (20,7%) è la più bassa di tutta Europa. E, come se non bastasse, chi si laurea tende a emigrare all’estero o in altre zone del Paese: negli ultimi 15 anni, delle circa 700.000 persone che hanno lasciato il Meridione, poco meno di 200.000 erano laureate.

Una emorragia di capitale umano che, evidentemente, è legata fortemente alla situazione del mondo del lavoro. Il tasso di occupazione del Mezzogiorno nella fascia 20-64 anni è infatti del 44,8% (dati 3° trimestre 2017), la più bassa d’Europa e ben lontana dai livelli del Centro (63,2%) e del Nord (66,8%). In questo quadro la disoccupazione giovanile si attesta al 46,6%, mentre i Neet (i giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi formativi) sono oltre 1.800.000, circa il 60% di tutti quelli presenti nel nostro Paese.

La scarsità di lavoro, inevitabilmente, ha delle ricadute anche sulla dimensione sociale. I tassi di povertà assoluta e relativa restano di molto superiori a quelli del resto d’Italia e riguardano soprattutto coloro i quali vivono nelle periferie delle grandi città e nei centri urbani con più di 50.000 abitanti.

…e alcuni segnali di ripresa

Accanto a queste grandi emergenze i curatori segnalano però anche alcuni interessanti segnali di ripresa. Anche grazie al miglioramento della situazione economica globale, nel 2016 il PIL del Sud è cresciuto più di quello del Nord e del Centro, in particolare grazie alle PMI che hanno aumentato fatturato (+3,9% vs. +3,1%), valore aggiunto (+4,9% vs. +3,7%), e margini operativi lordi (+5,7% vs. +3,9%).

Nel corso del 2017 sono aumentati i turisti, sia italiani che stranieri, con tassi maggiori rispetto al resto del Paese. Si è inoltre registrata una crescita degli occupati (+108.600 unità nel 3° trimestre 2017 rispetto 2016). Nel Sud, inoltre, si registra la maggior percentuale di start-up innovative e imprese giovanili attive nel Paese: poco più̀ di 250.000 unità, il 41,5% del totale nazionale.

Secondo i curatori del volume, grandi opportunità potranno infine venire dal recente raddoppio del canale di Suez, a patto che ci sia la volontà di agevolare gli investimenti necessari per potenziare le infrastrutture che dovranno accogliere la crescente mole di merci che giungerà in Europa grazie al rafforzamento di questa rotta.

Un cambio di prospettiva necessario

Alla luce di queste dinamiche, il rapporto ha cercato di rispondere a una grande domanda: cosa serve ai giovani meridionali affinché possano essere pienamente artefici del proprio futuro e dello sviluppo dei luoghi ai quali appartengono? Secondo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà che ha curato anche l’introduzione del rapporto, i cambiamenti necessari in tal senso sono molteplici.

Anzitutto occorre un cambio di prospettiva. Il Mezzogiorno non può più essere considerato, secondo stereotipi diffusi, come la periferia di Roma, del Nord d’Italia e dell’Europa, ma deve essere visto come il centro di una delle aree di maggiore interesse al mondo, quella del bacino del Mediterraneo. “L’arrivo di migranti che giungono dal Medio Oriente e dall’Africa, guardando al Sud Italia come porta d’accesso per l’Europa, così come la rinnovata importanza nelle rotte marittime internazionali che passano da Suez” secondo Vittadini “impongono che il Paese nel suo insieme acquisti maggiore consapevolezza dell’unicità del Mezzogiorno”.

Al contempo, sottolinea ancora Vittadini, bisogna superare una “immagine del Sud tutto assistenzialismo e immobilismo clientelare che non corrisponde alla realtà. Il desiderio di crescere e imboccare la via dello sviluppo è presente in molti e sono diffusi i tentativi di costruzione sociale, culturale, economica da guardare con attenzione”. Per questo tutti i capitoli del rapporto cercano di individuare e valorizzare esperienze “in controtendenza” in grado di “mettere in luce e sostenere quanto al Sud si sta muovendo per l’iniziativa delle persone, pur tra difficoltà di carattere burocratico e carenze infrastrutturali che sono più gravi che nel resto d’Italia”.


