Abilitare giovani promettenti che vivono in contesti territoriali fragili, offrendo loro l’opportunità di coltivare i propri talenti attraverso un percorso di crescita personale e culturale che li renda “più consapevoli, più proattivi, più abili”. È l’obiettivo ambizioso di “Bella storia. La tua”, progetto triennale di Fondazione Unipolis rivolto a 50 studentesse e studenti che nel 2022 stavano iniziando il terzo anno della scuola secondaria di II grado in Calabria o in Campania. Un percorso generativo di acquisizione incrementale di competenze che, come ci aveva spiegato Marisa Parmigiani, si struttura lungo tre direttrici fondamentali: empowerment, positioning e capacity building.
A conclusione del primo anno di progetto, i gruppi delle due regioni si sono uniti per partecipare allo Sport& Soft Skills Camp. Ospiti delle strutture dove ogni anno si svolge il Giffoni Film Festival, i partecipanti si sono confrontati con la metodologia Be Your Hero, già affrontata nel primo camp (di cui vi avevamo raccontato qui, ndr), sviluppata da Sineglossa, un’organizzazione culturale che disegna modelli di sviluppo sostenibile applicando i processi dell’arte contemporanea in risposta alle sfide globali a cui abbiamo chiesto di portare il proprio know-how su processi e tecniche per l’educazione alle life skills nelle e negli adolescenti.
Le studentesse e gli studenti sono stati coinvolti in un percorso di allenamento che unisce l’esperienza pratica alla riflessione condivisa sulle life skills, per aiutarli a prendere coscienza delle proprie capacità personali e trasversali e imparare che gli ostacoli esistono per essere superati.
Imparare a superare gli ostacoli a partire da un’azione fisica
Il focus dell’allenamento è stata la pratica dell’Art Du Déplacement (ADD), la disciplina che consiste nell’eseguire un percorso naturale o urbano superando qualsiasi genere di ostacolo attraverso corsa, salti, equilibrio, arrampicate, ecc., con la maggiore efficienza e semplicità di movimento possibile, adattando il proprio corpo all’ambiente circostante. Nata in Francia negli anni ’80 ad opera del collettivo Yamakasi, al quale nel 2011 è stato dedicato un film prodotto da Luc Besson, la disciplina dell’ADD è il terreno ideale sul quale coltivare l’allenamento delle life skills.
Innanzitutto, l’ADD non è una disciplina agonistica: l’obiettivo non è arrivare primi o fare meglio degli altri, ma collaborare per arrivare al traguardo tutti insieme. In secondo luogo, l’ADD insegna a superare gli ostacoli: Yamakasi è una parola di lingua lingala che può essere tradotta come “uomo/donna forte” o come “spirito forte”, in riferimento alla forza tanto fisica quanto mentale che viene impiegata nell’affrontare un ostacolo. Attraverso l’azione fisica, il training ADD allena le life skills essenziali per l’educazione dei e delle giovani a una relazione sana e consapevole con gli altri e con se stessi, insegnando a metabolizzare i fallimenti – “Sugli errori e le disfatte impariamo, sulle vittorie costruiamo”, è uno dei motti della disciplina – e a essere consci dei propri limiti, sia quando si tratta di sfidarli sia quando è saggio non superarli.
L’allenamento è stato coordinato da uno dei fondatori di Yamakasi, Laurent Piemontesi, trainer di fama internazionale, consulente e allenatore per il Cirque du Soleil. Durante le giornate a Giffoni, grazie all’allenamento ADD i ragazzi e le ragazze coinvolte hanno anche sperimentato un modo inedito di vivere il proprio corpo nello spazio pubblico, grazie al movimento.
Una pratica in linea con la metodologia Be Your Hero, in cui la fase esperienziale e quella dedicata alle competenze trasversali operano in armonia: la restituzione sulle life skills prende le mosse da quanto sperimentato con il movimento, offrendo al momento di riflessione un punto di partenza concreto. La componente relativa alle life skills si basa sugli archetipi junghiani, i modelli di personalità elaborati dallo psicoanalista Carl Gustav Jung, che nella metodologia Be Your Hero vengono utilizzati in chiave narrativa, in qualità di “personaggi” che rappresentano i “superpoteri” da conquistare. Nel corso dei mesi precedenti al camp, i ragazzi e le ragazze hanno avuto modo di conoscerli durante la formazione online con Sineglossa.
Guardarsi attraverso gli occhi degli altri
Il questionario anonimo somministrato alle ragazze e ai ragazzi che hanno partecipato al camp ci racconta com’è andata, cosa hanno imparato e soprattutto cosa noi possiamo imparare dalle loro riflessioni. Abbiamo chiesto ad Alessia Tripaldi, responsabile ricerca e formazione di Sineglossa e ideatrice del metodo, di commentarne i risultati: “prima del camp, circa la metà dei e delle partecipanti non praticava un’attività fisica e non aveva mai sentito parlare di life skills”. “Ancora più rilevante” aggiunge “è che più dell’80% di loro non aveva mai sperimentato la valutazione tra pari”, intesa come quello spostamento del punto di vista che, invece di calare la valutazione dall’alto, stimola uno sguardo attivo nei confronti dei propri coetanei.
