In che modo si sta sviluppando il welfare aziendale nelle imprese? Quali sono le preferenze di lavoratori e lavoratrici? Come utilizzano i loro “crediti welfare” attraverso le piattaforme? Quali sono gli effetti degli interventi del Legislatore sulle soglie dei fringe benefit? Per rispondere a queste domande DoubleYou ogni anno pubblica un Osservatorio che racchiude i dati relativi a un ampio campione di imprese clienti, utili per capire l’andamento del mercato e le scelte degli attori che ne fanno parte. Abbiamo fatto una chiacchierata con Andrea Catania, Manager dell’Area Advisory di DoubleYou, che ci ha raccontato in anteprima alcune delle evidenze che emergono dall’Osservatorio Welfare 2025, che verrà presentato durante un webinar il 9 aprile e che sarà poi disponibile alla consultazione dal giorno successivo. Ecco cosa ci ha detto.
Andrea, secondo i vostri dati nel 2024 c’è stato un aumento del budget welfare medio. Come mai? C’è maggiore interesse da parte delle imprese? Quanto è legato all’aumento della soglia dei fringe benefit?
Non credo che l’aumento sia dovuto solo all’incremento della soglia dei fringe benefit 1. Sebbene questa sia stata sicuramente una spinta, il fatto che si tratti del terzo anno consecutivo in cui vediamo un aumento del credito medio suggerisce che ci sia una tendenza più ampia.
A mio parere ci sono due fenomeni in atto. Da un lato, le aziende più mature in ambito welfare tendono a erogare importi più elevati, soprattutto con fonti “on top”2, oppure mirano a finanziare progetti o servizi specifici. Ad esempio, alcune aziende spesso vincolano il budget a bisogni particolari, come l’asilo nido per neo-genitori o incentivi per la mobilità sostenibile.
Dall’altro lato, c’è una diffusione sempre più capillare del welfare tra le piccole e medie imprese. L’Osservatorio Welfare 2025 suggerisce infatti che l’aumento riguarda tutte le classi dimensionali e che le PMI, in particolare, apprezzano molto gli strumenti di welfare introdotti attraverso formule “on top” per la loro flessibilità.
Torniamo un attimo sui fringe benefit: nel 2025 è aumentata ancora la quota di welfare spesa attraverso questi strumenti. Come mai? Dipende solo dall’aumento delle soglie di defiscalizzazione?
I numeri sono chiari: se l’anno scorso la spesa tramite fringe benefit era il 42%, quest’anno è arrivata al 59%. È una dinamica simile a quella del 2022, quando la soglia era stata innalzata, anche se solo verso la fine dell’anno, a 3.000 euro per tutti i dipendenti.
Similmente possiamo dire che la modifica del limite fiscale nel 2024 (portato a 1.000 euro per tutti i dipendenti e 2.000 per chi ha figli), confermata dalla Legge di Bilancio 2025 per il prossimo triennio, ha generato questo effetto. Tuttavia, credo che ci sia anche un tema sostanziale legato alla riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori, un fenomeno che si è accentuato a partire dal Covid-19. Da un lato, c’è l’aumento del costo della vita, dall’altro i contratti nazionali scadono e i tempi di rinnovo sono più lunghi (quindi i lavoratori devono attendere per avere degli adeguamenti contrattuali, NdR). Di conseguenza, per i lavoratori che possono beneficiari di un piano welfare, l’acquisto di buoni (che rientrano nel fringe benefit) diventa un modo semplice ma immediato per sostenere le esigenze di spesa quotidiana.
Si tratta di una interpretazione confermata anche dal nostro Osservatorio, che quest’anno ha introdotto per la prima volta un approfondimento basato su una indagine di clima rivolta a dipendenti e aziende: il 53% dei lavoratori dichiara il caro spesa e l’inflazione come le principali priorità a cui far fronte nell’immediato futuro. Di riflesso, la spesa in fringe benefit è, infatti, concentrata su due aree principali: alimentari e carburante.