Un nuovo modello per ripensare gli interventi

Accanto a un cambio di prospettiva, il rapporto propone anche un modello originale attraverso cui ripensare le politiche per il Mezzogiorno: il 3S-3M. Mentre le 3S sintetizzano il paradigma dello Sviluppo Sostenibile e Sussidiario, le 3M riguardano le sue dimensioni: Multisettore (coinvolgimento di differenti tipologie di capitale, oltre che di diversi settori), Multiattore (che prevede la valorizzazione di tutti gli attori, pubblici, privati, profit e non profit) e Multiscala (che si riferisce ad un coordinamento tra il livello locale, quello regionale, quello nazionale e quello sovranazionale).

Al cuore di tale modello si trovano gli “attori sistemici” ovvero quei soggetti capaci di muoversi in tutte le dimensioni “multi” sopracitate e di catalizzare intorno a sé i vari soggetti che possono concorrere a impostare politiche di sviluppo, appunto, sostenibili e sussidiarie. “In un territorio si trovano sempre soggetti in grado di interpretare questo ruolo meglio di altri” sostiene Vittadini “e il primo compito di chi ha la responsabilità di impostare le politiche di sviluppo è quelli di individuare quali soggetti sistemici sono presenti a livello locale e far leva su di essi”.

In tal senso, il rapporto propone diversi esempi di strategie e attori che possono favorire questo approccio, come il sistema universitario e scolastico, il mondo del lavoro e dell’impresa, la pubblica amministrazione.

Incentivi mirati, cultura e investimenti infrastrutturali

Oltre a definire un modello, il rapporto offre anche alcune idee “per attrarre capitali privati, promuovere imprenditorialità, favorire lo sviluppo di un circuito sociale virtuoso, che abbia nei giovani il punto di riferimento di breve e lungo periodo”.

“Un primo esempio di innovazione nelle politiche” – spiega Vittadini – “potrebbe consistere nella rinuncia a utilizzare sussidi pubblici “a pioggia” per sostenere imprese o ai territori. Questo tipo di incentivi non stimola investimenti e iniziative addizionali, mentre da un lato distorce il mercato e dall’altro disincentiva la buona amministrazione, conferendo inoltre un pericoloso potere di intermediazione a chi gestisce gli incentivi”. “Un incentivo ben più equilibrato e significativo potrebbe essere una detassazione selettiva, anche a tempo determinato, da riservare alle iniziative imprenditoriali che soddisfino requisiti di innovazione tecnologica e creazione di valore aggiunto in termini di occupazione e investimenti”. 

Il Sud, per quanto detto più sopra, potrebbe inoltre diventare un punto di integrazione culturale importantissimo in questo momento storico. “In più circostanze diversi Paesi del Sud del Mediterraneo e dei Balcani hanno segnalato di volersi affrancare dall’arretratezza attraverso la crescita culturale e professionale dei propri giovani” spiega ancora Vittadini. In questa situazione il sistema universitario del Sud Italia potrebbe diventare un importantissimo “Hub della conoscenza” per tutta l’area mediterranea, attraendo (e trattenendo) giovani stranieri motivati che ad oggi scelgono altri Paesi per i propri studi. Borse di studio ad hoc, programmi in lingua inglese e francese, partnership con le migliori università del mediterraneo potrebbero permettere di formare professionisti, manager e giovani imprenditori e, di conseguenza, sostenere un nuovo posizionamento del Sud all’interno del Mediterraneo. Come sottolinea anche Vittadini, infatti, “investire in formazione è la prima condizione per costruire rapporti duraturi di carattere culturale, politico e commerciale”.

