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Nei prossimi 10 o 20 anni, si stima che il 65% delle attività attualmente svolte dalle persone sarà automatizzato. Molte professioni (il 15% nelle economie occidentali) diventeranno quindi obsolete ma molte ne nasceranno almeno il 21% in più. Ciò grazie a fattori trainanti come aumento del reddito, offerta di servizi assistenziali per anziani, investimenti nelle infrastrutture, nelle costruzioni e nell’energia, sviluppo tecnologico. Uno scenario in cui la maggiore sfida del mondo del lavoro sarà la mancanza di competenze adeguate. È quanto emerge dal rapporto "The skilling challenge" curato da Ashoka e McKinsey & Company.


Le competenze del futuro non saranno solo digitali

Accanto all’upskilling (arricchire le vecchie professioni di nuove competenze digitali) e al digital reskilling (formare i lavoratori alle nuove competenze digitali come la programmazione, il design, l’uso della tecnologia nelle attività più complesse) – che costituiscono una necessità nel breve periodo – in un mondo del lavoro caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, sarà fondamentale accompagnare i lavoratori:

  1. nello human reskilling, ovvero nell’acquisizione o riscoperta di competenze “umane” come l’innovazione e la creatività, il pensiero critico e il problem solving, l’intelligenza sociale e l’affidabilità, che caratterizzano i lavori dove l’intervento umano resta prevalente;
  2. nel potenziamento delle meta competenze, ovvero quegli insiemi di competenze e attitudini come la flessibilità, la capacità di iniziativa e la leadership, che possono offrire un vantaggio occupazionale di lungo periodo perché costituiscono un vero e proprio cambio di marcia nella mentalità.


Concepire e interpretare le skills

Benché la consapevolezza che la forza lavoro debba necessariamente essere formata alle nuove competenze sia ormai comune a tutti i settori e a tutte le industrie, le organizzazioni sembrano muoversi ancora dentro a vecchi paradigmi, sottovalutando che la profondità e la velocità dei cambiamenti portati dal digitale nel mercato del lavoro sono senza precedenti e richiedono nuove modalità, nuove visioni e, non da ultimo, nuove strutture organizzative. Esempi di nuovi modelli, che consentono un vero e proprio cambiamento di mentalità, arrivano dagli imprenditori sociali che sono pionieri della nuova filosofia e trasformazione necessarie.

Il report ne individua alcuni:

  1. Visione strategica e coerenza. Intelligenza collettiva per allineare strategia e agenda digitale. Solo il 4% delle organizzazioni ha attualmente allineato i propri programmi formativi all’agenda digitale. Tra i principali obiettivi perseguiti, il reskill e l’upskill di alcune funzioni aziendali, soprattutto quelle più elevate. Ma pensare a come adattarsi a un mondo che diventa digitale significa definire la futura rilevanza di un’azienda, e questa è strettamente correlata a tutte le funzioni e a tutti gli individui dell’organizzazione. L’Ashoka Fellow canadese Frank Escoubes, con la sua tech-startup Bluenove, ha ideato un modello partecipativo online per catalizzare l’intelligenza collettiva e rendere tutti i dipendenti “ideatori di un mondo possibile”. Bluenove lavora con multinazionali, organizzazioni pubbliche e governi per alimentare e sostenere il cambiamento a livello globale.
     
  2. Un approccio olistico. Oltre l’upskilling. In un mondo digitale in continua evoluzione, anche i programmi formativi devono evolvere costantemente. Oggi stiamo assistendo a un generale upskilling digitale di base, mentre sono quasi totalmente trascurate quelle meta competenze e competenze “nascoste” nelle persone, che sono fondamentali per attivare la responsabilità individuale verso un apprendimento continuo, lungo tutto l’arco della vita. Molti Ashoka Fellow lavorano per aiutare le persone a riscoprire le loro competenze nascoste. Il programma Lanzaderas, ad esempio, ideato dallo spagnolo José Marìa Pèrez, sostenuto recentemente anche da Google, accompagna i disoccupati nel reinserimento lavorativo, facendo leva su competenze imprenditoriali, teamwork, creatività.
     
