Nuovi passi avanti in materia di welfare aziendale nell’ultima Legge di Bilancio: ecco a voi il commento del Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, sulle novità riguardanti il trasporto pubblico locale e il tragitto casa-lavoro.
Cosa prevede la normativa approvata lo scorso dicembre? Come riesce il lavoratore a recuperare le spese di trasporto per recarsi quotidianamente al lavoro? La Legge di Bilancio al comma 28 prevede 2 modalità:
a) la prima che, attraverso la modifica dell’articolo 15 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi) consente al lavoratore dipendente privato e pubblico, a partire dal gennaio 2018, di detrarre dalla propria imposta lorda un importo pari al 19% delle spese sostenute per l’acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale (quindi treni tra cui l’alta velocità, metropolitane, tram, autobus e trasporti autostradali) per un importo non superiore a 250 euro annui; il risparmio massimo per ogni anno sarà quindi pari a 47,50 euro attraverso la detrazione sul 730 o unico. La detrazione, in base al comma 2 dell’art. 15 del TUIR, spetta anche al coniuge e ai figli (naturali riconosciuti, adottivi e affidati) a carico del lavoratore sempre però nel limite complessivo di 250 euro e con un risparmio di 47,50 euro annui.
b) l’altra possibilità riguarda i cosiddetti buoni TPL (Trasporto Pubblico Locale); tramite disposizioni contrattuali o anche semplici accordi o regolamenti aziendali, il rimborso o il pagamento delle spese di abbonamento ai trasporti dei dipendenti può essere fatto direttamente dal datore di lavoro; il rimborso vale, come per le detrazioni, anche per i famigliari a carico. Il risparmio per il lavoratore in questo secondo caso è molto rilevante perché non sono previsti limiti e tetti di spesa; ad esempio se il lavoratore ha un abbonamento “treni regionali e mezzi urbani” oppure due abbonamenti separati (uno per il Frecciarossa e l’altro per i trasporti urbani), per un importo di 100 euro mensili, potrà risparmiare, se rimborsato dal datore, 1.200 euro l’anno, quasi una 15° mensilità che si va a sommare ai buoni pasto.
In conclusione, per l’azienda un rimborso di 1.200 euro costa esattamente questa somma ed è deducibile, mentre il dipendente per disporre di questa cifra – che per lui non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali e contributivi – avrebbe dovuto ottenere un aumento di stipendio che all’azienda sarebbe costato più del doppio e che, quindi, difficilmente avrebbe potuto ottenere. Migliora il benessere del lavoratore, si riduce l’incidenza del cuneo fiscale e contributivo, aumenta il reddito spendibile e quindi anche i consumi (che, peraltro, consentiranno allo Stato un recupero tramite imposte indirette e accise) e si equipara il dipendente al lavoratore autonomo e professionale che già può dedurre le spese di viaggio e vitto e alloggio.
Legge di Bilancio, nuove possibilità per il welfare aziendale: il trasporto pubblico
Alberto Brambilla, Aiwa.it, 8 gennaio 2018