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Il perdurare della crisi sta facendo (ri)emergere bisogni di cui la maggioranza degli italiani non aveva più memoria da molto tempo come, ad esempio, quelli legati alla povertà alimentare. Sono sempre di più le persone che, infatti, a causa della difficile congiuntura economica, non posseggono più risorse adeguate per rispondere alle proprie necessità alimentari quotidiane. Quali possibili soluzioni possono essere dunque implementate per fronteggiare il crescente numero di indigenti presenti nel Paese? Quali le vie più innovative sperimentabili? Un caso interessante a cui poter far riferimento è quello del Banco Alimentare, che negli ultimi mesi ha scelto di coinvolgere alcune grandi aziende per sostenere chi ha fame e ha bisogno di aiuto.

Il dramma della povertà alimentare

In base alle ultime rilevazioni Istat 3 milioni e 322 mila famiglie italiane – circa 9 milioni 563 mila persone – si trovano in situazione di povertà relativa, ovvero posseggono una capacità di consumo inferiore ad una soglia minima nazionale calcolata su base statistica (pari nel 2012, per una famiglia di due componenti, a 990,88 euro mensili). Circa 1 milione e 725 mila famiglie (4 milioni e 814 mila persone) si trovano invece in situazione di povertà assoluta, incapaci cioè di acquisire beni e servizi essenziali che permettano di mantenere uno standard di vita "minimo accettabile". Rispetto alle rilevazioni relative all’anno 2011 entrambi i dati sono notevolmente peggiorati: la povertà relativa sul totale delle famiglie è passata dall’11.1% al 12.7%, mentre quella assoluta dal 5.2% al 6.8%. A causa della crisi sempre più famiglie si trovano quindi in condizioni tali da non poter rispondere ai bisogni più elementari e molte di esse, ad esempio, vivono nell’impossibilità di acquistare cibo sufficiente alla sussistenza di tutti i propri componenti.

Secondo i dati dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) relativi agli aiuti destinati agli indigenti negli ultimi anni il numero di coloro che si sono dovuti rivolgere a enti caritativi per far fronte alle proprie esigenze alimentari è aumentato in maniera drammatica. Tra il 2010 e il 2012 gli indigenti assistiti sono passati da 2.763.379 a 3.686.942, segnando un aumento di 923.563 unità (+33.4%).

 

Figura 1: Indigenti assistiti da enti caritativi, 2010-2012

Fonte: Agea, 2012.

Se a questi dati aggiungiamo l’intenzione della Commissione Europea di diminuire lo stanziamento del fondo UE per gli aiuti agli indigenti (a cui attinge Agea) da 3,5 a 2,5 miliardi di euro – provvedimento attualmente respinto dal Parlamento europeo ma che potrebbe essere riproposto al prossimo Consiglio Europeo sul Bilancio dell’Unione 2014-2020  – il quadro diviene ancora più fosco.

Come si stanno muovendo alcune realtà che contrastano la povertà alimentare

Di fronte a questa situazione paradossale, in cui gli indigenti aumentano e le risorse messe a disposizione dalle istituzioni diminuiscono, quali possibili soluzioni potrebbero essere implementate per rispondere coerentemente alle esigenze della popolazione? Nonostante la rigidità della normativa italiana relativa a recupero, conservazione e trasporto degli alimenti (solo parzialmente migliorata dalla legge 155/2003, cosiddetta “Legge del Buon Samaritano”) tante organizzazioni appartenenti al mondo non profit in questi anni sono state in grado di rispondere, in una certa misura, ai bisogni di carattere alimentare della parte più povera della popolazione. Dalla Caritas alla Croce Rossa Italia, solo per citare le organizzazioni più diffuse sul territorio nazionale, fino alle migliaia di associazioni presenti localmente, sono numerosissimi i soggetti tradizionalmente impegnati a sostenere chi ha fame e che stanno facendo conti con le circostanze drammatiche sopra citate. La situazione presente, pertanto, rende necessario lo sviluppo di risposte innovative, che possano permettere di far fronte ai bisogni crescenti della popolazione attraverso vie finora poco o per nulla battute.

Nei mesi scorsi vi abbiamo raccontato dell’esperienza dei supermercati e degli empori solidali, che permettono di acquistare prodotti di prima necessità (generalmente alimenti, articoli per l’infanzia e per l’igiene personale) senza spendere denaro ma utilizzando una tessera il cui ammontare viene assegnato sulla base dello stato di bisogno. Portobello di Modena e Emporio Parma sono solo due esempi delle tante realtà di questo genere che vanno sviluppandosi in diverse aree del Paese.

Tuttavia, anche le organizzazioni che da più anni operano per contrastare la povertà alimentare stanno cercando nuove strade per poter continuare a operare positivamente come fatto finora. E’ il caso della Rete Banco Alimentare, che dal 1989 opera su tutto il territorio nazionale per la redistribuzione di derrate alimentari da destinare ai più bisognosi (per saperne di più rimandiamo al nostro articolo: Il Banco Alimentare: “condividere i bisogni per condividere il senso della vita”) e che sta sviluppando nuove forme di collaborazione con attori che normalmente non si annovererebbero tra quelli impegnati nella lotta alla povertà alimentare: le aziende.

