Nei giorni scorsi Intesa Sanpaolo ha raggiunto un accordo con i sindacati (Fabi, First, Fisac, Uilca, Unisin) sulla genitorialità inclusiva che guarda a tutti i tipi di famiglia e che va ad aggiungersi alle misure prese a supporto della comunità LGBTQ+.
L’accordo prevede che tutte le prestazioni a tutela della genitorialità già presenti nella contrattazione di secondo livello siano accessibili anche alle unioni civili, alle convivenze di fatto e ai genitori che si prendono cura dei figli del proprio o della propria partner.
Il welfare aziendale di Intesa Sanpaolo si allarga
Tutti i dipendenti potranno dunque richiedere molte delle misure del welfare di Intesa Sanpaolo, come i permessi per la nascita, l’inserimento al nido, l’assistenza in caso di disturbi dell’apprendimento, la Banca del tempo, il bonus nascita figli previsto dal cosiddetto “Pacchetto Giovani”, il bonus previdenza e le altre previsioni economiche.
Inoltre, indipendentemente dal fatto che i figli siano del coniuge, del partner unito civilmente o del convivente, sono previsti permessi per il congedo obbligatorio del padre per la nascita dei figli e per i congedi parentali di competenza del padre fruibili entro i sei anni del bambino, con un trattamento economico pari al 40% della retribuzione a carico del gruppo.
Quella del gruppo bancario è una scelta incisiva che si colloca all’interno del percorso verso la parità e l’inclusione avviato insieme ai sindacati. Di recente è infatti nata la community LGBTQ+ interna a Intesa Sanpaolo, e nel 2021 è stato definito uno specifico processo interno volto a supportare coloro che hanno intrapreso un percorso di transizione di genere per la socializzazione all’interno del contesto lavorativo.
Dal 2019, l’istituto di credito ha inoltre iniziato a collaborare con Parks – Liberi e Uguali, un’associazione senza scopo di lucro creata per aiutare le aziende socie a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità.
Se l’azienda è più inclusiva dello Stato
Come racconta anche La Repubblica, queste novità in materia di welfare aziendale hanno già trovato applicazione. Intesa Sanpaolo ha, di fatto, riconosciuto il congedo parentale alla madre non biologica di una coppia omosessuale. A livello di normativa in Italia le tutele per le coppie dello stesso sesso sono ancora limitate. Tra queste, non esiste ancora la possibilità né di adottare né di accedere a tecniche di procreazione artificiale (elemento, quest’ultimo, vietato anche alle coppie eterosessuali).
Nel caso specifico, avvenuto nella città di Torino, la coppia – che ha concepito una figlia grazie alla fecondazione assistita in Spagna – ha dovuto rendere legale anche in Italia la propria genitorialità. Se per la madre biologica questo è stato possibile attraverso una dichiarazione, per sua moglie non c’è stata la possibilità legale di riconoscerla come genitrice.
Al momento della nascita della bimba, la direttrice della filiale nell’hinterland di Torino ha deciso di spendere le proprie ferie per assistere la moglie, non avendo accesso ad alcun tipo di congedo. Il gruppo ha però deciso, proprio grazie all’accordo con i sindacati, di riconoscerle il congedo di “paternità” superando di fatto l’ostacolo riscontrato a livello statale.
L’Italia è ancora limitata sotto il punto di vista del riconoscimento di diritti e tutele a coppie LGBTQ+. Nonostante una realtà che di fatto si è evoluta, le forme di convivenza e di famiglia che attualmente sono presenti nella nostra società non hanno ancora trovato un riconoscimento organico “di forma”, cioè a livello legislativo.
Il nostro Paese è stato condannato già nel 2015 per questa mancanza con il caso Oliari c. Italia per non aver definito tutele alle coppie dello stesso sesso conviventi. La violazione, nello specifico, riguarda due diritti della Convenzione Europea dei Diritti Umani: l’articolo 8, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e l’articolo 12 che sancisce il diritto al matrimonio.
Il ruolo della normativa sul welfare aziendale
La normativa sul welfare aziendale su questo è, in qualche modo, all’avanguardia. La norma prevede, infatti, che i benefici fiscali per le imprese e i datori di lavoro siano riconosciuti anche nel caso in cui le misure e i servizi di welfare aziendali siano rivolti al partner di un’unione civile, al convivente more uxorio e ai figli adottivi, affidati o affiliati.
Ora dovranno essere le imprese a posizionarsi e garantire a tutti i loro dipendenti – indipendentemente dal genere e dall’orientamento sessuale – gli stessi diritti. Quello di Intesa Sanpaolo è senz’altro un caso di studio interessante in questa direzione.
Si tratta infatti di una traiettoria di sviluppo interessante che le politiche di welfare aziendale possono seguire. Soprattutto per il fatto che – almeno per il caso italiano – possono divenire uno strumento per garantire una maggiore parità di trattamento tra le persone. Anche per quelle famiglie e per quelle persone che non hanno ancora alcune tutele e diritti assicurati dalla legislazione italiana.