In questi giorni sui giornali si è tornato a parlare di smart working e luoghi di lavoro, un tema che Secondo Welfare sta seguendo da qualche tempo con una serie di approfondimenti. Due in particolare sono i contributi interessanti che vi segnaliamo.
Rita Querzè, con un editoriale sul Corriere della Sera, sostiene – citando il caso di Milano – che i timori legati allo svuotamento dei centri urbani a causa del maggior tasso di lavoro da remoto non sembrano essersi concretizzati: “il centro della città è sempre vivace e popolato“, ma al contempo evidenzia due dinamiche da non sottovalutare. Da un lato la minor domanda di uffici “non penalizza tutti allo stesso modo” dato che “le «smagliature» si stanno evidenziando più ai margini delle città che nelle zone centrali“. Dall’altro sembra che le aziende stiano perdendo un’occasione perché “se e la spinta è soltanto il risparmio sul riscaldamento in inverno e sul condizionamento in estate” allora non stiamo sfruttando le potenzialità di questa modalità organizzativa, in primis in termini di produttività e innovazione organizzativa.
Maurizio Ricci su Repubblica invece segnala come dagli Stati Uniti arrivino notizie non esattamente confortanti. Lo svuotamento degli uffici americani sta infatti mettendo in difficoltà le banche, che hanno visto calare il valore di molti immobili che ospitavano sedi e locali aziendali. Prima molto ambiti, ora sono vuoti e svalutati. Secondo alcuni studi la perdita per le banche sarebbe di 160 miliardi di dollari. In questi studi ci sarebbero anche proprietari insolventi a causa del mancato incasso di affitti proprio relativi agli uffici rimasti vuoti. In Europa la situazione sembra non essere così grave – come dimostra anche il caso italiano – ma appare utile guardare a queste dinamiche che riguardano lo smart working e il suo impatto sui tradizionali luoghi del lavoro.