Proponiamo una breve recensione del volume Charity and Mutual Aid in Europe and North America since 1800, edito da Routledge, curato da Bernard Harris e Paul Bridgen, docenti presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Southampton.
Tra filantropia e mutualismo, quale contributo allo sviluppo dei welfare state occidentali
Il testo ripercorre il rapporto esistente tra forme di welfare fornite da organizzazioni filantropiche e benefiche attraverso gesti di carità, donazioni o elemosine, e quelle derivanti da unità organizzate su base statutaria, come le società di mutuo soccorso, in cui la risposta al bisogno deriva dallo sforzo congiunto di individui che si mettono insieme per uscire dalle condizioni di difficoltà in cui si trovano. I saggi contenuti nel testo, inoltre, mirano ad un’analisi comparata del rapporto tra beneficienza privata e interventi istituzionali in diversi contesti nazionali – in particolare Regno Unito, Stati Uniti, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, Canada e Germania – analizzandone l’evoluzione a partire dal 1800.
Nel primo capitolo, che funge anche da introduzione, i curatori del volume inquadrano il tema proposto analizzando il concetto di “mixed economy del welfare” ovvero la teoria secondo cui il welfare non possa essere concepito se non come rapporto tra varie realtà, pubbliche, private e appartenenti al mondo del volontariato – il volume si occupa in particolare di quest’ultime – che, a diverso titolo e attraverso modalità in continuo mutamento, hanno permesso lo sviluppo di quelle che oggi definiamo come politiche sociali.
Tanti argomenti in un’ottica comparata
Bernard Harris, nel secondo capitolo, analizza la condizione delle charities, enti caritatevoli e di volontariato, presenti in Inghilterra e Galles tra il 1750 e il 1914. L’autore del saggio – che mira a capire quale sia l’impostazione seguita dalle organizzazioni di volontariato nel periodo indicato – ripercorre l’evoluzione delle cosiddette Poor Laws, in particolare le New Poor Laws del 1834, individuandole come strumenti attraverso cui i rapporti intercorrenti tra organizzazioni filantropiche e istituzioni votate alla fornitura di servizi di welfare si sono progressivamente strutturati e sviluppati.
Nel terzo capitolo Thomas M. Adams, funzionario dell’agenzia americana National Endowment for Humanities, analizza le similitudini esistenti tra il concetto di carità presente in Europa prima dell’avvento dei moderni welfare state e lo sviluppo di forme di filantropia e volontariato nate dopo il 1945. Particolarmente interessante appare la riflessione sul concetto di responsabilità personale nel contesto europeo che, di fronte all’aumento dei diritti garantiti dai sistemi di welfare, pare si sia progressivamente affievolito . Adams sottolinea come alcuni politici abbiano tentato di cambiare questa tendenza, citando in particolare il caso dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl e il suo richiamo al principio di sussidiarietà come modalità per incoraggiare partecipazione e responsabilizzazione dei cittadini alla vita della Nazione.
Daniele Weinbren, presidente del Friendly Societies Research Group presso la Open University di Milton Keynes, nel proprio contributo esamina la relazione esistente tra “philantropy” e “mutual aid”. I due concetti, spesso considerati fra loro slegati, possiedono invece molti punti di contatto. Secondo Weinbren la storia delle friendly societies del Regno Unito racconta come i due concetti non solo non siano in contrasto, ma abbiano dimostrato di poter convivere positivamente. Se da un lato questi enti incoraggiavano i propri membri a sostenersi vicendevolmente e a cooperare fra loro, dall’altro spingevano gli associati più in vista a creare a e gestire opere legate ad attività filantropiche per lo sviluppo dell’intera comunità. Non solo forme di mutualismo dunque, ma un sistema complesso volto a sostenere il più ampio numero possibile di individui.
Il quinto capitolo “Mutual Aid and Private Insurance for Burial, Sickness, Old Age, Widowhood and Unemployment in the Netherlands” curato da Marco van Leeuwen, professore di Storia della Sociologia presso l’Università di Utrecht, analizza il contributo economico che le organizzazioni di mutuo soccorso hanno fornito al welfare state dei Paesi Bassi tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Analizzando i dati relativi a rischi come vecchiaia, disoccupazione o malattia si evince come la stragrande maggioranza della popolazione olandese risultasse priva di forme di protezione nonostante la presenza di società di mutuo soccorso, e come solo con l’introduzione di interventi a carattere pubblico, in particolare nel corso della prima guerra mondiale, questa situazione si sia progressivamente modificata in senso maggiormente inclusivo.