Il Banco Alimentare e il coinvolgimento crescente delle aziende

Sono ormai molti anni che il Banco Alimentare collabora attivamente con diverse realtà aziendali con l’intento di contrastare la povertà alimentare. Col tempo, ad esempio, sono stati sviluppati accordi con numerose imprese dell’industria alimentare, dell’agroalimentare, della ristorazione e della grande distribuzione che, periodicamente, donano le proprie eccedenze (perfettamente commestibili ma che le aziende per diverse ragioni dovrebbero destinare al macero) al Banco Alimentare. Il cibo raccolto presso queste strutture è quindi immagazzinato e progressivamente ripartito tra le diverse realtà territoriali affiliate al Banco, che provvedono così a distribuirlo a chi ne ha necessità.

Particolarmente interessanti risultano anche le opportunità offerte alle aziende in tema di volontariato d’impresa attraverso il programma “volontario per un giorno”. Presso le diverse sedi del Banco i dipendenti delle aziende interessate (tra cui finora si annoverano L’Oreal, Nielsen, GSK, Chep, Timberland, Basf, Kraft, ABB, Novartis, KPMG, London Stock Exchange Group e Medtronic), invece di svolgere attività lavorativa si impegnano nel servizio di volontario. Questo, da un lato, permette di fornire un aiuto concreto all’attività quotidiana del Banco Alimentare, dall’altro, incentiva il team building, sviluppa coesione e spirito di squadra tra i dipendenti e dà gambe alla Corporate Social Responsibility a cui sempre più imprese dedicano particolare attenzione.

Il video del Banco Alimentare sul volontariato d’impresa

 

Più recentemente si è sviluppata anche la cosiddetta “Colletta in azienda”, una versione su scala ridotta della Colletta Alimentare che ogni anno, nel mese di novembre, vede impegnati migliaia di volontari nella raccolta di cibo presso i supermercati italiani. La colletta aziendale consiste nella raccolta di generi alimentari presso le diverse sedi delle aziende che decidono di organizzare questo genere di iniziativa, e offre ai dipendenti la possibilità di fare un gesto di solidarietà direttamente sul luogo di lavoro. Tutto il procedimento, dall’allestimento dei banchetti alla raccolta fisica del cibo fino all’inscatolamento dei prodotti è spesso svolto dagli stessi dipendenti che, coadiuvati da personale del Banco Alimentare, svolgono il gesto direttamente sul posto di lavoro nei giorni scelti dall’azienda.

Davide Cerina, settore Comunicazione e Raccolta Fondi di Fondazione Banco Alimentare, ci ha spiegato come inizialmente “le raccolte sono state effettuate principalmente presso le sedi aziendali di Milano, in modo che Fondazione Banco Alimentare (che ha la sede principale nel capoluogo lombardo, nda) potesse gestirle direttamente e supportare meglio i volontari delle aziende”. Tuttavia non sono mancate raccolte più diffuse, come nel caso di Unipol che in novembre, in concomitanza con la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, ha organizzato “Colletta in Unipol” in tutte le sue sedi italiane, o il caso della raccolta organizzata presso HP. Svoltasi il 26 giugno scorso, quest’ultima iniziativa ha visto la partecipazione delle 11 sedi italiane dell’azienda e di 12 Organizzazioni della Rete Banco Alimentare presenti in diverse parti d’Italia.

Rispetto al totale degli alimenti raccolti annualmente dal Banco – 61.552 tonnellate nel 2012 – le collette aziendali sono ancora poca cosa. Nel corso della raccolta presso Deutsche Bank, ad esempio, sono stati raccolti 512 kg di cibo, in LG Eletronics 385 kg, presso Zurich 152 kg, in Mars 206 kg; nelle sopra citata raccolta in HP 2.267 kg e in Unipol circa 3.800 kg. Tuttavia, come ha sottolineato Paolo Cattini, Responsabile Comunicazione e Raccolta Fondi, queste raccolte possono rappresentare un interessante punto di partenza: “si tratta di piccoli quantitativi, ma è una formula che funziona bene e che varrebbe la pena diffondere anche ad altre aziende”. Non solo per quanto raccolto, ma anche perché attraverso queste esperienze è possibile sviluppare una cultura della solidarietà che oggi più che mai appare necessario (ri)scoprire.

Le aziende, come mostra il caso descritto, possono dunque svolgere la propria parte nella lotta alla povertà alimentare. Perseguendo obiettivi di Corporate Social Responsibility e intraprendendo azioni in risposta ai bisogni più urgenti, le aziende possono infatti garantire un contributo materiale e, soprattutto, possono contribuire a diffondere una cultura della solidarietà adeguata ad affrontare alcune delle problematiche emergenti in questa situazione di crisi.

 

Riferimenti

Dati Istat sulla povertà alimentare

Piano Agea di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2012

I servizi offerti alle aziende dal Banco Alimentare

Colletta Alimentare Unipol

La Colletta aziendale in Deutsche Bank

I risultati del Banco Alimentare nel 2012

 

I nostri approfondimenti sulla povertà alimentare

Il Banco Alimentare: “condividere i bisogni per condividere il senso della vita”

Modena: nasce Portobello, un "market di comunità" contro la povertà alimentare 

L’esperienza di Emporio Parma tra povertà economica e relazionale

Food banks e lotta alla povertà. L’allarme che arriva dalla Germania

 

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