Rispetto alle fonti del welfare aziendale, quanto welfare “on top” deriva dalla contrattazione di secondo livello e quanto deriva invece dalle formule “unilaterali”, cioè senza il coinvolgimento del sindacato?
Non abbiamo dati specifici sulla divisione tra welfare “on top” derivante dalla contrattazione di secondo livello e quello unilaterale. Tuttavia possiamo affermare che, soprattutto nelle PMI, il welfare “on top” è spesso una scelta unilaterale, prevista tramite un regolamento aziendale o un atto liberale.
Su questo si può aggiungere che in molte piccole imprese l’importo medio del welfare “on top” è più alto e destinato a categorie specifiche di lavoratori. Nelle medie e grandi imprese, invece, è più comune trovare welfare “on top” derivante da un accordo di secondo livello, che spesso serve come incentivo per favorire la conversione del Premio di Risultato.
In base ai dati raccolti, puoi dirci quali sono le principali differenze tra le diverse generazioni di lavoratori e lavoratrici nella spesa del welfare aziendale?
Ci sono alcuni tratti comuni, ma anche interessanti differenze. I fringe benefit sono prevalenti per tutte le generazioni, ma la loro incidenza diminuisce con l’età: per la Generazione Z rappresentano il 78% della spesa, mentre per i Baby Boomers è il 51%. Questo potrebbe dipendere anche dal credito welfare, che per i più giovani è tendenzialmente più basso, spingendoli a concentrarsi maggiormente su questa voce fiscale.
Le differenze però riguardano anche altre dinamiche di utilizzo legate a priorità ed esigenze diverse. I Millennials, ad esempio, spendono di più per viaggi e tempo libero (17%) e anche per caregiving, essendo una generazione con più figli piccoli. La Generazione X, invece, destina circa il 17% della spesa a istruzione e spese scolastiche, poiché molto spesso si tratta di persone con figli in età scolare. Mentre i Baby Boomers versano più delle altre generazioni in previdenza complementare, probabilmente perché riflettono maggiormente sul loro prossimo pensionamento.
Quali sono le prospettive di spesa delle imprese nel campo del welfare e quali le richieste di lavoratori e lavoratrici?
Come anticipato, nella seconda parte dell’Osservatorio abbiamo realizzato una survey in cui abbiamo chiesto ai lavoratori e alle imprese di indicare le loro priorità di spesa per il futuro. Qui la variabile generazionale si è rivelata determinante, con evidenti differenze nelle priorità a seconda dell’età. Ad esempio, la formazione professionale è considerata molto importante dal 23% della Generazione Z, ma solo dal 4% dei Baby Boomers. Anche per il trasporto casa-lavoro i più giovani sono più sensibili, mentre i Baby Boomers tendono a focalizzarsi sull’accesso ai servizi sanitari, che è una priorità per il 26% di loro ma solo per il 9% della Generazione Z.
E per le imprese?
Per quanto riguarda le imprese, ci sono delle divergenze interessanti tra le priorità aziendali e quelle dei lavoratori. Ad esempio, la prevenzione medica è una priorità per il 51% dei responsabili HR ma solo per il 30% dei lavoratori. Allo stesso modo, l’aumento della pensione futura è importante per il 32% dei referenti aziendali ma solo per il 16% dei lavoratori. Un altro tema che emerge riguarda la cura dei familiari anziani o non autosufficienti, che è una priorità per il 25% dei responsabili HR ma solo per il 7% dei lavoratori.
Sembrerebbe quindi che le aziende si concentrano maggiormente sul lungo termine, privilegiando temi come la salute e la pensione futura, mentre i lavoratori, per i motivi detti prima, si focalizzano sulle esigenze immediate, come il caro spesa e il caro energia.
Abbiamo anche chiesto dei suggerimenti su quelle che potrebbero essere le modifiche della normativa del welfare aziendale. Sia i lavoratori che i responsabili HR concordano sull’importanza dell’estensione dei servizi di rimborso anche ai partner conviventi non sposati. Anche il rimborso diretto delle spese per la formazione del dipendente (oggi possibile solo nel caso siano sostenute a favore di un familiare) è prioritario ma con un gap del 14% tra le due categorie: lo dichiara infatti il 65% dei lavoratori ma “solo” il 51% degli HR.