Un esempio di natura diversa riguarda il commercio internazionale e le infrastrutture. Già oggi i Paesi del Mediterraneo sono partner commerciali primari dell’Italia, ma c’è un fatto molto importante che spinge ad investire ulteriormente sui rapporti con tali regioni e che apre nuove opportunità per riportare il Sud al centro dell’Europa: il citato allargamento del Canale di Suez, che renderà più efficiente trasportare le merci attraverso il Mediterraneo invece di circumnavigare l’Africa per raggiungere i mercati del Nord Europa. “In questo contesto” spiega Vittadini “un importante elemento di scenario sono i progetti di strade, ferrovie, porti in corso di verifica o già avviati da diversi investitori istituzionali, in primo luogo da parte della Cina con il programma noto come One Belt, One Road. Si tratta di occasioni imperdibili di cui il Meridione d’Italia gode per avvantaggiarsi del cambiamento in atto” e che potrebbero portare al rilancio di investimenti infrastrutturali anche tramite fondi nazionali ed europei. “La credibilità del piano in termini di tempi e costi”, però, “è naturalmente fondamentale: tergiversare ha già nel passato fatto sì che grandi operatori portuali e logistici stranieri abbandonassero l’idea di investire in Italia per scegliere altri poli territoriali”.

Questi investimenti in infrastrutture potrebbero inoltre concorrere a incentivare la vocazione turistica solo parzialmente espressa di molte località del Sud. È evidente infatti che il vantaggio competitivo del Mezzogiorno nell’arte, nella natura, nella cultura, nell’architettura e nella gastronomia sia vanificato dall’arretratezza di strutture turistiche, porti, aeroporti, ferrovie, strade e autostrade.

Infine, ricorda Vittadini, “grazie al Sud, l’Italia si trova in una posizione centrale rispetto al confronto politico tra Unione Europea e Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Quando nacque la Comunità Europea il Mediterraneo rivestiva un significato strategico: la cooperazione pacifica tra i Paesi del Mediterraneo era considerata la premessa per la nascita di una vasta area in cui i Paesi sviluppati della costa settentrionale potevano essere un volano per i Paesi in via di sviluppo della costa meridionale”. “Purtroppo nel tempo l’Unione ha cambiato baricentro, dimenticando la propria vocazione mediterranea e indebolendo la possibilità di un dialogo pacifico tra le culture e le persone che abitano le diverse sponde del Mediterraneo. È ora di tornare alle priorità originali!”

Struttura del rapporto

Dopo la ricca introduzione curata da Vittadini, il Rapporto si apre con un “preludio” che introduce i lettori all’eterogeneità del Sud Italia. In questa parte Brugnoli e Montrasio hanno cercato di identificare le aree del Mezzogiorno maggiormente a “misura di giovani”, individuando attraverso una serie di indicatori sociali ed economici vantaggi e svantaggi presenti in Province e Città metropolitane del Sud. Dall’analisi si evince come alcune province siano in controtendenza rispetto a un quadro complessivamente problematico, aprendo l’interrogativo su quali fattori permettano l’avvio o il consolidamento di percorsi di sviluppo favorevoli ai giovani.

Nel capitolo seguente, Montrasio fornisce una fotografia dei giovani cittadini del Sud Italia mostrando come oltre all’aumento di problemi “tradizionali” del Mezzogiorno di povertà e disoccupazione, oggi si debba fare i conti anche con questioni “inedite” che riguardano ad esempio il calo della natalità. All’impoverimento demografico vanno aggiunte due dinamiche migratorie concomitanti, presentate da Iaquinta nel suo capitolo: da un lato, un numero crescente di giovani, per quasi un terzo laureati, fugge verso il Centro e Nord Europa; dall’altro, crescono le migrazioni da Nord Africa e Medio Oriente.

