Sono passati ormai quasi 100 anni al "dibattito" tra Adolf A. Berle e E. Merrick Dodd che ha dato vita alla concezione moderna di Corporate Social Responsibility. Nel corso del ‘900 la nozione di Responsabilità Sociale d’Impresa si è poi ampliata e arricchita grazie alle teorie, tra gli altri, di Archie Carrol ("inventore" della cosiddetta piramide della CSR), di Edward Freeman – promotore della Stakeholder Theory – e di Michael Porter e Mark Kramer, ideatori del concetto di Corporate Shared Value.
Durante l’ultimo secolo si è così progressivamente fatta largo l’idea che – dopo quelle economiche – le performance e le esternalità sociali delle aziende siano qualcosa di imprescindibile. E molte realtà imprenditoriali hanno si sono interrogate in maniera sempre più attenta e puntuale sul proprio ruolo all’interno della società. Proprio in questo solco che lo scorso agosto le grandi corporation della "Business Roundtable" – associazione che riunisce i vertici di alcune delle princiali imprese USA – hanno sottoscritto un documento attraverso il quale i loro manager si sono impegnati a ripensare le proprie decisioni in base all’impatto che queste possono avere sull’ambiente e sulle comunità locali.
Una "dichiarazione di intenti" che, inoltre, si focalizza anche sul rapporto tra le imprese e i loro stakeholder, sia interni che esterni, impegnando i vertici delle corporation ad agire in maniera corretta ed etica nei loro confronti, nel pieno rispetto dei dipendenti, dei fornitori e dei consumatori.
I principi contenuti nel documento della "Business Roundtable"
Questa presa di posizione ha riguardato 181 tra i più importanti "colossi" americani, come ad esempio JP Morgan, Amazon, General Motors, Pepsi, Southwest Airlines, CostCo, Boeing, Patagonia, Apple e BlackRock. E non a caso, come riportato anche da Il Sole 24 Ore, molti si sono affrettati a dichiarare il proprio scetticismo, avanzando l’idea che si possa trattare di una semplice mossa pubblicitaria che poi, in concreto, mai troverà applicazione nei processi decisionali che interessano questi giganti.
Ma quali sono i contenuti di questo documento? Come riportato nel sito internet di Business Roundtable, e come evidenziato in un interessante articolo di Forbes, la dichiarazione contiene tre punti fondamentali.
In primo luogo le multinazionali si impegnano a sviluppare una supply chain etica: ciò comporta maggiore attenzione verso tutti i fornitori e, ovviamente, verso tutte le piccole e medie imprese che interagiscono a vari livelli con queste grandi società. Il secondo punto è dedicato ai dipendenti, che vanno valorizzati promuovendo politiche di formazione continua e iniziative di welfare, come sanità integrativa e previdenza complementare. L’ultimo aspetto riguarda le comunità locali: l’impegno è quello di supportare e promuovere le realtà in cui le aziende operano, anche (e soprattutto) sotto il profilo ambientale.
Alcune considerazioni
Pur trattandosi di un’iniziativa che – a primo impatto – sembra essere mossa soprattutto da motivi d’immagine, la strada intrapresa da Business Roundtable segna un interessante passo in avanti. Il fatto alcune tra le più importanti aziende mondiali abbiano sottoscritto – in modo unitario – un documento in cui si impegano a perseguire finalità sociali è, al netto di tutto, qualcosa di nuovo e mai visto sin’ora. Inoltre tale scelta evidenzia come oggi, sempre di più, stia divenendo imprescindibile per le grandi organizzazioni assumersi certe responsabilità. Questo perché attualmente stiamo vivendo in una fase di grande trasformazione – del lavoro, del welfare e della società in generale – in cui anche le imprese sono chiamate a rivedere le logiche attraverso cui producono risorse, si relazionano con i loro stakeholder e con la comunità.
Clicca qui per consultare il documento integrale sul sito di "Business Roundtable"