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Nelle scuole italiane non è passato neanche un mese dal suono della prima campanella e già si è tornati a parlare della valutazione. Il 25 settembre 2024 l’Assemblea della Camera ha approvato il disegno di legge che ha come oggetto la revisione della valutazione e del voto in condotta. Questa norma prevede, da un lato, il ritorno al giudizio sintetico (buono, distinto, ottimo…) nelle scuole primarie e, dall’altro, l’utilizzo del voto numerico per la condotta nelle scuole secondarie. Un provvedimento in direzione opposta rispetto a quanto sta succedendo in diversi istituti secondari che, invece, hanno scelto di sperimentare il modello della “scuola senza voto”.

Questa formula nasconde una realtà ancora poco conosciuta.

Significa che non si fanno più verifiche? Che gli studenti non sono più valutati?
E, quindi, che imparano meno? Non è proprio così.

Negli istituti che svolgono queste sperimentazioni il voto numerico delle verifiche in itinere è sostituito da un giudizio descrittivo tipico della valutazione educativa. In altre parole, il voto in pagella a fine anno rimane.  Ciò che cambia, invece, è come si arriva a questo voto: non più attraverso valutazioni sintetiche e sommative (ossia i voti numerici che costituiscono la media aritmetica finale in pagella) ma attraverso un percorso di valutazione educativa fatto di riscontri descrittivi (brevi paragrafi in grado di dare consigli sull’apprendimento), feedback (riscontri più brevi e sintetici) e autovalutazione.

Dopo aver spiegato che cosa è la valutazione educativa e aver intervistato Cristiano Corsini, uno dei massimi esperti in materia, ora vogliamo dare la parola ai docenti. Di seguito, grazie a insegnanti e membri del Coordinamento sulla Valutazione Educativa di Roma, raccontiamo le storie di alunni ed alunne che da anni sul registro elettronico non vedono più un numero ma una descrizione del loro ’apprendimento.

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Cos’è una “scuola senza voto”

Vengono chiamate impropriamente “scuole senza voto” quelle scuole dove sono presenti interi consigli di classe nei quali i professori utilizzano il metodo della valutazione educativa. In questi consigli di classe, i professori valutano durante l’anno utilizzando riscontri descrittivi, feedback e mettendo in pratica l’autovalutazione e la valutazione tra pari. Come abbiamo detto però i voti numerici a fine anno ci sono. A tal proposito, infatti, la legge che regola questa materia (DPR 122/2019), da un lato, afferma che gli insegnanti sono tenuti per legge a inserire un voto in pagella agli alunni ma, dall’altro, lascia piena discrezionalità ai professori sulle modalità e i criteri da utilizzare durante il corso dell’anno, a patto che assicurino “omogeneità, equità e trasparenza nella valutazione”. Utilizzare la valutazione educativa perciò è una scelta libera del docente che, se attuata in conformità del DPR 122/2019, rientra pienamente nei confini tracciati dalla normativa in materia.

A volte, infatti, non tutti gli insegnanti di un consiglio di classe sono d’accordo nel fare questa sperimentazione, ma questo non impedisce che singoli docenti adottino autonomamente il metodo della valutazione educativa. “Nella mia scuola siamo più di 100 docenti e 4 almeno lavorano in questo modo”, racconta Giulio Iraci professore di storia e filosofia al liceo Aristofane di Roma.  “È un numero basso ma confido che nel corso del tempo possa aumentare”, aggiunge.

Secondo l’insegnante di scuola secondaria di primo grado Alessia Barbagli, nonostante la percentuale di professori che utilizzano la valutazione positiva sia ancora bassa, “i ragazzi non fanno confusione” e “i benefici si riscontrano ugualmente”, anche quando a sperimentare è un docente solo. Certo, continua Barbagli, che lavora all’istituto comprensivo di via Padre Semeria, a Roma, “avere un consiglio di classe omogeneo permetterebbe di avere un approccio più uniforme”.

Ma perché un docente dovrebbe decidere di abbandonare la valutazione tradizionale per una di tipo educativo? A volte, la risposta viene direttamente dagli studenti.

