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Saniblog, portale del fondo territoriale Sanifond Trentino, da alcuni mesi approfondisce gli effetti che il Covid-19 sta avendo sulla sanità integrativa e sui sistemi di welfare territoriale. Di seguito vi proponiamo l’intervista alla direttrice di Secondo Welfare, Franca Maino.


Professoressa Maino, sul nostro blog stiamo approfondendo gli effetti che la digitalizzazione – cui la pandemia ha impresso una forte accelerazione – sta esercitando sulla sanità integrativa e più in generale sul welfare. Qual è il suo punto di vista?

I segnali che osservo sono contrastanti, direi che si viaggia a velocità diverse. Sul fronte dell’offerta dei servizi, che sul territorio è tipicamente molto eterogenea, i soggetti più strutturati hanno rapidamente adeguato strategie e strumenti al nuovo paradigma. Ma altri attori fanno molta fatica e tuttora sono molto indietro.


In pratica, ci sta dicendo che l’accelerazione digitale è forte, ma agisce in modo diseguale.

Esattamente, e possiamo leggere questo fenomeno attraverso l’”effetto Matteo” (N.d.R. il riferimento è al passo biblico presente nel vangelo di Matteo, che recita queste parole: “a chi ha verrà dato e avrà in abbondanza mentre a chi non ha verrà tolto anche il poco che ha”). Nella valutazione delle politiche pubbliche si usa questa chiave interpretativa per identificare – in presenza di uno shock esterno – le condizioni per le quali i soggetti forti si rafforzano e invece i soggetti deboli si indeboliscono ulteriormente. La digitalizzazione è un fattore che può scatenare questo tipo di effetto.


Viene da pensare che ciò sia vero sul fronte dell’offerta, ma ancor più sul fronte della domanda di servizi. Certamente, l’”effetto Matteo” si traduce in uno spiazzamento dei soggetti più fragili, che accedono con difficoltà crescente ai servizi digitali.

E questo non solo per carenze infrastrutturali (si pensi al fatto che alcune persone non posseggono device mobili o connessioni internet), ma ancor più per motivi culturali. Anche perché è molto più facile intervenire sulle infrastrutture che sulla cultura. Se non ci sono le competenze e il setting culturale che permettono di identificare il valore degli strumenti digitali il rischio è che i device non vengano utilizzati oppure siano utilizzati in modo improprio.

Quando pensiamo alla riforma della medicina territoriale, ad esempio, dobbiamo immaginare anche percorsi di tutorship/affiancamento che facilitino l’accesso ai servizi digitali da parte degli anziani e degli altri soggetti fragili. Idem per la ricetta elettronica: non è scontato, ad esempio, che tutti i medici siano attrezzati per implementare efficacemente lo strumento presso il loro bacino di utenza.


In Sanifonds abbiamo introdotto dal 2020 lo sportello virtuale, cioè la possibilità di prenotare il supporto di un operatore in videoconferenza per presentare le richieste via web. Questo genere di strumenti rientra nelle strategie di affiancamento/tutoraggio di cui si parlava?

Certo, lo considero uno strumento coerente, proprio perché siamo ancora in una fase in cui è importante rafforzare la cultura digitale e rimuovere le barriere all’ingresso per quelle persone che manifestano minore padronanza degli strumenti informatici.


Professoressa Maino, lei studia da anni i rapporti tra pubblico e privato nel welfare. Come stanno cambiando i modelli di relazione per effetto della pandemia?

Nella prima fase della pandemia molti soggetti del mondo profit e non profit hanno reagito – e non poteva essere altrimenti – con un approccio emergenziale. Col passare dei mesi registriamo il tentativo di proiettarsi verso una programmazione strategica orientata al medio-lungo periodo.

Una linea di lavoro dovrà riguardare certamente i modelli di welfare territoriale/di prossimità, che ci attendiamo siano sottoposti a una profonda revisione. Anche in questo ambito osserviamo esperienze “a macchia di leopardo”: alcune certamente incoraggianti, penso al progetto che come Laboratorio Percorsi di secondo welfare stiamo seguendo con alcune amministrazioni locali di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte in tema di coordinamento e innovazione delle politiche sociali e socio-sanitarie (il progetto WILL, Welfare Innovation Local Lab).

Infine, è fondamentale capire come verranno utilizzate le risorse del Next Generation EU: la mia impressione, attualmente, è che ogni soggetto si muova per conto proprio, e che quindi vada configurandosi il rischio di forte frammentazione delle proposte e dispersione delle risorse.


Veniamo, adesso, alla sanità integrativa. Cosa “bolle in pentola” dal suo punto di vista?

Propongo due riflessioni generali. La prima riguarda la crescente consapevolezza del ruolo dei fondi sanitari integrativi nella risposta ai bisogni sanitari: la pandemia ha evidenziato che la sanità pubblica è stata per anni sotto finanziata e, quindi, oltre alla necessità di tornare a finanziarla in modo adeguato sarebbe imprescindibile irrobustire il secondo pilastro. Anche se ritengo che possa essere solo una parte della soluzione. Soprattutto se rimane concentrato, come accade adesso, al lavoro dipendente e stabile, il che determina l’esclusione di alcune fasce di lavoratori (penso alle partite Iva). Un’evoluzione di questo tipo richiede però un cambio di paradigma culturale, in primis delle parti sociali promotrici dei Fondi, che fino ad ora hanno privilegiato per la sanità integrativa il perimetro della contrattazione collettiva.


E la seconda riflessione?

La seconda riflessione riguarda il mondo delle Società di Mutuo Soccorso, che ha caratteristiche molto specifiche. Intanto, sono attori molto legati al territorio, il che da un lato li rende protagonisti nei sistemi locali dei servizi socio-sanitari, ma dall’altra ne condiziona la capacità di raggiungere adeguata massa critica a livello nazionale.

Certamente osserviamo una crescente tensione all’innovazione. Diversi soggetti sono cresciuti diversificando i servizi, penso ad alcune mutue piemontesi che come Secondo Welfare seguiamo e che hanno aderito a bandi regionali per ridefinire il loro modello di offerta. Inoltre, alcune mutue stanno considerando l’opportunità di estendere i servizi ai soggetti attualmente “non garantiti” dai fondi sanitari integrativi. Devo dire, però, che c’è ancora molto da fare, sia in termini organizzativi che di comunicazione istituzionale: la strada verso l’efficientamento di questi sistemi è ancora molto lunga!