Dopo gli articoli sul processo di mappatura svolto, sulla mancata uberizzazione e sull’importanza del design, continuano gli approfondimenti a cura del gruppo di ricerca di WePlat, progetto che sta studiando le piattaforme di welfare italiane. |
Quello della reputazione è un tema fondativo degli studi sul lavoro digitale fin dalle prime ricerche sulle comunità professionali in rete. Fino a qualche anno fa, l’attenzione degli studiosi era volta a comprendere in che modo sistemi reputazionali sempre più standardizzati e quantificati sotto forma di numeri ed icone potessero veicolare la costruzione di nuove forme di fiducia. Oggi, con maggiore disincanto, i sistemi reputazionali delle piattaforme digitali vengono intesi anche come il cardine di un nuovo dispositivo di controllo, alimentato da algoritmi opachi e dalle valutazioni degli utenti. Secondo la letteratura sulle piattaforme, la possibilità di valutare prodotti e servizi professionali avrebbe assegnato ai clienti un ruolo quasi-manageriale, intensificando la cura degli aspetti relazionali del lavoro da parte dei professionisti. Come si declina tutto ciò in un settore, come quello del welfare, in cui il fulcro del lavoro sono le relazioni stesse?
Piattaforme senza reputazione
Nelle piattaforme che erogano servizi di welfare la presenza di sistemi reputazionali è fortemente disomogenea: dei 127 casi presenti nella mappatura WePlat, ben 71 piattaforme non adottano alcun sistema reputazionale1. In particolare, nessuna piattaforma di welfare aziendale e soltanto due piattaforme di welfare territoriale presentano meccanismi di valutazione fra pari.
Questa netta polarizzazione è riconducibile alle differenze che separano queste due forme organizzative dal modello classico di piattaforma digitale a la Uber. Come abbiamo spiegato qui, le piattaforme di welfare territoriale e aziendale si configurano come delle reti che aggregano al loro interno i servizi offerti da realtà già attive sul territorio, con le quali stipulano alleanze inter-organizzative piuttosto stabili. Gli utenti possono selezionare il servizio da acquistare all’interno della piattaforma, ma non i singoli operatori, che non avendo un profilo visibile non possono neppure essere valutati in modo esplicito. In questo modello, gli operatori sono legati contrattualmente alle organizzazioni, che si occupano di selezionare chi erogherà la prestazione richiesta e di garantire l’utenza circa la qualità del servizio offerto.
Nel caso delle piattaforme di welfare territoriale, la pressocché totale assenza di meccanismi di valutazione tra pari è motivata anche da un imprinting culturale che mal si sposa con le logiche commerciali del modello di piattaforma mainstream. In alcuni fra i nostri studi di caso, l’assenza di meccanismi reputazionali viene giustificata a livello manageriale in ragione delle specificità dei servizi offerti – medici e socioassistenziali – e degli enti erogatori – prevalentemente cooperative ed imprese sociali. La reputazione di questi ultimi non solo non è delegata all’utenza, ma in alcuni casi è attribuita ai sistemi di accreditamento con cui le istituzioni pubbliche regolano l’erogazione di servizi di welfare.
Piattaforme con reputazione
Le piattaforme di welfare che adottano meccanismi reputazionali sono invece 41, 39 delle quali sono classificate come piattaforme di welfare digitale, la fattispecie che più di tutte incorpora il modello di piattaforma tradizionale. Fra queste, 22 offrono servizi medici e psicologici, 17 aggregano servizi socioassistenziali e di cura dell’infanzia. Tra queste ultime vi sono ben 10 piattaforme specializzate nell’erogazione di servizi di babysitting. Oltre ad incrementare il sostrato di fiducia fra clienti e operatori, la presenza di valutazioni esplicite serve alle piattaforme a rafforzare la propria reputazione, costruendo l’immagine di un ambiente sicuro e affidabile.
Ma quante sono queste recensioni? Si direbbe molte meno che altrove. Tra i nostri studi di caso, una piattaforma per consulenze mediche e psicologiche permette già ora di valutare le prestazioni ricevute, ma ha deciso di tenerle nascoste fino a che non raggiungeranno una massa critica consistente. Secondo i dati fornitici da una piattaforma di babysitting, soltanto 58 account di genitori su oltre 5.000 profili creati in Italia nel 2022 hanno lasciato recensioni a tate o babysitter. In parte, questo dato si spiega con il fatto che la relazione che instauriamo con babysitter, psicologi o psicologhe è molto più duratura rispetto a quella che intratteniamo con altre categorie professionali. Se un rider può ricevere decine di recensioni giornaliere da ciascun cliente a cui consegna del cibo, le valutazioni di una o un babysitter possono arrivare da una limitata platea di genitori, con i quali spesso mantiene una collaborazione continuativa. D’altra parte, questa relazione prolungata promette di aumentare la qualità delle valutazioni degli utenti, attenuando il pericolo che nascano bolle reputazionali noto ormai da tempo agli studiosi di questi temi.
Chi e che cosa si valuta?
Oltre ad abilitare la costruzione di fiducia reciproca, attraverso il sistema delle recensioni le piattaforme decentrano sugli utenti il controllo del comportamento delle controparti, dentro e fuori l’infrastruttura digitale.
Nell’ambito delle piattaforme di welfare, la raccolta di riscontri circa la qualità dei servizi offerti assume significati differenziati in ragione delle specificità settoriali. Nelle piattaforme per babysitter, ad esempio, operatori e operatrici percepiscono le recensioni come uno strumento per acquisire informazioni preliminari sugli utenti, ma anche come un asset per ottenere maggiore visibilità nel ranking allestito dalle piattaforme. Le implicazioni più interessanti si rilevano però nelle piattaforme che offrono servizi medici e psicologici, dove i sistemi reputazionali possono riconfigurare identità e pratiche professionali altamente codificate e legittimate.
Da questo punto di vista, un primo aspetto degno di nota concerne l’oggetto della valutazione: cosa si valuta di una prestazione medica o di una seduta di psicoterapia? Secondo molti medici che operano con le piattaforme che abbiamo studiato, le recensioni dei pazienti si basano principalmente sugli aspetti comunicativi ed emotivi che traspaiono durante una visita o un teleconsulto. Questo slittamento promette di trasformare alcuni aspetti della relazione medico-paziente, il modo stesso di praticare la professione. Il rischio di ricevere una recensione negativa, infatti, sembrerebbe intensificare l’attenzione dei medici verso questioni considerate spesso marginali rispetto alle capacità diagnostiche o all’osservanza rigida di protocolli terapeutici. L’altro lato della medaglia riguarda l’identità degli agenti responsabili di questa valutazione: chi valuta il lavoro di medici e psicoterapeuti? Naturalmente, abilitare i pazienti a lasciare delle recensioni circa l’operato di professionisti sanitari non implica che essi abbiano le competenze per farlo, ma contribuisce a mettere in discussione l’autorità che deriva dalla detenzione esclusiva di un sapere esperto come quello medico. In altri termini, il sistema reputazionale riesce ad attenuare le asimmetrie di potere nel rapporto fra paziente e professionista, pur lasciando intatte le asimmetrie informative che li separano.
La diversa presenza e gestione dei meccanismi reputazionali all’interno delle piattaforme di welfare è, in definitiva, un’ulteriore evidenza dell’eterogeneità di questo settore e della sua mancata “uberizzazione”.