Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio. |
Un sistema economico “lineare”, che basa il suo paradigma sull’estrazione di risorse dall’ambiente e l’inevitabile produzione di rifiuti e scarti provenienti dai beni che consumiamo, è destinato a minare irreversibilmente il nostro ecosistema.
Pensando a modelli alternativi che tengano in conto parametri come la sostenibilità, la giustizia sociale e ambientale del ciclo di vita dei prodotti si può contrastare quella convinzione tipica della società del consumo e del “rifiuto” per cui tutto ciò che utilizziamo ha una vita breve, indipendentemente dall’impatto economico e sociale che prevede il nostro consumare.
Abbiamo chiesto a Nadia Lambiase, ricercatrice nell’ambito dell’economia circolare, CEO e fondatrice della startup Mercato Circolare, di spiegarci quale sia lo stato dell’arte e quali gli elementi di innovazione in questo ambito dove istanze economiche, sociali, ambientali ed etiche sono inesorabilmente interconnesse.
Cosa contraddistingue l’economia circolare e cosa la differenzia da quella lineare?
Non esiste un’unica definizione di economia circolare, uno studio del 2017 ne ha contate 114 tra letteratura grigia e scientifica. La maggior parte di queste considera l’economia circolare come una strategia che non mina la crescita economica, ma che tiene in conto le relative conseguenze sull’ambiente, basandosi su uno schema chiamato delle tre “R”: ridurre, riusare e riciclare.
In alcune definizioni, viene poi sottolineata l’adesione ai principi di giustizia sociale e di equità come elemento caratterizzante dell’economia circolare, collocandola in un framework più ampio di sviluppo sostenibile a tutto tondo. La parola circolare rimanda a un cerchio, un ciclo.
Il sistema lineare in cui siamo immersi, invece, procede proprio come una linea che parte dall’estrazione delle risorse e il loro processamento, passa dalla produzione di beni che una volta utilizzati diventano rifiuti e infine vengono gettati. L’economia circolare è un modello economico differente rispetto all’esistente, che cerca di andare oltre il concetto di fine vita, sostituendolo a quello di estensione della vita di un bene nei processi di produzione come nel consumo.
Riparare, riusare, riciclare, condividere e noleggiare i prodotti sono alcune delle azioni concrete previste da questo modello per il quale fin dalla fase della progettazione un bene non è pensato come usa-e-getta, ma destinato ad essere utilizzato più a lungo possibile.
Su quali principi si fonda?
Fare economia circolare prima di essere una questione tecnico-scientifica è una questione di scegliere da quale prospettiva guardare il mondo. In quest’ottica, alcune procedure nella pratica e nel consumo sono necessariamente da mettere in discussione. Vediamole insieme.
Uno dei primi principi dell’economia circolare prevede di provare a cambiare le modalità di consumo e di produzione (a partire dal proprio comportamento di fruitori di beni). Alcuni modelli di business che vanno in questa direzione sono, ad esempio, quelli che favoriscono l’affitto invece del possesso dei beni, come nel trasporto pubblico in cui uno stesso mezzo viene messo a disposizione per più utenti. Modelli più recenti che vanno in questa direzione sono il car-sharing o il bike-sharing.
Un secondo principio prevede di ridurre a monte l’utilizzo di risorse vergini e non rinnovabili, ovvero privilegiare l’utilizzo di risorse bio-based, le biomasse e le fonti rinnovabili o riciclate. In questo caso è necessario prestare attenzione alla questione etica, evitando che l’utilizzo di biomasse minacci i territori considerando anche il punto di vista della giustizia sociale.
Un terzo pilastro si fonda sulla possibilità di allungare il più possibile il valore di un bene. La produzione di un bene deve cercare di farlo durare più a lungo possibile e contrastare l’obsolescenza programmata, tenendo in conto la possibilità di riparazione e di un design pensato in maniera modulare. Il fairphone, per esempio, è pensato perché sia facilmente smontabile e riparabile in singoli componenti. Inoltre, il mercato dell’usato offre un’alternativa alla ricerca di un prodotto sempre nuovo permettendo di comprare, ad esempio, apparecchi ricondizionati e di aumentare la vita possibile di un bene.
Un ultimo principio è la ricerca di generare un valore dallo scarto. Da un rifiuto si può recuperare il valore materico attraverso il riciclo e solo in ultima istanza, quando è impossibile riciclare, si può ancora sfruttarne il valore energetico.
Un modello circolare prevede che gerarchicamente il riutilizzo e il riuso siano da anteporre al riciclo in quanto il riciclo è già una fase in cui il bene è diventato un rifiuto. La direttiva quadro dei rifiuti 2008 dell’Unione Europea afferma che per prima cosa è necessario rafforzare la prevenzione della produzione dei rifiuti, quindi un cambiamento delle abitudini finalizzato al ridurre e al riutilizzare e solo in ultima istanza effettuare un recupero energetico e lo smaltimento fisico.
