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Il Pubblico saluta lo smart working. Lo scorso 21 settembre è stato firmato il Decreto Legge n.127 che – come spiegato da Il Sole 24 Ore – stabilisce che dal 15 ottobre la modalità ordinaria di lavoro nella Pubblica Amministrazione torna a essere quella svolta in presenza.

Tale decisione, che sembra rispecchiare una volontà politica (almeno) di una parte dell’Esecutivo, non sta tenendo conto di alcuni dei risultati e dei risvolti che la sperimentazione del lavoro agile ha prodotto. Molte aziende, sia pubbliche che private, non hanno avuto modo di avviare procedure consolidate per valutare l’impatto dello smart working sulle performance lavorative “agili”. E non solo.

Le opportunità dello smart working

Sono molti gli studi e gli approfondimenti che evidenziano come il lavoro agile possa generare risvolti positivi, che riguardano in modo particolare tre aspetti: le opportunità in ottica di conciliazione vita-lavoro, l’impatto ambientale dovuto alla riduzione degli spostamenti e la produttività.

Conciliazione

Come spesso vi raccontiamo, lo smart working rappresenta un’occasione per ripensare le modalità organizzative e consentire ai lavoratori di sperimentare maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività, grazie alla possibilità di lavorare da casa o in altri spazi di co-working. In condizioni normali il lavoratore agile può gestire in maniera autonoma il proprio tempo e, di conseguenza, assicurarsi più spazio per la gestione degli impegni familiari. Come evidenziato dal report di ricerca “Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente” di ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ciò è dipeso anche dalla riduzione dei tempi degli spostamenti casa-lavoro. Secondo l’indagine, che ha riguardato 3.387 dipendenti della PA e di altre aziende a controllo pubblico, l’eliminazione di questi tragitti libererebbe – in media – tra 1 e 2 ore al giorno per ogni lavoratore, generando un rilevante impatto ambientale oltre che sociale.

Ambiente

Tra gli effetti più evidenti dello smart working vi è infatti quello di ridurre l’inquinamento generato dal traffico. A riportarlo è una recente ricerca di Nature Communication, che ha cercato di valutare l’impatto del Covid-19 sulle emissioni di CO2 mondiali basandosi su una vasta gamma di dati: produzione oraria di energia elettrica, traffico giornaliero, numero di voli passeggeri quotidiani, dati relativi alla produzione mensile dell’industria, consumo energetico degli edifici, ecc. I risultati dimostrerebbero una riduzione dell’8,8% delle emissioni mondiali nei primi 6 mesi del 2020 (rispetto al 2019). Circa 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in meno rilasciate nell’atmosfera.

Produttività

E ovviamente c’è il tema della produttività, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha evidenziato nel corso degli ultimi anni come questa modalità lavorativa possa aumentare del 15% la produttività per lavoratore e ridurre del 20% il tasso di assenteismo. Dal lato dell’azienda, il lavoro agile consente anche una riduzione dei costi di gestione dello spazio fisico pari al 20-30%. Sul piano internazionale, recenti stime del World Economic Forum parlano di un incremento della produttività negli Usa grazie al lavoro da casa pari al 4,6%.

Perché fermarsi ora?

La scelta del Governo di tornare al lavoro in presenza nel settore pubblico mette in luce come l’esperienza vissuta negli ultimi mesi – seppur forzata e con parecchi limiti (ve lo abbiamo spiegato qui e qui) – non abbia insegnato nulla. Come abbiamo appena visto, sono diverse le evidenze di come il lavoro agile possa genere un impatto rilevante sia per i lavoratori che per le organizzazioni.

Eppure si è deciso di cambiare completamente rotta. Sembra non esserci stata una seria riflessione sulle possibili conseguenze di questo passo indietro. Non è stata avviata né una valutazione quantitativa dell’impatto che il lo smart working ha avuto in questi mesi né un processo per analizzare le skills sviluppate, e che ancora avrebbero potuto svilupparsi.

Sarebbe stato importante costruire uno strumento per capire i reali effetti di questa “nuova” organizzazione del lavoro. Per avere un riscontro quantitativo si sarebbero potuto pensare a dei specifici Key Performance Indicators (KPI), riguardanti – per esempio – il tempo per portare a termine degli obiettivi, il grado di interazione e coinvolgimento con il gruppo di lavoro, la soddisfazione dei lavoratori (sotto vari punti di vista), quella dei clienti/utenti, ecc.

Passare da una logica di controllo da parte del proprio responsabile ad un lavoro che mette in primo piano il raggiungimento degli obiettivi è un cambio di paradigma non indifferente che richiede di essere adeguatamente valutato e governato, sia tra i lavoratori sia a livello di management. Tornare indietro senza avviare una riflessione organizzativa di ampio raggio sarebbe senz’altro un’occasione mancata.

Come evidenziato da Marco Bentivogli (Base Italia) e Mariano Corso (Polimi) in un articolo per Agenda Digitale, è il momento di sperimentare modelli di smart working sostenibili e bilanciati in grado di mettere insieme le esigenze di lavoratori e imprese. Per raggiungere questo obiettivo è però essenziale avviare percorsi di formazione adeguati (soprattutto sul piano digitale), promuovere una diversa cultura organizzativa incentrata sul “lavoro per obiettivi” e tornare a concepire il lavoro agile come uno strumento basato sulla libera scelta del lavoratore.

Non è un percorso semplice né tantomeno breve. Per questo l’esperienza fatta sinora, al netto dell’occasione apparentemente persa nel settore Pubblico, deve essere valorizzata e capitalizzata al massimo per non disperdere quanto appreso.