“Qualche anno fa sono stata assegnata a una classe dove c’era un alunno con forti difficoltà di apprendimento” racconta Barbagli. “Questa situazione mi ha dato la possibilità di riflettere su quali siano i reali obiettivi della valutazione e da lì ho capito che il semplice voto numerico non bastava più”. Secondo la professoressa, è necessario costruire un percorso a obiettivi in cui gli alunni ricevono non più voti ma feedback costanti su cosa migliorare per raggiungere traguardi sempre nuovi; soltanto così i ragazzi sono stimolati ad apprendere e migliorarsi.

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Barbagli non è l’unica docente che davanti a ragazzi con disturbi dell’apprendimento o disabilità ha messo in discussione il proprio approccio valutativo. Anche Valentina Felici, professoressa di scuola secondaria di primo grado all’Istituto Comprensivo E.Q. Visconti di Roma ha deciso di cambiarlo dopo esser stata assegnata a una classe con numerosi studenti con BES1.La spinta a utilizzare modalità diversificate per la valutazione è nata qualche anno fa quando ho lavorato in classi con tanti bisogni educativi speciali. La sistematizzazione è avvenuta negli ultimi tre anni con la nascita del CVE2 e il confronto con il professor Corsini e con docenti della secondaria che portavano avanti la valutazione educativa, racconta.

Il professor Iraci, invece, ha raggiunto la consapevolezza che la valutazione sommativa non era più esaustiva durante il periodo del Covid.“In Dad3 ho sentito l’esigenza di valutare in un altro modo. In quei mesi ho valutato solo in modo descrittivo e ho capito che poteva essere la scelta giusta anche una volta tornati a scuola”, spiega.

Un nuovo modo di vivere la scuola

Ripensare la valutazione vuol dire ripensare la didattica e questo mutamento inevitabilmente porta un cambiamento anche nel modo di fare l’insegnante e nel ruolo che esso assume davanti alla classe.

“Bisogna superare il  bias che ti porta a dire ‘Ho sempre fatto così’. Ormai la valutazione non è più lo scettro del potere in mano al docente ma diventa il mezzo in grado di aiutare gli studenti nel proprio percorso formativo”, riflette Felici.

Apparentemente questo processo sembra in salita perché, per costruire un nuovo percorso con nuovi obiettivi, sono necessari tempo e fatica. “Con il corso del tempo però questa fatica si attenua e soprattutto l’utilizzo dei giudizi descrittivi consente di risparmiare tempo in altri ambiti”, prosegue Iraci. Ad esempio, secondo il docente, diminuisce il tempo da dedicare al recupero in itinere così anche il numero e la durata dei colloqui con i genitori. Questo perché i ragazzi, attraverso i riscontri descrittivi, capiscono su che aspetti devono lavorare e riescono ad intervenire su molti aspetti autonomamente. Ugualmente i genitori, i quali leggendo sul registro elettronico un paragrafo descrittivo piuttosto che un numero, riescono ad essere più partecipi del percorso scolastico degli alunni e possono confrontarsi con minor frequenza con i professori attraverso i colloqui.

“Sicuramente si ha una sovrapproduzione di valutazioni, ma con il tempo si sceglie cosa valutare in relazione agli obiettivi”, dice Barbagli, spiegando come, solo in questo modo, la valutazione educativa diventa sostenibile.

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Questo modo di valutare, quindi, modifica i rapporti tra docente ed alunni in quanto rende entrambi protagonisti del processo di apprendimento: “le risposte che mi danno i ragazzi mi aiutano a rimodulare didattica” racconta Barbagli. É per questo motivo che non esiste un solo modo di fare valutazione educativa: il professor Iraci, per esempio, utilizza molte più griglie di valutazione rispetto alla professoressa Barbagli che preferisce brevi testi descrittivi, mentre la professoressa Felici fa dell’autovalutazione e dell’apprendimento tra pari i perni fondamentali del suo metodo.

Solo ascoltando le inclinazioni dei propri alunni è possibile trovare quella più confacente alla classe. L’ascolto e il dialogo, infine, sono direttamente proporzionali ai miglioramenti nelle performance di apprendimento: “ho notato dei miglioramenti da quando i ragazzi ricevono un riscontro scritto perché così hanno la possibilità di riflettere su ciò che è andato bene e cosa no”, spiega Iraci.

