Il Quaderno “Conciliazione famiglia-lavoro e bene comune” nasce come un’esplorazione della parola e del vissuto legato alla “conciliazione” famiglia-lavoro.
Superando il modo con cui la conciliazione viene comunemente intesa – e cioè come la combinazione di interessi e priorità diversi – viene rivelata come la capacità di generare un nuovo interesse, comune per le parti. In questo senso diventa l’occasione di una nuova realtà che non sottende la rinuncia a qualcosa ma la conquista di un qualcosa di nuovo, motivante, ingaggiante e desiderabile per le parti coinvolte.
La struttura del Quaderno
Sapendo bene che non può accadere nelle relazioni tra le persone quello che prima non si è conquistato interiormente, la conciliazione viene esplorata come processo interiore e cioè prima di tutto come saper portare a sintesi ed armonia le varie parti di sé. La prospettiva è quella di una introspezione grazie alla quale conciliare, anche nel senso descritto sopra, diventa un percorso di crescita e di maturazione interiore.
Dalla prospettiva interiore ci si muove poi ad una prospettiva che riflette la conciliazione nei contesti in cui la persona si trova ad esprimersi a partire dal contesto organizzativo/produttivo, in cui pure sta emergendo una visione non più dicotomica tra profitto e moralità ma una visione che le porta a sintesi e in cui la conciliazione nella sua veste generativa può trovare il terreno in cui crescere.
Questa parte di riflessioni è sviluppata grazie ai contributi di Vittorio Coda, Fabrizio Dafano, Nicolò Terminio e Anna Maria Ferraresi.
Esperienze concrete
La riflessione viene poi seguita dalla concretezza di alcune esperienze che ci raccontano questa concili-azione in azione. Si comprende quindi come la conciliazione debba necessariamente e primariamente essere un pilastro dell’educazione dei bambini, fino a continuare ad essere allenata nei contesti organizzativi in cui vivono gli adulti per diventare poi il fondamento di grandi organizzazioni che riescono a muovere la forza della conciliazione per promuovere la solidarietà ed il bene sociale.
Si esplora, quindi, come la conciliazione nella scuola possa diventare un modo naturale di essere, non dogmatico, ma da sviluppare con naturalezza, gestendo tutti gli aspetti di luce e di ombra che ogni esperienza umana presenta. La voce concreta è quella di una maestra che si adopera per creare esperienze di conciliazione in cui le diversità vengono lette e decodificate, financo stimolate, affinché emerga ogni “Io” sicuro della propria identità quanto più sa essere capace di dialogare con tanti “Tu” diversi da sé, scegliendo in modo libero gli spazi di incontro e di reciproca trasformazione. L’esperienza raccontata è quella di Valentina Piazza.
La vita di azienda può continuare ad essere una grande “palestra” di conciliazione. Chi vive in azienda, infatti, sperimenta il grande lavoro ed impegno di conciliazione che richiede il raggiungere gli obiettivi insieme. Da molto tempo le aziende dedicano molte energie al rafforzamento delle competenze della sfera relazionale e quelle più evolute si spingono su nuovi traguardi che prevedono modalità di lavoro agile. L’efficacia, in questi casi, è affidata solo ai “muscoli” relazionali dato che gli argini gerarchici sono aboliti; il dialogo e la conciliazione sono l’unica via che si percorre destrutturando e ristrutturando nuovi equilibri. Occorre arrivare a questo avendo fatto un grande allenamento alla scuola della lettura delle diversità; i modelli e le “chiavi di interpretazione” sono tante ma il presupposto è unico ed è la disponibilità a mettersi in gioco. La relazione organizzativa può diventare così realmente espressione di nuove sintesi in cui ogni sé individuale impara a costruire un nuovo sé sociale, cogliendo in questa trasformazione tutto il valore di un grande processo di arricchimento e di apprendimento. Le esperienze raccontate sono quella di Simona Pilosi all’interno della sua azienda e di Fabio Papa, che ha coordinato una recente indagine su alcune PMI italiane.
E poi la conciliazione può ampliarsi come forza che si attiva per il bene comune, partendo magari proprio dalla famiglia che sa diventare uno spazio di conciliazione, anche intergenerazionale, orientato al miglioramento del bene comune. L’esperienza raccontata è quella di Silvia Giammaresi.
Quanto conta fare le cose insieme
Nel percorso conciliativo, inteso nel modo più evoluto del termine, si scopre che il fare “insieme” a livello sociale è una piacevole ricchezza che ha voglia di generare qualcosa di nuovo che si possa amplificare all’esterno, segno e testimonianza che diventa non solo esemplare ma anche positivamente contagiosa. E come tutte le esperienze generative, anche questa porta con sé germogli di un futuro che ha il desiderio di riproporsi e di sperimentarsi di nuovo, mentre ci si scopre insieme, con nuove identità che l’intimità familiare aveva iniziato a creare e che la dimensione sociale riesce ad amplificare.