Lo scorso maggio, è stata pubblicata la traduzione italiana del volume “Career & Family: Women’s Century-Long Journey Toward Equity” (Mondadori, 350 pp) di Claudia Goldin che, nel 2023, ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia “per aver accresciuto le conoscenze sui risultati della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro”. Goldin è la terza donna a vincere questo premio e, nel 1990, è stata la prima a ottenere una cattedra all’Università di Harvard.
Di seguito ripercorriamo alcuni dei contenuti del volume, ricco di spunti interessanti anche nell’ottica del secondo welfare, focalizzandoci su ciò che, secondo la Premio Nobel, è alla base dei divari di genere: il modo in cui si concepisce il lavoro e le conseguenti azioni che vengono messe in campo da persone e organizzazioni.
Disuguaglianze di genere e iniquità di coppia in oltre un secolo di storia
Il volume contiene una ricca e articolata ricostruzione storica su come le donne abbiano tentato di conciliare carriera e famiglia vedendo costantemente frustrata questa aspirazione.
La ricostruzione proposta, che si basa su decenni di ricerca da parte di Goldin, suddivide le donne in cinque distinti gruppi. Considerando i due estremi temporali, il “Gruppo 1,” che comprende le nate fra il 1878 e il 1897 e laureate nel primo ventennio del ‘900, sono le donne che hanno ottenuto “o la famiglia o la carriera”. Pochissime di esse infatti hanno fatto carriera, si sono sposate e hanno avuto figli. Per queste donne era pressocchè impossibile combinare lavoro e famiglia. Il “Gruppo 5” comprende invece le donne nate dopo il 1958 e laureate negli anni Ottanta che hanno aspirato ad avere “sia la carriera che la famiglia”. In mezzo le varie sfumature tra queste due categorizzazioni.
L’avvicendarsi storico di questi gruppi di donne e delle loro aspirazioni e desideri si intreccia, nella narrazione della Goldin, con le trasformazioni dell’ultimo secolo tra cui la diffusione della pillola anticoncezionale che ha permesso alle donne del Gruppo 4 (nate fra il 1944 e il 1957) di studiare di più e salire la scala gerarchica senza rinunciare alla loro vita sociale e sessuale.
Il punto nodale: le “professioni avide”
Il volume non si limita a ricostruire la storia, ma guarda all’attualità dei nostri giorni, chiedendosi come promuovere la parità di genere e l’equità di coppia che, nonostante i cambiamenti, sono ancora oggi un obiettivo lontano. Le leggi antidiscriminatorie e il contrasto agli stereotipi di genere sono passi importanti secondo Goldin, tuttavia non sufficienti visto l’ordine dei problemi:
“Una singola azienda che viene bonariamente redarguita per le sue politiche interne, una donna che riesce a entrare in un consiglio di amministrazione, un manipolo di giovani e progressisti dirigenti del settore tecnologico che prende il congedo di paternità non sono soluzioni, ma l’equivalente economico di lanciare una scatola di cerotti a un malato di peste bubbonica” chiarisce la premio Nobel già nelle prime pagine del libro.
Qual è allora la soluzione? La parità di genere e l’equità di coppia possono essere raggiunte solo se cambia il modo in cui si concepisce il lavoro. In particolare, è necessario guardare alle conseguenze generate dai “lavori avidi”, ovvero quei lavori che (economicamente e in termini di opportunità di carriera) premiano in maniera sproporzionata la disponibilità a lavorare più ore, in orari non standard, nei fine settimana e, più in generale, ad essere sempre reperibili.
La storia di Luca e Isabel
Per fare luce sul nocciolo della questione la Goldin racconta la storia di Isabel e Lucas. Si tratta di una giovane coppia sposata, entrambi si sono laureati in discipline umanistiche nella stessa università, hanno conseguito la stessa specializzazione in tecnologie dell’informazione e, successivamente, sono stati assunti dalla medesima azienda.
Al momento dell’assunzione hanno potuto scegliere tra due posizioni. La prima – lavoro standard – con orario di lavoro definito e flessibilità oraria. La seconda – lavoro avido – prevedeva reperibilità serale, nei fine settimana e senza preavviso, anche se il monte ore annuale non aumentava necessariamente di molto. Per rendere quest’ultima posizione attrattiva, il compenso orario era il 20% superiore rispetto a quello del lavoro standard. Inoltre, fra questi lavoratori l’azienda selezionava i futuri manager .
Inizialmente, racconta la Goldin, entrambi scelgono la posizione avida, dal momento che sono dotati di pari capacità e sono liberi da vincoli esterni. Per qualche anno dunque i due lavorano con la stessa qualifica e il medesimo livello salariale.
Poco prima dei 30 anni tuttavia Isabel ha necessità di dedicare del tempo a sua madre malata e opta allora per passare alla posizione standard, per avere maggiore flessibilità. Da questo momento in poi le traiettorie professionali di Lucas e Isabel si separano (vedi figura). La linea continua è la traiettoria di Lucas che è rimasto sul lavoro avido e può raddoppiare il proprio guadagno pur non lavorando il doppio delle ore. La linea tratteggiata è la traiettoria di Isabel. La distanza fra la posizione di Lucas e Isabel equivale alla parte di reddito cui si rinuncia se si opta per la posizione standard.
