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ActionAid Italia è un’organizzazione volta a promuovere diritti, partecipazione e inclusione. Nel nostro Paese si occupa di molti interventi legati a questi obiettivi; lo scorso novembre, in particolare, ha pubblicato un report relativo al più aggiornato monitoraggio dei fondi statali antiviolenza. La ricerca si è concentrata sull’intero sistema di prevenzione e protezione italiano e contiene raccomandazioni rivolte alle istituzioni di ogni livello. Abbiamo intervistato Katia Scannavini, Vice Segretaria Generale di ActionAid Italia, per farci raccontare gli elementi più rilevanti del documento.

Che cos’è il Piano Antiviolenza e cosa ha comportato per il nostro Paese la nuova strategia approvata nel 2017?

Il Piano strategico nazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne 2017-2020 è il terzo documento programmatico di cui si è dotata l’Italia per prevenire e contrastare la violenza di genere e fornire protezione e supporto alle donne che la subiscono. Il Piano, adottato a novembre 2017, pone le basi per la costruzione di un sistema antiviolenza nazionale in grado di contrastare il fenomeno della violenza maschile contro le donne a più livelli, prevedendo – nelle intenzioni – “cambiamenti strutturali e di lungo termine, e mirando a un cambiamento culturale”. Riprendendo la logica delle 4 P (Prevenzione, Protezione, Punizione, Politiche integrate) della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, il Piano si articola infatti in tre assi principali (Prevenzione, Protezione e sostegno, Perseguire e punire) e uno trasversale (Assistenza e Promozione), che prevedono una serie di interventi prioritari riguardanti:

  • la prevenzione, e quindi la formazione di tutti gli attori che entrano in contatto con le donne che subiscono violenza, la sensibilizzazione nelle scuole e del grande pubblico;
  • la protezione delle donne e quindi il finanziamento delle strutture antiviolenza, di programmi di empowerment socio-economico e di percorsi di accompagnamento delle donne nel percorso di fuoriuscita dalla violenza;
  • la punizione e quindi il trattamento degli uomini maltrattanti e la formazione degli operatori giudiziari;
  • la gestione e la sostenibilità operativa dell’intero sistema antiviolenza, garantita da un adeguato monitoraggio dell’attuazione del Piano e da una conseguente valutazione del suo impatto sul fenomeno che intende prevenire e contrastare.

Quali criticità ha fatto emergere, rispetto all’attuazione di tale strategia, il monitoraggio che ActionAid Italia sta portando avanti?

Dal monitoraggio di ActionAid – elaborato da Isabella Orfano e Rossella Silvestre, con il coordinamento di Rossana Scaricabarozzi – è emerso che a poco più di un mese dalla sua conclusione, solamente il 60% circa del Piano Antiviolenza 2017-2020 risulta essere stato attuato, in particolare per il potenziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio, mentre largamente insufficienti sono state le azioni di prevenzione, fondamentali per ridurre l’incidenza della violenza. I tempi della politica hanno infatti influenzato quelli dell’esecuzione del piano, visto che, tra il 2017 e il 2019, si sono susseguiti tre Governi e altrettante Autorità politiche delegate alle Pari Opportunità (ovvero, la Sottosegretaria Maria Elena Boschi, il Sottosegretario Vincenzo Spadafora, la Ministra Elena Bonetti). Ciò ha impattato in termini negativi sulla tempistica dell’adozione ufficiale e dell’esecuzione operativa del Piano.

La sua dotazione finanziaria è stata stimata solo a luglio 2019, due anni dopo l’approvazione, prevedendo uno stanziamento (132 mln di euro) insufficiente per coprire tutte le azioni (102) contenute nel documento operativo. L’analisi degli atti ha messo soprattutto in evidenza un’allocazione di fondi non equilibrata tra gli assi di intervento previsti dal Piano. La maggior parte delle risorse è confluita nell’asse Protezione e Sostegno per effetto dell’inclusione nel budget complessivo del Piano di fondi già in capo al DPO (ai sensi dell’art. 5 bis del DL 93/2013) per il potenziamento delle strutture antiviolenza e destinata agli impegni internazionali in capo al MAECI per il supporto di progetti di cooperazione internazionale in materia di contrasto alla violenza di genere. In generale è stata registrata una scarsa trasparenza nella gestione del piano.