“In un’età in cui la paura del giudizio altrui è spesso un ostacolo all’espressione di sé, uno dei risultati più indicativi del camp è proprio il valore attribuito all’esperienza di guardarsi attraverso gli occhi degli altri, che la maggior parte dei e delle partecipanti identifica come aspetto più significativo della restituzione sulle life skills”.
Rispetto al training ADD, la maggior parte dei e delle partecipanti riconosce il principale valore dell’esperienza nell’aver trovato in sé e nel gruppo la forza per superare gli ostacoli: “mettermi in gioco”, “superare i miei limiti”, “aiutarci a vicenda”, “scoprire lo spirito di squadra” sono tra gli elementi positivi più citati nella valutazione sulla pratica sportiva.
Non è una scuola, è un’occasione di libertà
Con il questionario, abbiamo inoltre colto l’occasione grazie allo spunto offerto da Sineglossa, per aprirci ad una riflessione più ampia, interessante per la comunità educante e per chi più in generale lavora con – e per – gli adolescenti.
Alla domanda: Definiresti questo camp una scuola? Chi risponde di sì (il 35,5%) dice che, come la scuola, il camp ha “offerto degli insegnamenti” e ha “aiutato a socializzare con altre persone”. Tra le motivazioni di chi risponde di no (il 64,5%) ricorre la parola “libertà”: libertà di esprimersi, di esternare le proprie emozioni, di non essere giudicati e giudicate, di mostrarsi. Diverse risposte motivano questa maggiore libertà con l’assenza di valutazione. “La scuola è viziata dalla tossicità della valutazione”, scrive un partecipante, al quale fanno eco coloro che descrivono il camp come “un’esperienza formativa, ma senza stress”.
In particolare, molte e molti partecipanti sottolineano la differenza tra le materie scolastiche e le “materie” oggetto del camp:
La scuola è un ambiente atto a dare agli studenti un certo livello di educazione e cultura, lasciando molte volte poco spazio alla socialità. Questo camp si è focalizzato di più sull’aspetto psicologico e sociale di noi ragazzi, dandoci impulsi per conoscerci meglio l’uno con l’altro e facendo sì che potessimo abbattere i timori.
Sempre in questo senso:
La scuola ti forma dal punto di vista culturale, il camp ci ha permesso di esplorare e comprendere noi stessi.
E, ancora:
Il camp ci ha insegnato a superare le difficoltà sia concrete (come un salto di due gradini) sia non riguardanti le attività sportive (come per esempio riconoscere le proprie debolezze e farne un punto di forza per andare avanti): più che una scuola l’ho considerata una famiglia.
Secondo Tripaldi “Nel dibattito sulla scuola presente e futura, in cui educatori come il maestro e scrittore Franco Lorenzoni auspicano un rinnovamento dei curricola che incoraggi l’attenzione sulle competenze trasversali, le ragazze e i ragazzi di Bella storia ci dicono che conoscersi attraverso lo sguardo dei coetanei e scoprire la propria forza interiore sono un insegnamento di cui hanno bisogno per la propria crescita personale”.
Come Fondazione rileviamo ad ogni camp, ad ogni attività, quanto la scelta di lavorare sul medio periodo in una logica incrementale di acquisizione di competenze porti a consolidare le piccole conquiste di ciascuno dei partecipanti. Questo sebbene il lavoro sull’ingaggio richieda un lavoro costante e di cura, per renderli, un passo alla volta, partecipi e consapevoli della costruzione del proprio valore.
Un percorso che continua
L’esperienza qui descritta conclude il percorso di questo primo anno a fianco di Sineglossa.
Autoconsapevolezza, lavoro di gruppo, leadership, creatività e innovazione, pensiero critico e risoluzione dei problemi saranno oggetto delle attività previste dalla Palestra di Competenze in programma da ottobre in collaborazione con Ashoka Italia per il secondo anno, proseguendo il cammino verso il protagonismo giovanile per la riduzione delle diseguaglianze. Grazie all’analisi e progettazione di azioni di cambiamento reali e praticabili si vuole sostenere lo sviluppo personale dei partecipanti verso l’autonomia, offrendo loro opportunità che gli consentano di acquisire le competenze necessarie per essere protagonisti della propria vita nell’affrontare le sfide attuali e future.
L’intento è permettere ai partecipanti di riconoscersi come changemaker: attivatori di cambiamento, proprio e delle comunità, accrescendo la propria pro-attività.