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Quale rapporto esiste tra Comunità energetiche rinnovabili (CER) e sviluppo di comunità? La domanda è tutt’altro che retorica perché interroga uno dei due pilastri intorno alle quali si sviluppano queste istituzioni e che alle volte viene dato un po’ per scontato concentrando l’attenzione sull’altro ovvero le energie rinnovabili. Meglio quindi far interagire i due “termini della questione” ovvero: quali comunità scaturiscono da sistemi di prosuming1 energetici localizzati? E, al contrario, come i processi sociali di community building tipici di quest’epoca possono effettivamente favorire questi modelli di generazione e consumo?

Le CER in Italia: energie comunitarie in attesa del boom

La risposta a queste domande richiede, in primo luogo, di definire lo “stato dell’arte” delle CER nel nostro Paese, che sembra caratterizzarsi per le seguenti tendenze.

Il fenomeno è certamente in crescita ma non si caratterizza per un vero e proprio “boom” se lo si misura in termini di numero di organizzazioni costituite oppure d’impatto sui sistemi di fornitura e consumo energetico (anche nel segmento delle rinnovabili);

La “massa critica” delle CER è invece meglio ravvisabile se si guarda al numero e alle caratteristiche dei soggetti che le compongono; la loro compagine sociale vede infatti la presenza di un mix di attori a livello locale, dove le CER sono ancorate, che può fare la differenza anche a livello di governance di processi sociali ed economici a più ampio raggio;

Infine, ma non per ultimo, la narrativa delle CER è ancora generativa a livello di dibattito tra addetti ai lavori e presso pubblici più ampi; ciò consente di rinvigorire fattori di sviluppo come sostenibilità, impatti sociali e, appunto, sviluppo di comunità, che su altri fronti appaiono in una fase meno proattiva (se non di vera e propria contrazione come nel caso delle policy DEI).

Apprendimenti da un percorso istituente

A fronte di questo quadro evolutivo generale quali apprendimenti stanno emergendo dalle CER intese come processo sociale istituente? Va ricordato infatti che queste iniziative si caratterizzano per dover dar vita a nuove forme istituzionali, attingendo peraltro a una vasta gamma di forme giuridiche di natura privatistica (con una prevalenza di quelle di Terzo Settore). Sono quindi, in estrema sintesi, startup di nuove istituzioni di comunità.

  • Un primo apprendimento consiste nella rilevanza della componente tecnica e normativa nei processi di community building; si tratta di un elemento di “durezza” solitamente poco considerato in altri contesti di sviluppo comunitario che anzi prendono forma proprio per sfuggire al dominio della norma e della tecnica; invece le CER obbligano – e per certi versi scelgono – di confrontarsi con i due principali elementi costitutivi, spesso dominanti, delle società umane contemporanee.
  • Un secondo elemento di apprendimento riguarda l’enfasi sui determinanti non solo endogeni ma anche esogeni dello sviluppo. Anche in questo caso nei percorsi di sviluppo comunitario si guarda soprattutto sui fattori di sviluppo interno cercando di “mutualizzarli”. Le CER, complice soprattutto il loro “oggetto di produzione” cioè l’energia, sono, di nuovo, un po’ costrette e un po’ orientate a prendere in considerazione macro trend che le attraversano: dalle dinamiche geopolitiche che ricadono sui costi della produzione energetica, agli impianti e reti di distribuzione, ecc.
  • Terzo apprendimento di rilievo consiste in una leadership comunitaria connotata da una presenza significativa di soggetti istituzionali già attivi e radicati localmente. Le CER sono spesso costituite non solo, o non tanto, da singoli cittadini che si associano, ma anche da pubbliche amministrazioni, imprese, enti di terzo settore ecc. Più che singoli prosumer, magari animati da intenti di natura “anti istituzionale” (dar vita a modelli di coproduzione energetica off grid), si tratta quindi di reti di stakeholder che operano come nuovi “corpi intermedi” locali e che sono connessi in chiave sistemica non solo alle reti energetiche ma, come ricordato in apertura, anche a quelle economiche e sociali.
  • Infine, ma non per ultimo, le comunità delle CER sono spesso frutto di processi di accompagnamento che ne accelerano e finalizzano lo sviluppo. Non si costituiscono cioè a seguito di una morfogenesi in qualche modo “naturale” ma a seguito di progettualità “artificiali” messe in atto da soggetti esterni dotati di strumenti e approcci di community building (ad esempio soggetti filantropici e i loro programmi di consulenza e di “capacity”).