In sintesi, il piano non ha permesso la strutturazione del sistema articolato e diffuso su tutto il territorio italiano che si prefiggeva di istituire e che sarebbe stato in grado di garantire alle donne il diritto ad una vita senza violenza.


Quale è stato l’effetto della pandemia e in particolare del lockdown in termini di violenza contro le donne? E quali risposte sono state messe in campo per fronteggiare il problema in questa situazione di emergenza?

Nel periodo di divieto assoluto di uscire di casa per l’Italia intera, molte donne con partner violenti si sono ritrovate ancora più isolate e impossibilitate a chiedere aiuto. Molte donne già supportate dai centri antiviolenza e avviate in percorsi di autonomia e di inserimento lavorativo si sono ritrovate – a causa della sospensione dal lavoro – senza soldi e quindi impossibilitate a pagare l’affitto, le bollette, le spese condominiali e, soprattutto, le spese di prima necessità. In molti casi ciò ha significato essere nuovamente soggette a violenza, soprattutto nei casi di maggiore vulnerabilità in cui, proprio per ragioni economiche, le donne hanno ricontattato il maltrattante.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, le denunce dei reati riconducibili alla violenza di genere (es. maltrattamenti contro familiari e conviventi, atti persecutori, violenze sessuali) sono diminuite nella fase di lockdown per poi aumentare nei mesi successivi, probabilmente perché le donne hanno avuto la possibilità di recarsi liberamente dall’autorità giudiziaria dopo settimane di chiusura e controllo. Nel periodo di confinamento sono diminuiti gli omicidi in generale ma i femminicidi sono aumentati. Da rilevare che nel 2020 il numero delle chiamate ricevute dal 1522 è fortemente aumentato superando in 10 mesi i livelli degli anni precedenti. In particolare, le chiamate hanno raggiunto incrementi elevatissimi in corrispondenza dei mesi del lockdown (+73% nel periodo 1° marzo – 16 aprile rispetto allo stesso periodo del 2019). A partire dal 22 marzo la crescita delle chiamate al 1522 ha avuto un andamento esponenziale per poi decrescere in coincidenza con la fase 2 e la progressiva e graduale riapertura dal 4 maggio in poi (Istat, ottobre 2020).

A fronte di tale situazione, la risposta delle istituzioni è stata affannata e non adeguata, rispecchiando l’ordinario funzionamento del sistema antiviolenza italiano, non ben funzionante e a tratti inceppato. È infatti stato in primis l’enorme impegno messo in campo dai centri antiviolenza e dalle case rifugio, anche nelle situazioni più complesse come quelle lombarde, ad aver garantito alle donne di essere supportate e prese in carico durante l’emergenza sanitaria.

La pandemia ha evidenziato la preoccupante fragilità e disomogeneità del sistema antiviolenza nazionale e territoriale. La debolezza delle reti territoriali interistituzionali che il Piano prevedeva fossero istituite su tutto il territorio italiano, la carenza di fondi e l’onerosità dei procedimenti con cui questi vengono trasferiti a case rifugio e centri antiviolenza, così come l’assenza di procedure operative, ha impattato gravemente sulla tenuta del sistema antiviolenza durante l’emergenza sanitaria. La scarsità di dispositivi di protezione individuale (Dpi),l’obbligo di sanificazione degli ambienti, la mancanza o l’impossibilità di accedere ai tamponi e gli spazi inadeguati hanno messo a dura prova la quotidianità dei centri antiviolenza e delle case rifugio. I casi di accoglienze in emergenza sono stati i più complessi da gestire, non solo per la mancanza di tamponi e di direttive sanitarie, ma anche per la carenza cronica di spazi che caratterizza da sempre il sistema di protezione italiano su tutto il territorio nazionale. La stragrande maggioranza delle strutture ha lamentato una grave mancanza di coordinamento, di informazioni e di linee guida soprattutto durante la Fase 1, in particolare rispetto ai protocolli sanitari e alla gestione dei casi di presa in carico di donne in emergenza. L’intervento delle istituzioni ai vari livelli è stato generalmente valutato in termini negativi perché assente o tardivo e le operatrici intervistate hanno affermato di essersi sentite in larga parte sole, isolate, abbandonate.


Quali sono le raccomandazioni che emergono dal vostro Rapporto di monitoraggio?

