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In Italia, oltre 6,6 milioni di lavoratori ricevono welfare aziendale che vale circa 3,3 miliardi di euro l’anno. I benefici coprono previdenza, sanità, istruzione, assistenza, mutui, trasporti, cultura, tempo libero e fringe benefit (come buoni spesa e voucher di vario genere).

Giulio Sensi ha approfondito il tema in un’inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera, frutto della collaborazione tra Secondo Welfare e la sezione Buone Notizie del quotidiano di via Solferino. L’articolo raccoglie le opinioni di Valentino Santoni, ricercatore di Secondo Welfare, Emmanuele Massagli, presidente dell’Aiwa (Associazione di rappresentanza del mondo degli operatori), e Jorge Torre, responsabile per la Cgil di contrattazione sociale e welfare aziendale.

“Tutte le misure di welfare aziendale – spiega Valentino Santoni, che ha anche elaborato le stime sulle dimensioni del fenomeno presentate nell’articolo – dovrebbero andare a integrare il welfare pubblico, che soffre”. Tuttavia, Santoni evidenzia come il welfare aziendale sia una realtà accessibile principalmente ai dipendenti di imprese private, mentre per i lavoratori pubblici e i liberi professionisti resta ancora un traguardo difficile da raggiungere. Inoltre, resta più diffuso nelle grandi aziende, che dispongono di maggiori risorse economiche, mentre le piccole faticano a implementarlo. A giocare un ruolo chiave in questa fase è poi il cambiamento nelle aspettative dei lavoratori, in particolare dei più giovani, per i quali non conta solo lo stipendio, ma anche la qualità della vita lavorativa, gli orari flessibili e le prestazioni sociali offerte dall’azienda.

Anche Emmanuele Massagli sottolinea gli effetti positivi del welfare aziendale, evidenziando come queste misure abbiano contribuito a migliorare il clima aziendale e a rendere le imprese più attrattive e competitive. Tuttavia, il presidente dell’Aiwa riconosce che l’attuale sistema tende a concentrarsi su benefici economici immediati, come i fringe benefit, piuttosto che su servizi a lungo termine legati al benessere sociale.

Jorge Torre della Cgil, invece, mette in guardia dai rischi di un welfare aziendale concepito come sostituto di quello pubblico. Se da un lato queste misure possono offrire un aiuto concreto ai lavoratori, dall’altro esiste il pericolo di creare disuguaglianze tra chi lavora in aziende che possono permettersi di investire nel welfare e chi, invece, ne resta escluso.

Lavoro, lo stipendio in welfare
Giulio Sensi, Corriere della Sera, 11 febbraio 2025

Foto di copertina: Sigmund, Unsplash.com