  3. Cambiare le attitudini delle organizzazioni e delle persone e rendere queste ultime capaci di autogestirsi. La “cultura” aziendale è comunemente considerata il principale ostacolo alla trasformazione digitale, soprattutto quando è trainata da leader che credono che l’approccio alla formazione digitale sia fine a se stesso. Nonostante ogni realtà possa dare la propria interpretazione alla costruzione di una cultura digitale, ci sono alcuni approcci comuni che dovrebbero essere implementati: a) adottare nuove modalità di lavoro “agile”, dissolvendo le gerarchie e accorciando i cicli decisionali; b) diffondere la consapevolezza dell’importanza di un apprendimento continuo, creando strutture flessibili che consentono alle persone di scoprire e dare forma al proprio      piano    di sviluppo.
    L’Ashoka Fellow olandese Jos de Blok ha adottato per la sua organizzazione di assistenza sanitaria Buurtzorg un modello organizzativo che rende autonomi i team di lavoro nell’organizzazione delle proprie attività. Questa modalità funziona, migliora il clima aziendale e la soddisfazione dei clienti.
     
  4. Scalare e coinvolgere tutti. Formare i dipendenti a tutti i livelli, non solo il senior management. Se è corretto che il cambiamento e la nuova visione culturale partano dall’alto, non bisogna però fermarsi lì. Bisogna fare in modo che sia propaghino a tutti i livelli aziendali, che tutti possano recepire e accogliere la volontà al cambiamento. Un tema critico che emerge, tuttavia, è il tempo che i dipendenti devono dedicare alla propria formazione, che spesso rappresenta tempo “rubato” alle normali attività lavorative. Sono pertanto privilegiati programmi che aiutano i dipendenti a svolgere attività formative, durante e dopo le attività lavorative, in un arco temporale più ampio, senza tuttavia compromettere l’equilibrio vita-lavoro.
    È su questo tema che il rapporto cita MAAM, il programma di formazione alle soft skill per genitori ideato e promosso dall’Ashoka Fellow Riccarda Zezza, unica best practice italiana nel documento. MAAM è un programma di formazione blended (online e basato sull’esperienza di vita reale) dedicato a genitori con figli da 0 a 3 anni che trasforma l’esperienza della genitorialità in un’occasione per sviluppare meta competenze e “human skill”. Questo programma può essere seguito anche da casa, dalle donne in gravidanza e dai dipendenti in congedo parentale.
     
  5. Costo. Modelli di business “smart” aiutano a tagliare i costi. Formare un’intera organizzazione richiede un ingente investimento. Esistono tuttavia programmi gratuiti e di elevata qualità, che possono essere proposti a tutti i dipendenti. Alison, creata dall’irlandese Mike Feerick, è oggi tra le più grandi piattaforme di formazione al mondo che offre corsi gratuiti, ripagandosi attraverso la pubblicità e altre modalità come la vendita di attestati facoltativi.
     
  6. Misurare l’impatto. Rendere gli obiettivi concreti e verificabili. È oggi auspicabile che ogni programma di formazione, nonché ogni dialogo legato allo sviluppo dei dipendenti, porti con sé degli obiettivi misurabili. Dopo aver verificato che spesso le soft skill non vengono incluse nei programmi scolastici poiché sono difficilmente misurabili, Tom Ravenscroft ha ideato il sistema “Skills Builder”, dapprima applicato nei contesti educativi e, successivamente, nelle aziende.

Conclusioni

La sfida delle competenze (o “skilling challenge”) non sarà un percorso lineare, non sarà “one-time” e non dovrà coinvolgere solo il top management. Le organizzazioni devono partire velocemente per creare piani adeguati di sviluppo delle competenze di tutti i propri dipendenti. Tutti gli altri stakeholder dovranno fare la loro parte. Imprenditori sociali, individui, istituzioni educative, associazioni di categoria, agenzie del lavoro, legislatori sono chiamati a co-creare un ecosistema per diffondere modelli di sviluppo delle competenze su scala globale.