La sigla ESG sta per Environmental, Social, and corporate Governance e indica tre criteri – ambientale, sociale e di gestione aziendale – per valutare la sostenibilità di un’impresa sulla base di buone pratiche e principi etici.
Se nel 2001 la Commissione Europea, nel Libro Verde sulla responsabilità sociale dell’impresa, indicava questi criteri come “integrazione su base volontaria” di alcuni valori sociali e ambientali da parte delle organizzazioni, negli ultimi anni queste sono state chiamate da più parti, e in maniera sempre più forte e decisa, ad operare seguendo principi socialmente responsabili.
Quali sono oggi le competenze necessarie per portare i valori della sostenibilità nelle imprese? In che modo si può accompagnare correttamente la Corporate Social Responsibilty delle organizzazioni? E quanto pesa oggi la dimensione legale? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Emiliano Giovine, Direttore Scientifico del pillar Legal Impact di Cottino Social Impact Campus, dove tra qualche giorno partirà la seconda edizione del programma Legal Impact – ESG e sostenibilità d’impresa.
Perché è importante per le imprese occuparsi del proprio impatto sociale e ambientale?
Partiamo dal contesto: stiamo vivendo una delle epoche più critiche dal punto di vista del degrado e delle problematiche a livello climatico e ambientale, ma anche a livello sociale.
Abbiamo un obbligo morale, un obbligo normativo e un obbligo commerciale di integrare nel modello di business la valorizzazione di questi principi. Sicuramente è importante coniugare la massimizzazione dei profitti e il raggiungimento di uno sviluppo aziendale con lo sviluppo e la salvaguardia di quello che ci circonda, cioè l’ambiente, l’ecosistema, le persone, la vita delle nostre famiglie.
Parlare di inclusione sociale o di accesso alle risorse primarie per tutti i cittadini è però qualcosa che passa un po’ in secondo piano nella valutazione delle finalità tipicamente imprenditoriali. A questo quindi fa da contrappunto – anche per una reazione fisiologica – tutta una serie di iniziative, di policy e di normative prima di tutto europee e a cascata nazionali che vincolano le aziende.
Il settore finanziario è molto attenzionato dalla normativa e sta sviluppando una selettività verso quelli che sono prodotti, aziende e offerte commerciali che realmente integrano nel proprio modello di business la valorizzazione di questi principi.
Quali sono le principali difficoltà che le imprese incontrano in questo?
C’è una forte difficoltà culturale iniziale: le aziende tendono a volere incasellare questo processo in qualcosa che già conoscono, cioè in una dinamica di compliance, o in una dinamica di marketing, o di gestione dei rischi. Un percorso di sviluppo sostenibile integra tutte queste dimensioni.
Ad oggi non ci sono tantissime figure aziendali dedicate o che hanno fatto un percorso di crescita professionale incentrato su questi temi in maniera trasversale. La figura che si occupa di sustainable management è un soggetto che funge un po’ da pivot, cioè da tramite, da centro di snodo rispetto ad altre figure aziendali.
Forse la difficoltà maggiore è smettere di concepire la sostenibilità come una sorta di etichetta e di iniziare invece a vedere il tema come una nuova prospettiva in cui la mia attività, la mia azienda deve crescere, sviluppare nuovi prodotti e nuove tecnologie, ma semplicemente lo fa con questa chiave di lettura in più.
Quindi quali competenze bisognerebbe portare in azienda?
Parliamo di una figura trasversale, quindi sono necessarie doti manageriali e di gestione dei processi, di interazione. Il/la responsabile della sostenibilità è una figura che deve essere in grado di comprendere e interagire con tutte le principali funzioni aziendali, quindi può avere una matrice legale, di audit e di verifica interna.
Si tratta di una figura sempre più strategica, ma non per forza legata al mondo del marketing. Prima della comunicazione c’è la costruzione di un modello di governance, l’interazione con gli stakeholder, la gestione della propria filiera. E quindi tutta la direzione, le attività di report e anche di integrazione con i modelli di gestione.
Come si posiziona in questo quadro il programma di Legal Impact?
Il corso nasce nell’ottica di formare quella figura complessa di cui parlavo. La formazione avviene da una prospettiva legale, sicuramente, perché significa sostanzialmente acquisire le competenze e le conoscenze necessarie per aiutare l’azienda a formalizzare e rendere tangibili e concreti (e anche spendibili con banche, investitori o certificatori) gli obiettivi di sostenibilità a impatto sociale.
L’aspetto più innovativo è che tutti i moduli sono costruiti con una sorta di dialogo tra una prospettiva puramente legale, quindi analisi di aspetti giuridici, e una aziendale. Cerchiamo di dare una prospettiva rigorosa e solida dal punto di vista giuridico ma di calarla immediatamente nella sua implementazione pratica quindi di avere delle sessioni molto interattive.
Questo è un po’ anche lo spirito del Cottino Social Impact Campus: quello di disseminare un approccio allo sviluppo sostenibile che sia fattivo e innovativo.