Il sesto capitolo affronta proprio la risposta di alcuni governi ai rischi e bisogni emergenti alla fine dell’Ottocento. Peter Johansson, ricercatore presso l’Institute for Futures Studies di Stoccolma, analizza come sia in Svezia che in Norvegia, già a metà degli anni ’80 dell’Ottocento, i governi di questi Paesi si siano chiesti come rispondere ai nuovi rischi e bisogni emergenti a causa della seconda rivoluzione industriale. Tuttavia, mentre in Svezia vennero introdotti schemi assicurativi volontari già nel 1891, in Norvegia si dovette aspettare fino al 1907 per vedere l’applicazione di simili misure. Johansson analizza le ragioni di queste differenze, affermando come tra le diverse motivazioni sia da segnalare anche la presenza o meno di un terzo settore predisposto alla crescita come, appunto, nel caso svedese.
Il settimo capitolo è stato curato da Thomas Adam (da non confondere con Thomas M. Adams, autore del terzo saggio), professore di German and modern transatlantic history presso l’Università del Texas. Adam offre un’analisi comparata molto interessante sul tema all’housing sociale, mettendo a confronto misure attuate in Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti e Canada a cavallo tra Ottocento e Novecento. In questo periodo i governi nazionali ancora non partecipavano direttamente alla costruzione di alloggi per le classi meno agiate, ed è in tale contesto che si assiste alla cosiddetta “five-per-cent-philantropy”, un fenomeno nato a Londra e progressivamente ripreso in diverse città del mondo. Attraverso la costituzione di società a responsabilità limitata gruppi di filantropi si uniscono per permettere la costruzione di alloggi destinati agli operai, garantendo agli stessi l’accesso a soluzioni abitative a prezzi agevolati. Queste realtà rappresentano uno dei primi esempi di mix tra filantropia classica e attività commerciali legate al welfare: chi investe in queste società ottiene dividendi minimi – compresi tra il 5 e il 7% del capitale investito – sicuramente inferiori a quelli che avrebbe potuto ottenere attraverso altri tipi di capitalizzazione, ma contribuisce attivamente a migliorare le condizioni di vita di migliaia di famiglie.
Andrew Morris, docente di storia presso l’Union College di Schenectedy (NY) in “New Alignments. American Voluntarism and the Expansion of welfare in the 1920s” indaga le relazioni tra mondo del volontariato e istituzioni statunitensi prima della depressione del 1929. Dalle analisi condotte emerge un quadro in cui le organizzazioni di volontariato americane, differentemente da quanto accadeva in Europa, specialmente nel Regno Unito, non venivano poste ai margini dalle istituzioni, ma coinvolte direttamente nell’individuazione dei bisogni della società civile.
L’ultimo contributo del volume, affidato a Paul Bridgen, descrive le motivazioni che, dopo la fine della seconda mondiale, hanno portato molti ospedali del Regno Unito, precedentemente gestiti da enti non profit, sotto il controllo diretto dello Stato. Bridgen sostiene che, al di là delle questioni politiche, furono ragioni di tipo sociale a determinare questo importante cambiamento per la Gran Bretagna. L’aumento delle richieste sanitarie provenienti dalla classe media e le difficoltà delle strutture gestite da enti di volontariato nel rispondervi è sicuramente il fattore più importante a cui far riferimento per comprendere la portata di questo evento. Le strutture ospedaliere private, in mancanza del sostegno della classe media, si trovarono nella condizione di dover cedere la propria indipendenza ed entrare, volenti o nolenti, all’interno del sistema sanitario nazionale britannico.
Esperienze interessanti da tenere in considerazione
Charity and Mutual Aid in Europe and North America since 1800, pur analizzando una lunga serie di esperienze fra loro molto diverse – sia per natura degli interventi descritti che per contesti nazionali in cui essi hanno avuto luogo – descrive il ruolo fondamentale svolto da attori non istituzionali nella formazione dei welfare state europei e nordamericani. Dalle società di muto soccorso alle prime imprese di housing sociale, dalle friendly societies alle organizzazioni di volontaritato tradizionali, i casi descritti nei saggi che compongono il volume dimostrano come il contributo di attori riconducibili a quello che oggi indicamo come terzo settore siano stati importanti per la creazione di schemi di protezione sociale su cui ancora oggi si fa affidamento. Uno sguardo al passato utile per il presente e, soprattutto, per il futuro dello stato sociale, chiamato dalla crisi a cercare via alternative per il proprio mantenimento e sviluppo