Si tratta di apprendimenti che, nel loro insieme, “smitizzano” alcune narrative sul fare comunità, focalizzate quasi esclusivamente sulla qualità dei processi di relazione sociale emergente e meno su componenti formali di natura regolativa, produttiva e di governance. In questo senso le CER “alzano l’asticella” dell’engagement comunitario chiedendo di ridefinire questioni classiche del fare comunità come inclusione, armonizzazione degli interessi, focalizzazione degli impatti e sollecitando promotori e supporter affinché questi aspetti vengano, per quanto possibile, intenzionalmente definiti e perseguiti.

Due grandi ostacoli da aggirare

A tal proposito, cioè per capire fino a che punto possono arrivare le CER nei percorsi istituenti a base comunitaria o quanto sono effettivamente spendibili in tal senso, è possibile individuare e affrontare due grandi ostacoli legati al loro sviluppo e che peraltro risultano fortemente intrecciati.

Si tratta del combinato disposto tra cortotermismo e ritorno dell’investimento. Questo approccio “corto e stretto”, che considera prioritariamente i vantaggi economici immediati derivanti dalla componente energetica rinnovabile, contribuisce a sollecitare fortemente la proposta di valore delle CER: a quali condizioni queste ultime possono permettersi di “traguardare” queste esigenze, peraltro fortemente sentite in questa fase storica in particolare da persone e comunità fragili, per considerare impatti e ritorni sull’investimento a più ampio raggio?

In questo senso le CER sono nell’occhio del ciclone rispetto a quegli approcci di “ecologia integrale” e “transizioni giuste” che oggi risultano, al tempo stesso, sempre più necessari ma anche sotto attacco da parte di segmenti della società e della politica che in qualche caso, paradossalmente, potrebbero beneficiarne.

Strategie per accreditare le CER come nuove istituzioni comunitarie

Per i promotori e gestori di queste iniziative è quindi necessario trovare il giusto equilibrio tra due assetti di rete sociale: la coalizione di interessi da una parte e la soggettività trasformativa dall’altra con l’obiettivo di “non lasciare indietro nessuno” in termini di coinvolgimento (anche perché potrebbero essere soggetti già vittima di esclusione), ma mantenendo comunque una sempre più necessaria tensione al cambiamento che agisca sui fondamentali dell’economia e della socialità altrimenti la casa, cioè il pianeta, continuerà a bruciare.

Ecco quindi alcune sfide strategiche e gestionali per le CER, soprattutto per quelle che nascono in questa fase intermedia tra il pionierismo della prima ora e una possibile (auspicabile) crescita massiva trascinata da sistemi d’incentivo e maggior chiarezza (o capacità di gestione) normativa.