Questa situazione si consolida quando poi la coppia decide di avere un figlio, continua a raccontare Goldin, perché almeno un genitore deve essere sempre reperibile per le esigenze familiari, ad esempio quando il bambino è malato o nel caso in cui l’asilo sia chiuso. Di conseguenza, anche volendo, non possono più lavorare entrambi nella posizione avida di Lucas, che intanto ha fatto carriera e quindi percepisce uno stipendio maggiore di quello che riceverebbe Isabel se decidessero di invertire le proprie posizioni.
In linea teorica, entrambi potrebbero lavorare nella posizione di Isabel, che garantisce flessibilità. Tuttavia, economicamente non potrebbero permettersi questa decisione. Il reddito disponibile se entrambi fossero in posizioni standard non sarebbe sufficiente a garantire il bilancio familiare, e così scelgono di sacrificare l’equità di coppia. Questo, secondo Goldin, mostra che “in un mondo di lavori avidi, la parità è costosa” (p. 18). In sostanza, fin quando la differenza salariale e le maggiori opportunità di carriera fra queste due modalità di lavoro resteranno significative, la coppia sarà spinta a scegliere i maggiori introiti “e quindi sarà costretta a buttare alle ortiche l’uguaglianza di genere e l’equità di coppia” (p. 226).
È possibile invertire la rotta? Settori a confronto
Secondo la Goldin tuttavia non solo è possibile invertire questa tendenza ma, in alcuni settori del mercato del lavoro, ciò si è già verificato. La premio Nobel lo dimostra attraverso “il caso dell’avvocata e della farmacista”, che indaga le ragioni alla base degli enormi divari di genere che caratterizzano il settore legale (da questo punto di vista il peggiore dell’economia americana) e le differenze con quello farmaceutico, decisamente più egualitario.
In sostanza, alcune caratteristiche del lavoro come l’ammontare delle ore richieste, lo stretto contatto con i clienti e/o gli assistiti e le centralità dei rapporti personali sono significativamente correlate al divario salariale di genere. Infatti, più queste caratteristiche sono presenti, minori sono le possibilità che le donne riescano ad avere le stesse opportunità degli uomini in queste carriere e maggiori saranno i divari salariali.
Queste caratteristiche, tornando al citato caso dell’avvocata, sono pervasive nel settore legale. Per tale ragione, gli studi legali sono disposti a pagare in misura consistente per invogliare i dipendenti a lavorare più ore e con orari irregolari e spesso imprevedibili. Alcune persone sono infatti indispensabili nel caso di determinati clienti che chiedono di essere assistiti da specifici assistenti legali (ma lo stesso vale ad esempio anche per quelli finanziari e fiscali). In altre parole, argomenta Goldin, questi studi rischiano di perdere dei clienti se un certo dipendente non prende parte a ogni fase della contrattazione e, proprio per questa ragione, alcune persone sono pagate molto per essere disponibili in ufficio.
In passato, la professione legale e farmaceutica condividevano caratteristiche simili. Tuttavia, l’evoluzione interna del settore farmaceutico ha portato notevoli cambiamenti nel corso del tempo. In primo luogo, si è assistito a una drastica riduzione del numero di farmacisti indipendenti e all’aumento significativo di coloro che lavorano presso grandi aziende. Inoltre, i farmaci si sono sempre più standardizzati nel corso del tempo e le preparazioni galeniche (i medicinali preparati direttamente dai farmacisti all’interno dei loro laboratori)) sono state con il tempo superate. Le tecnologie informatiche hanno poi permesso a tutti i farmacisti di accedere all’elenco dei farmaci assunti aprendo alla possibilità di fornire indicazioni appropriate anche in assenza di una pregressa relazione con il cliente.
Tutte queste trasformazioni fanno sì che oggi una farmacista sia facilmente intercambiabile e ciò evita quindi che tali professioniste siano costrette a lavorare molte ore e ad avere orari irregolari. Nel tempo, questa intercambiabilità ha portato a far scomparire la differenza di retribuzione oraria per chi lavora part time. Questo perché i farmacisti possono avere dei “sostituti quasi perfetti” e nessuno di loro vale il compenso decisamente superiore che è dovuto quando si fanno gli straordinari.
Cosa insegna il volume della Goldin?
La lettura del volume è illuminante perché riesce a spostare l’attenzione di un dibattito troppo spesso centrato su misure che equivalgono a “lanciare una scatola di cerotti a un malato di peste bubbonica” dal momento che non intervengono sulla struttura del lavoro.
Gli insegnamenti della Premio Nobel dovrebbero allora interessare soprattutto il mondo aziendale. Senza dubbio il nostro mercato del lavoro è molto diverso da quello americano, ma le analisi delle Goldin sono utili per riflettere sul “clima aziendale” e sui modelli etici che possono essere proposti e perpetrati nei luoghi di lavoro.
Questo volume aiuta infatti a guardare criticamente al sistema di valori che anima i luoghi di lavoro e getta luce sul fatto che, ogni volta che si premiano le persone (non solo in termini salariali ma anche di opportunità di carriera) per la loro disponibilità in orari non standard, si sta (di fatto) alimentando il divario di genere. In questa prospettiva, la possibilità di contrastare tale divario è forse più vicina di quanto solitamente si crede, dal momento che la diffusione di modelli “meno avidi” può essere sostenuta nei singoli luoghi di lavoro.