Dai vostri dati emerge come il credito welfare speso sia sempre di più, mentre i “residui” sulla piattaforma sono sempre meno. Come giudicate questo dato? Viene fatta più comunicazione? C’è più cultura?
Il fenomeno di un maggiore utilizzo del credito welfare e della diminuzione dei “residui” non può essere attribuito esclusivamente, come dice qualcuno, ai soli fringe benefit. Sebbene questi siano un tema centrale dato che sono semplici da utilizzare e veicolare.
A nostro avviso dietro a questo incremento si nasconde una evoluzione più ampia delle strategie di comunicazione e formazione aziendali, che diventano più mirate e specifiche. Si tratta di una tendenza che stiamo osservando e che sosteniamo nel supporto che forniamo anche ai nostri clienti. Va bene la formazione “tradizionale” unidirezionale, come la classica sessione di fronte a 100 dipendenti, quando introduci un piano per la prima volta oppure se hai bisogno di raggiungere più persone allo stesso tempo in modo rapido. Ma si diffondono anche azioni più specifiche, basate sulla ciclicità di certe abitudini di spesa: ad esempio, spese come quelle per istruzione e campus si concentrano ad agosto e settembre ed ha quindi più senso una campagna di ingaggio al rientro dalle ferie estive che in altri momenti dell’anno.
Allo stesso modo, molte organizzazioni ci richiedono una indagine preliminare per identificare specifici target di dipendenti sulla base dei loro bisogni e delle loro abitudini di spesa. Questo approccio personalizzato aiuta a rendere l’offerta welfare più efficace e rilevante.
Quali sono le proposte di DoubleYou per andare incontro ai cambiamenti dei bisogni delle persone e, al tempo stesso, continuare a rispondere alle esigenze delle imprese e di chi lavora?
La stabilizzazione della norma sui fringe benefit è un passo importante, poiché offre alle aziende una maggiore certezza normativa, fondamentale per la pianificazione. Ciò che auspichiamo è che, all’interno della riforma fiscale e delle prossime leggi di bilancio, si possa garantire maggiore stabilità ma anche l’introduzione di nuovi strumenti per rispondere a bisogni emergenti.
Come DoubleYou riteniamo infatti che l’evoluzione delle politiche aziendali stia andando anche oltre i fringe benefit, con un crescente interesse per i servizi legati al benessere psicologico, al caring e alla salute. Le aziende stanno maturando nel loro approccio alle politiche di welfare: c’è un grande potenziale per investire in servizi targettizzati, destinati a specifiche categorie di lavoratori, per soddisfare esigenze sempre più diversificate.
Inoltre, occorre sfruttare l’innovazione tecnologica per far sì che l’aumento della soglia del fringe benefit diventi anche occasione per sostenere l’economia urbana e le reti di distributori locali, in un’ottica di responsabilità sociale d’impresa. Anche con questo obiettivo, abbiamo sviluppato e introdotto “WelfareFinder”, una soluzione che consente alle aziende di far spendere ai lavoratori il loro credito welfare presso gli esercizi di vicinato, sostenendo la comunità locale e, al contempo, rispondendo in modo più mirato ai bisogni dei lavoratori.
Note
- Per fringe benefit si intendono strumenti di welfare aziendale (regolati dal comma 3 dell’articolo 51 del TUIR) che sono comunemente veicolati attraverso buoni spesa, buoni carburante, gift card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi, e previsto un intervento relativo ai neo-assunti che si trasferiscono.
- Le fonti di welfare aziendale “on top” comprendono la contrattazione di secondo livello aziendale e territoriale e le azioni unilaterali dell’impresa che non prevedono il coinvolgimento della controparte sindacale (i regolamenti aziendali e le liberalità unilaterali).