6 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Nel focus di Politiche Sociali/Social Policies 2/2024, dedicato alle “religioni nel welfare in transizione”, ci siamo interrogati sui meccanismi del sistema pubblico di finanziamento delle confessioni religiose in Italia.

Per l’avvio o l’approfondimento di tale questione può essere utile considerare il contenuto e gli effetti della legge n. 222 del 1985, che ha configurato in Italia un nuovo sistema di finanziamento delle confessioni religiose, a seguito di un lungo processo di revisione e di riforma del Concordato, alla luce dei valori costituzionali. Si tratta di una modalità di sostegno economico più generosa rispetto a quelle vigenti nel resto d’Europa.

In alcuni Paesi, ad esempio, è previsto esclusivamente l’autofinanziamento, in quanto si ritiene che la funzione di promozione religiosa non sia di competenza dello Stato (Francia, Irlanda, Regno Unito). In altri Paesi (Germania e Austria), i cittadini pagano una tassa aggiuntiva e i proventi vengono girati alle confessioni a cui essi appartengono. In Spagna una legge prevede la possibilità di attribuire il 7 per mille dell’imposta sul reddito alla Chiesa cattolica; il contribuente si impegna per la percentuale effettiva della propria imposta e, se nessuna preferenza viene espressa, la percentuale non optata resta a disposizione dello Stato.

Come funziona e a che cosa serve l’8 per mille

La riforma introdotta nel nostro Paese dalla legge del 1985 ha stabilito che, a decorrere dal 1990, una quota pari all’8 per mille del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) venga destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica. Leggi successive hanno esteso questa opportunità di finanziamento anche a favore di altre confessioni religiose. L’8 per mille è solo uno dei canali di finanziamento pubblico di queste organizzazioni; un altro, meno noto e praticato, è rappresentato dalla possi­bilità prevista per i contribuenti di dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro, fino al limite di circa mille euro per anno.

Come ricostruito nell’articolo pubblicato nel fascicolo di Politiche Sociali/Social Policies, lo Stato utilizza i fondi ricevuti per interventi straordinari per fame nel mondo, cala­mità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali. La Chiesa cattolica – che è il principale beneficiario di questo nuovo sistema – li impiega per le esigenze di culto della popolazione, per il sostenta­mento del clero, per interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del Terzo Mondo.

Il meccanismo di attribuzione dei fondi consente agli enti che ne hanno titolo di ricevere più di quanto esplici­tamente destinato loro dai contribuenti. Tutto ciò si verifica perché la ripartizione viene effettuata in base alla scelta da essi operata attraverso la dichiarazione dei redditi. I fondi assegnati a ciascuno dei destinatari sono proporzionali al numero delle preferenze ricevute. Poiché la maggior parte dei contribuenti non esprime alcuna opzione, accade che gli orientamenti manifestati da quanti hanno invece esplicitato la scelta determinano anche la ripartizione dei fondi relativi alle scelte non espresse. Di conseguenza, l’intero ammontare dell’8 per mille viene distribuito solo sulla base di quanto dichiarato dai pochi contribuenti che scelgono (sono meno della metà del totale) e che, in larga maggioranza, optano per la Chiesa cattolica.

I rilievi mossi dalla Corte dei Conti

Nel corso degli ultimi dieci anni, in diverse occasioni la Corte dei Conti ha prodotto alcune deliberazioni manifestando apertamente non poche considerazioni critiche rispetto al meccanismo appena delineato. I rilievi più significativi sono tre. Di seguito, proviamo a esplicitarli sinteticamente.

  1. Innanzitutto, le scelte non espresse, a prescindere dalle motivazioni sottostanti, secondo la Corte potrebbero anche essere interpretate come la manifestazione im­plicita di un rifiuto del sistema o della volontà di non parteciparvi, per cui le somme relative a esse dovrebbero essere considerate a tutti gli effetti denaro pubblico e riassorbite nel bilancio dello Stato. In una deliberazione del 2014, tale organo evidenzia, peraltro, l’assenza di informazioni chiare sul punto, per cui i cittadini possono essere indotti a pensare che i fondi vengano assegnati solo sulla base di una scelta esplicita, mentre – come si è già evidenziato – i destinatari ricevono più dalla quota non espressa che da quella espressa. Il vantaggio procurato da questo sistema ai due principali beneficiari – lo Stato e, soprattutto, la Chiesa cattolica – è innegabile. Dalla ricostruzione dei dati disponibili sul sito del Ministero economia e finanze (MEF), emerge che dal 1990 al 2019, il contributo assegnato ogni anno alla Chiesa cattolica si è quintuplicato: dai 200 milioni iniziali, l’importo è lievitato progressivamente fino a superare per la prima volta il miliardo di euro nel 2008, attestandosi intorno a questa quota dal 2010 fino ad oggi.
  2. Ancora più grave è il rilievo secondo cui la gestione dei fondi sarebbe carat­terizzata da scarsa trasparenza, che dipenderebbe anche dalla mancanza di sistemi attendibili di verifiche sull’utilizzo dei finanziamenti erogati. Le perplessità più forti della Corte riguardano soprattutto la Chiesa cattolica, per via del fatto che essa destina agli interventi caritativi solo un quarto delle risorse percepite, a diffe­renza di quanto viene invece realizzato da alcune altre confessioni religiose, come la Chiesa evangelica valdese e le Chiese avventiste, che destinano quasi tutti i fondi ricevuti per finanziare progetti caritativi, umanitari o culturali, o la Chiesa luterana, che ne impiega un terzo. La conseguenza è che la Corte dei Conti continua a considerare non soddisfacente l’impegno della Chiesa cattolica a sostegno dei più poveri.
  3. Un ulteriore elemento critico della gestione dei fondi che viene denun­ciato dalla Corte è quello relativo alla carenza di controlli sui rendiconti. Per la Chiesa cattolica, la rendicontazione è prevista dall’art. 44 della legge 222, e da un successivo DPR (n. 33/1987). Il giudizio formulato dalla Corte sulle relazioni presentate negli anni è tuttavia assai negativo: esse risulterebbero – a suo giudizio – assai sintetiche, ripetitive, prive di interesse e di ogni approfondi­mento e valutazione critica, per cui non consentirebbero di capire se le finalità a cui le somme dell’8 per mille devono essere destinate sono effetti­vamente perseguite, e in che misura.