In che modo la lente del sociale e dell’etica attraversa questi principi?
Se l’economia circolare è solo una strategia per poter crescere e ridurre il proprio impatto ambientale, non necessariamente le aziende che fanno economia circolare sono eque e solidali. Ad esempio, può esistere una multinazionale che decide di utilizzare materiali riciclati però di fatto continua a produrre in maniera delocalizzata e a lesinare sulla tutela dei lavoratori e delle lavoratrici.
Nel suo saggio “L’economia della ciambella” (Edizioni Ambiente, ndr), l’economista Kate Raworth spiega bene l’importanza di andare oltre l’immaginario classico che propone un grafico in costante crescita, preferendo l’immaginario della ciambella. La forma della ciambella è caratterizzata da due cerchi uno interno e uno esterno.
Il cerchio esterno rappresenta i limiti planetari di fatto, le risorse e la limitata capacità del nostro ecosistema. Se questo equilibrio viene alterato, si crea un danno ambientale irreversibile. Il cerchio interno raffigura, invece, i limiti sociali sotto il quale non si può andare, altrimenti viene meno la dignità umana e di ogni essere vivente. Lo spazio di ciambella che si crea tra i due cerchi è quello equo e sicuro in cui si dovrebbe inserire l’economia globale.
Questo immaginario suggerisce la possibilità di poter cambiare modalità di movimento: non è una dinamica lineare che punta all’infinito, ma una dinamica circolare che si muove all’interno di limiti, tra cui il limite delle risorse e il limite dell’esistenza degli altri esseri umani, intersecando la dimensione politica, filosofica e biologica.
Qual è la situazione italiana anche in confronto a quella europea?
Circle Economy è un’associazione no profit olandese che ogni anno redige un report sul circularity gap, indagando le differenze nell’utilizzo delle risorse tra i Paesi del mondo. Nel 2023 è stato stimato che globalmente solo il 7% delle risorse utilizzate vengono reimpiegate nuovamente in cicli produttivi e che quindi il 93% diventa rifiuto, questo evidenzia come a livello globale il paradigma lineare sia prevalente.
Rispetto all’Europa, il Circular Economy Network è una realtà italiana che confronta i diversi Paesi europei a partire da alcuni indicatori che caratterizzano l’economia circolare. Rispetto al tasso di riciclo dei rifiuti, l’Italia ha una buona performance ed è infatti in prima posizione in Europa, con un tasso di riciclo del 72% rispetto al tasso medio europeo del 53%.
Se si considerano, invece, altri parametri come il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo, l’Italia risulta meno virtuosa e in ogni caso questo indicatore mostra come trasversalmente la capacità di riciclare non èsufficiente se non si riesce a valorizzare il prodotto riciclato rimettendolo nel ciclo produttivo: nonostante si dovrebbe utilizzare il 100% dei materiali riciclati, il primato in Europa lo detiene la Francia, anche se si attesta solamente al 20%.
Per quanto concerne l’energia rinnovabile, l’Italia è in seconda posizione dopo la Spagna e ha un tasso di utilizzo di energia rinnovabile che si attesta al 20%, ben lontano degli obiettivi di utilizzo dichiarati dall’Europa, fissati al 32% entro il 2030.
Qual è la mission e cosa fa Mercato Circolare?
La nostra startup nasce per rendere applicabile e accessibile l’economia circolare. Dal momento che tutti e tutte possono essere parte del cambiamento, a partire dai singoli cittadini, proviamo a essere mediatori e traduttori della normativa e dell’apparato burocratico per facilitare questo processo.
Per questo, abbiamo sviluppato un’applicazione gratuita dove censiamo tutte le realtà che operano secondo i principi sopracitati, ne analizziamo l’offerta e inseriamo all’interno dell’app le iniziative locali affinché siano accessibili ai cittadini e alle altre imprese per orientare la scelta dei consumatori valorizzando le esperienze di cittadinanza circolare. Dove è possibile cerchiamo di mettere in luce le realtà di condivisione e parallelamente di creare cultura e favorire le connessioni tra cittadini, imprese e amministrazioni.
Crediamo fortemente nel networking e che mettere in contatto imprese e amministrazioni o imprese e cittadini sia un movimento invisibile, ma di grande valore. Solo attraverso la sensibilizzazione si può promuovere un cambiamento che riguarda l’economia, superando l’idea che si possa dare un prezzo a ogni cosa e sostenendo la visione che devono essere definiti nuovi parametri per definire il valore generale dei beni, che tengano conto dell’impatto ambientale, sociale ed etico.