In un Paese poco incline all’innovazione, soprattutto nell’ambito delle policy, le recenti iniziative legislative volte a rafforzare i processi di welfare aziendale rappresentano un interessante osservatorio. Nel corso degli ultimi mesi, si sono susseguiti sul sito di Percorsi di secondo welfare diversi interventi (Venturi e Zandonai, Santoni, Zattoni e Rizzi) tutti attraversati da grande capacità analitica e prospettica, che hanno evidenziato la potenza generativa di questa strumentazione. Come di consueto, non è semplice muoversi in un terreno appena arato, c’è il rischio di affondare, o quantomeno di incedere faticosamente schiacciando i piccoli germogli che stanno nascendo.
Proviamo a sviluppare il ragionamento a partire da una prima semplificazione: esistono due modelli, o meglio due visioni radicalmente opposte, di welfare aziendale. Un primo approccio “service driven”, dove l’offerta di servizi è costruita senza un’analisi puntuale dei bisogni: uno showcase sterminato di servizi che possiedono un legame debole con il concetto di “benessere” e davvero impalpabile con la nozione di impatto. Vi è poi un secondo modello “needs driven”, che tenta di mettere insieme, con pazienza e fatica, bisogni sociali e risposte. In tal senso, è l’emersione di un bisogno sociale a determinare il disegno dell’offerta di servizio, favorendo così una prospettiva di rilevanza e di impatto.
Rispetto a questa semplificazione, come organizzazioni afferenti a Social Value Italia, ci siamo interrogati negli ultimi mesi sul senso di fare valutazione delle esperienze di welfare aziendale.
In primo luogo, credo che la valutazione possa essere preziosa alleata nella fase di disegno dell’approccio di welfare, lavorando per identificare e raccogliere i bisogni e per ingaggiare i lavoratori, in un processo di co-costruzione dei meccanismi di servizio. In fase preliminare, l’analisi valutativa può favorire il coinvolgimento di altri soggetti per determinare dei processi di aggregazione dei bisogni e delle risposte in termini di efficacia-efficienza, rompendo quei silos che spesso impediscono l’integrazione dei servizi. Nel corso dell’implementazione delle attività, la valutazione può affiancarci nel comprendere se i servizi offerti stanno effettivamente rispondendo ai bisogni o se si rende necessario un intervento correttivo per favorire l’allineamento tra l’offerta e le aspettative degli utenti. Infine, ex post, la valutazione ci consente di identificare il livello di raggiungimento dei target e gli impatti prodotti sui diversi stakeholder, sia al fine di apprendere per migliorare che per comunicare all’interno/esterno dell’azienda.
Rispetto a queste considerazioni, crediamo di poter offrire il nostro contributo su diversi livelli. In primo luogo, favorendo la diffusione della conoscenza di pratiche valutative che hanno analizzato gli impatti del welfare aziendale. Le piattaforme per lo scambio e l’apprendimento reciproco sono stimoli insostituibili per far “lievitare” conoscenza condivisa. Al medesimo tempo, pensiamo sia necessario lanciare una call to action che veda insieme aziende, provider, fornitori di servizi di welfare, beneficiari per definire modelli valutativi condivisi che, grazie alla dimensione multi-stakeholder, possano contribuire, da un lato, ad incrementare l’accountability del welfare aziendale, dall’altro, ad innescare processi riflessivi che vadano ad agire sulla crescita della rilevanza dei servizi e sulla generazione di impatto sociale.
Per questa ragione abbiamo promosso, insieme agli amici di Impronta Etica, un evento che si terrà a Bologna il 27 novembre, alle 14.30, presso il Cubo Unipol (qui il programma) proprio su questi temi.