A queste osservazioni critiche, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha risposto, sia pure parzialmente, con una importante deliberazione del 2016 che sollecita le Diocesi a gestire le risorse ricevute tenendo una linea di maggiore rigore e trasparenza.

Tre questioni da approfondire

Le contraddizioni relative alla gestione dei fondi 8 per mille da parte della Chiesa cattolica, tuttavia, permangono e fanno emergere almeno altre tre questioni su cui sarebbe interessante indagare: a) il modo in cui i contribuenti operano la scelta relativa alla destinazione dell’8 per mille; b) la effettiva composizione ed entità delle risorse a disposizione delle diocesi; c) la esiguità dei fondi 8 per mille utilizzati per il perseguimento di finalità sociali.

In ordine al primo punto, sarebbe utile ricostruire le motivazioni degli optanti e quelle di coloro che non esplicitano alcuna preferenza, nonché la loro distribuzione territoriale, verificando ad esempio se siano rinvenibili avvenimenti o situazioni particolari, nella società o nella Chiesa, che consentano di spiegare le scelte degli uni e degli altri. Un eventuale approfondimento sul punto dovrebbe tener conto della pressoché totale assenza di controlli significativi sulla correttezza delle indicazioni dei contribuenti che manifestano una scelta, nonché della mancanza di controllo sulla trasparenza degli intermediari come i Caf (Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale), dal momento che alcuni di questi enti avrebbero interferito nella scelta dei contribuenti: sono stati infatti accertati casi di trasmissione di scelte difformi dalla loro volontà.

Le risorse dell’8 per mille, ed è il secondo punto, rappresentano la voce in entrata forse più consistente dei bilanci delle Chiese diocesane, ma non l’unica. Ci sono infatti altre voci da tenere presenti, come i contributi da enti pubblici e privati, le entrate provenienti da attività pastorali, i contributi pub­blici su immobili, i ricavi della gestione del patrimonio immobiliare, i ricavi finanziari. Solo uno studio accurato dei bilanci diocesani potrebbe consentire di ricostruire in maniera precisa l’ampiezza delle risorse disponibili per ogni Chiesa diocesana e di stabilire in che misura esse sostengano iniziative di welfare religioso.

La terza questione su cui sarebbe utile approfondire l’analisi è collegata alle critiche attraverso cui la Corte dei Conti ha più volte sollecitato la Chie­sa cattolica a utilizzare per il perseguimento di finalità sociali una maggiore quantità di risorse 8 per mille, rispetto a quelle effettivamente destinate a questo scopo. La portata dei rilievi della Corte potrebbe essere parzialmente attenuata dal fatto che una quota significativa delle risorse ex 8 per mille viene impiegata per l’edilizia di culto e i beni culturali: si tratta di un ambito molto vasto, che va dalla costruzione di nuove chiese alla manutenzione di edifici di culto esistenti, fino alla gestione attiva del patrimonio mobiliare, come musei, archivi, biblioteche. Dall’ultimo Rendiconto gestionale della CEI, risulta che 109 milioni di euro (pari al 10,3% del totale delle risorse assegnate) sono stati impegnati proprio in questo ambito. Si tratta di un pa­trimonio che esprime un elevato valore religioso, sociale, storico e artistico, per cui si può affermare che gli interventi finalizzati a preservarlo – finanziati solo in parte con i fondi 8 per mille – rappresentino senza dubbio attività di interesse generale.

I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies

Questo articolo sintetizza alcuni degli esiti del lavoro pubblicato sul numero 2/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: G. Marcello, Aspetti critici del sistema di finanziamento delle confessioni religiose, in «Politiche Sociali/Social Policies», 2/2024, pp. 341-358.

Foto di copertina: FilipFilipovic, Pixabay.com