La seconda parte del Rapporto contiene due capitoli di approfondimento su quello che è considerato lo snodo strategico centrale per lo sviluppo: la formazione del capitale umano. Ingrassia suggerisce che le principali difficoltà che caratterizzano la scuola (esiti relativamente meno positivi nelle prove Invalsi) e le Università del Sud Italia (un numero di laureati in diminuzione) siano al centro di un circolo vizioso tra settore dell’istruzione e settore dell’economia, con la ridotta domanda di competenze espresse dal sistema locale delle imprese che alimenta una mancata crescita. Oltre a una ripresa di finanziamenti per gli atenei del Sud, Ingrassia vede la necessità di un’apertura di collaborazioni con gli attori del territorio e di alcuni mirati accordi a livello internazionale. All’analisi del sistema scolastico e universitario seguono quindi alcune raccomandazioni di Spallini e Viola, che sottolineano l’importanza di puntare sul rafforzamento dei legami tra Università italiane e soprattutto meridionali o insulari e Università estere.

La terza parte del Rapporto propone approfondimenti su alcuni dei settori da cui dipendono buona parte delle opportunità di crescita per i giovani e di sviluppo per l’intera società meridionale: impresa, Pubblica Amministrazione e grandi città.

Cellini propone uno studio in chiave comparativa Sud/Nord sugli effetti della recente recessione sulle imprese, indicando una crisi più marcata al Sud in seguito a molti anni di mancata crescita, al nanismo delle aziende e a una minore capacità di costituire reti tra imprese che portano, tra le altre cose, a un rapporto infelice con le banche. Di fronte ad alcuni territori che mostrano di avere saputo investire in prodotti agricoli e servizi turistici di qualità riuscendo a internazionalizzarsi, Cellini trae poi alcune raccomandazioni di policy.

Taormina indica nell’invecchiamento della Pubblica Amministrazione italiana, e in particolare del Sud, un problema centrale e poco riconosciuto, con conseguenze gravi per capacità di innovazione e di regolazione e sostegno a fenomeni nuovi. Tuttavia, anche in ambito di governo e amministrazione dei territori, non mancano esempi di programmi innovativi, con esiti positivi, basati sul principio di sussidiarietà.

Scrofani, infine, offre un punto di vista particolarmente interessante per leggere i processi sociali che attraversano il Mezzogiorno: quello delle grandi città costiere. Accanto alle problematiche legate alla governance delle policies pubbliche, Scrofani segnala numerosi gli esempi di vitalità delle organizzazioni del Terzo Settore in risposta alle difficoltà sociali ed economiche dei quartieri periferici, ma anche le nuove competenze sviluppate da alcune amministrazioni per far fronte alle innovazioni nei modelli amministrativi e nelle forme di finanziamento introdotte dall’Unione Europea.

Nelle conclusioni Brugnoli, a partire dagli elementi evidenziati nei capitoli precedenti, propone il citato modello di sviluppo 3S-3M per mettere in moto tutte le energie presenti nel tessuto socio-economico del Sud Italia. All’interno di un adeguato patto intergenerazionale centrato sull’opzione strategica di fondo per i giovani, secondo l’autore, il ricorso sistematico a questo paradigma potrebbe consentire di ridefinire l’azione dell’Unione Europea e del governo nazionale e, contemporaneamente, la valorizzazione e aggregazione delle molteplici progettualità nate “dal basso”. Cruciali in tale modello sono, da un lato, il ruolo di attori sistemici, pubblici e privati (profit e non profit), capaci di operare nel territorio con visione strategica – anche mobilitando risorse finanziarie plurime con modalità innovative di gestione delle stesse – e, dall’altro, il negoziato con l’Unione Europea per riconoscere la valenza del Mezzogiorno come piattaforma europea al centro del Mediterraneo.

Il testo è inoltre arricchito da alcuni interessanti commenti al volume firmati da alcuni osservatori privilegiati: Claudio De Vincenti, già Ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno; Eugenio Di Sciascio, Rettore del Politecnico di Bari; Antonio Uricchio, Rettore dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari; Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria; Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione CON IL SUD; Pierluigi Catalfo, Comitato scientifico Associazione FuturLab – Costruiamo il futuro; Adriano Giannola, Presidente di Svimez, Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno; Ugo Patroni Griffi, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale; Giuseppe Tripoli, Segretario Generale di Unioncamere.