Secondo i suoi sostenitori, il riscontro descrittivo migliora anche il rapporto tra gli studenti stessi; l’abolizione del voto numerico in itinere permette di abbassare la competizione e di abbattere la visione gerarchica e classificatoria degli alunni che inevitabilmente il voto numerico porta con sé.

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I docenti che applicano il metodo educativo infatti utilizzano come strumento, tra i vari, anche quello dell’apprendimento cooperativo4 che si basa sul confronto e il lavoro di gruppo. “In questo modo, prima della valutazione degli insegnanti gli alunni si confrontano tra loro, così chi fa più fatica in un argomento è aiutato dai compagni”, spiega FeliciLa professoressa racconta poi come l’utilizzo di questo metodo aiuti i ragazzi ad avere più consapevolezza di sé e del loro ruolo all’interno del gruppo classe: “da quando utilizzo l’apprendimento cooperativo in modo costante non ho mai dovuto affrontare in classe casi di bullismo o situazioni che potevano essere di esclusione”.

Un percorso in continuo divenire

Barbagli, Felici e Iraci sono concordi: questo nuovo paradigma valutativo funziona. I ragazzi ottengono voti più alti e apprendono di più. E anche il rapporto con i docenti migliora.

Certo, ci sono anche le difficoltà, che i tre docenti non nascondono. A volte è complicato riuscire a tradurre in modo efficace i giudizi descrittivi e il percorso fatto durante l’anno in un voto numerico in pagella”, racconta Iraci. Sicuramente una formazione costante e il confronto con altri professori possono essere strumenti che con il tempo permettono di risolvere queste criticità ma, come già sottolineato, la valutazione rappresenta solo l’ultimo passaggio del processo di apprendimento. Pertanto, se si interviene esclusivamente su questo aspetto, non si garantirà un miglioramento automatico nell’apprendimento degli studenti.

“La valutazione educativa da sola non è sufficiente per cambiare le cose: va messa in relazione con altre strategie”, chiosa Iraci. La professoressa Barbagli sottolinea come sia sbagliato concentrarsi solo sullo strumento, la valutazione educativa, a discapito di tutto il percorso di apprendimento: “bisogna capire anche cosa non va nella didattica”. Sono concetti su cui si era soffermato  anche il professor Corsini nella nostra intervista: Didattica e valutazione sono due parti fondamentali del processo di apprendimento e una non può prescindere dall’altra”.

Ciò che abbiamo compreso, quindi, è che il processo verso una scuola più accogliente e inclusiva è ancora lungo e necessita anche di un cambiamento di sguardo sul ruolo dell’insegnante e sulla didattica. Nonostante ciò, la valutazione educativa, insieme alle sue criticità e debolezze, può essere già oggi un buon punto di partenza. Per migliorare l’interazione tra studenti e docenti e incoraggiare un clima di collaborazione e sostegno reciproco tra gli alunni. Per rendere la valutazione un processo realmente trasformativo all’interno della scuola. E, in un momento in cui la salute mentale dei più giovani è una grande urgenza, per aumentare il loro benessere, rendendo le aule scolastiche un luogo dove alunni e alunne tornano volentieri ogni giorno.

Note

  1. Bisogni Educativi Speciali – Uno studente con un BES ha necessità di attenzione speciale nel corso del suo percorso scolastico per motivi diversi, a volte certificati da una diagnosi ufficiale di tipo medico, bisogni permanenti o superabili grazie a interventi mirati e specifici.
  2. Il Coordinamento per la Valutazione Educativa è composto da docenti, dirigenti, studentesse e studenti, famiglie per la valutazione educativa. Il suo sito è:  www.coordinamentoperlavalutazioneeducativa.it.
  3. Didattica a distanza, ndr.
  4. L’apprendimento cooperativo chiamato anche apprendimento tra pari o cooperative learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti (fonte: https://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/cooperative_learning.htm)
Foto di copertina: RDNE Stock project, Pexels.com