  • Strutturare la componente non energetica: le CER, oltre alla loro componente core possono sviluppare altri prodotti e servizi di interesse comunitario. L’attivazione di più ampi sistemi di offerta avviene solitamente attraverso meccanismi di redistribuzione delle risorse generate attraverso coproduzione e autoconsumo energetico. Ma, anche a fronte delle limitate marginalità derivanti dall’attività caratteristica, le CER possono fare da incubatore per iniziative di economie spillover attraverso modelli di business di natura produttiva che possono essere sostenuti direttamente dai membri della comunità in veste di fruitori, sia da altri soggetti (soci e non soci) che intervengono come “terzi pagatori” al fine di rendere più accessibile l’offerta non energetica in particolare a persone e comunità fragili.
  • Sperimentare forme d’integrazione verticale: le CER crescono non solo per dinamiche di sussidiarietà orizzontale e localizzata, anche per effetto di meccanismi di clustering che le aggregano per esigenze di economie di scala (in particolare rispetto all’accesso a infrastrutture tecnologiche) ma anche per incrementare i loro impatti oltre la scala micro rappresentata dalle cabine primarie. Queste ultime peraltro rappresentano una sorta hub intorno al quale generare nuove forme “geocomunitarie” che possono scalare a livello meso e macro mantenendo comunque un solido ancoraggio territoriale.
  • Assumere il controllo dei mezzi di produzione: le CER rappresentano un veicolo di accesso a innovazioni che spesso non sono “high tech” ma “frugali” (frugal innovation), cioè accessibili, relativamente semplici da utilizzare e manutenere e inoltre adattabili ai contesti anche da parte dei beneficiari diretti e indiretti. La dimensione di comunità è quindi riferibile anche a questo aspetto ovvero alla possibilità di gestire in proprio (financo “hackerare”) tecnologie senza dipendere da sistemi di fornitura che spesso assumo un orientamento estrattivo nei confronti dei beneficiari (in senso economico ma anche di altre risorse come ad esempio i dati e le capacità d’uso).
  • Internalizzare competenze di community management: come si sosteneva in precedenza molte CER sono il frutto di processi di accompagnamento spesso erogati da soggetti esterni. È importante però che queste funzioni e competenze vengano riportate all’interno della CER investendo su risorse e capacità rispetto alle quali è possibile accedere a un know how gestionale e a infrastrutture digitali che consentono di aprire nuove frontiere nel community building.
  • Finanziarsi oltre gli incentivi: le strategie di fund raising delle CER in questa fase sono monopolizzate dall’accesso agli incentivi espressamente previsti per il loro avvio e gestione. Si tratta di risorse importanti ma che spesso sono complesse da ottenere – per vincoli di natura burocratica – e inoltre sono vittime, anche loro, di prospettive di corto raggio nel senso che non considerano orizzonti di sviluppo di medio e lungo periodo rispetto ai quali le CER possono dare “il meglio di sé” in termini d’impatto. Appare quindi necessario costituire mix di risorse, in particolare promuovendo il matching tra apporti dal basso e finanziamenti istituzionali. Per questi ultimi – in particolare se impact oriented – la presenza di risorse donative, di mercato e d’investimento localizzate e “comuni” può rappresentare, oltre che un elemento di sostenibilità economica dell’iniziativa, anche un importante elemento di legittimazione rispetto all’autenticità del processo comunitario sottostante alle CER.

In sintesi attraverso queste e altre azioni strategiche, l’obiettivo per le CER è quello di accreditarsi come una nuova generazione di istituzioni comunitarie mettendo a valore la loro capacità di integrazione sistemica.

Ciò vale non solo rispetto alle economie energetiche in senso stretto ma a una più vasta gamma di attività di welfare eco-sociali (mobilità, infrastrutture sociali, ecc.) che contribuisce a rafforzare approcci di community building fin qui piuttosto “esili” al di fuori di ambiti sperimentali protetti come nel caso di programmi pubblici e filantropici, assegnando loro maggiore capacità e autonomia operativa e, su questa base, un ruolo proattivo rispetto a transizioni sociali, ecologiche e tecnologiche il cui governo non può essere delegato a soggetti tecnocratici e neanche solo ad assetti tradizionali di government basati sulla delega.

 

Per approfondire

  • Calderini, M. (2025), “DeepSeek apre la riflessione su un’era di frugalità hi tech”, Il Sole 24 Ore,
  • De Vidovich, L., Tricarico, L., Zulianenno, M. (2023), “Modelli organizzativi per le comunità energetiche. Riflessioni dalla ricerca Community Energy Map”, Impresa Sociale, 122-137.
  • Eroe, K., D’Agostino, O., Imparato, M. (a cura di) (2024), Comunità energetiche. Il punto della situazione in Italia. Rapporto 2024, GSE, Legambiente.
  • Mainieri, M. (2020), Community economy. Persone che trasformano mercati e organizzazioni, Milano, Egea editore.

Note

  1. Il termine prosuming deriva dalla fusione delle parole producer (produttore) e consumer (consumatore) e si riferisce alla pratica in cui gli stessi soggetti che consumano un bene o un servizio partecipano anche alla sua produzione. Nel contesto energetico, il prosuming indica la produzione e il consumo simultaneo di energia da parte di singoli individui, famiglie, imprese o comunità locali utilizzano impianti come pannelli fotovoltaici, turbine eoliche o sistemi di accumulo per generare energia, consumarla autonomamente ed eventualmente immettere l’energia in eccesso nella rete elettrica, ndr
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