Alla luce di quanto emerso dal monitoraggio, ActionAid chiede di garantire che il nuovo Piano Antiviolenza 2021-2023 definisca chiaramente la governance del sistema antiviolenza nazionale e territoriale prevedendo che la Cabina di Regia nazionale eserciti appieno e con puntualità la propria funzione di indirizzo e strategia politica, affiancata nel suo lavoro da una struttura stabile di coordinamento tecnico attiva anche nei periodi di definizione di nuovi assetti politici. Affinché tale scenario possa realizzarsi, è, inoltre, di fondamentale importanza che il prossimo piano chiarisca nel dettaglio responsabilità, procedure, tempi e risorse necessarie alla sua attuazione. È infatti auspicabile che il nuovo Piano Antiviolenza preveda risorse adeguate per attività ben dettagliate per tutti gli assi di intervento. Un investimento appropriato deve essere previsto per l’asse Prevenzione, particolarmente scoperta dal piano in corso. Formazione, sensibilizzazione e ricerca, infatti, sono attività chiave per sradicare la cultura maschilista, patriarcale e misogina che sta alla base della violenza contro le donne così come per rafforzare la disomogenea capacità di risposta del sistema antiviolenza nazionale e territoriale, ampiamente dimostrata durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. Per queste ragioni questi temi devono essere considerati prioritari. Allo stesso modo, si auspica che il nuovo piano superi la logica delle “attività a costo zero” imputate soprattutto all’asse Perseguire e Punire. Un maggior investimento in termini sia di tipologia di interventi che di risorse è infatti essenziale per garantire maggiormente la tutela delle donne vittime di violenza da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.

Anche l’indagine sull’impatto dell’emergenza sanitaria sul sistema di prevenzione e protezione realizzata nell’ambito del presente monitoraggio ha fornito indicazioni utili ad informare la stesura del nuovo piano antiviolenza. In particolare, in base alle lezioni apprese in questi mesi di pandemia da chi lavora sui territori, quattro sono le richieste principali che rivolgiamo alle istituzioni per garantire la pronta attivazione del sistema di protezione e prevenzione durante l’emergenza sanitaria:

  1. assicurare il pieno e puntuale funzionamento delle reti territoriali inter-istituzionali antiviolenza e, laddove non esistano, istituirle prontamente, prevedendo un’adeguata formazione di tutti gli attori partecipanti alla rete, in particolare di coloro che entrano in contatto con le donne che subiscono violenza (es. operatrici e operatori delle forze di polizia, dei servizi socio-sanitari);
  2. stabilire in tempi rapidi Procedure Operative Standard che definiscano il ruolo di ciascun attore partecipante alla rete territoriale e prevedano una Cabina di Regia Operativa Locale da attivare in tempi rapidi e che si coordini con un omologo meccanismo a livello regionale e nazionale;
  3. istituire un fondo nazionale per le emergenze immediatamente disponibile per le spese straordinarie connesse alla situazione di emergenza in corso;
  4. potenziare fin da subito regolari attività di sensibilizzazione e comunicazione, garantendo ampia diffusione delle informazioni riguardanti i centri antiviolenza.


Per concludere, ci aiuta a capire qual è il ruolo che un soggetto come ActionAid può svolgere per contribuire a contrastare la violenza maschile sulle donne?

Prevenire la violenza e proteggere le donne che la subiscono, garantendo loro servizi e misure, sono obblighi fondamentali che gli Stati contraenti si sono assunti ratificando la Convenzione di Istanbul. Ne consegue che tali Stati – Italia inclusa – sono ritenuti responsabili di una grave violazione dei diritti umani se non assicurano risposte appropriate contro la violenza. Monitorare l’impegno in termini di politiche e di risorse finanziarie messe in campo da un Paese significa pertanto verificarne l’impegno concreto nella lotta contro un fenomeno multiforme, pervasivo e strutturale che continua a colpire moltissime ragazze e donne quotidianamente, nella maggior parte dei casi dentro le mura domestiche.

Qual è dunque l’impegno dell’Italia nella prevenzione e nel contrasto alla violenza sulle donne? Quali sono gli interventi finanziati dall’Italia? Qual è il livello di trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche stanziate per proteggere le donne che subiscono violenza? Queste sono le domande a cui ActionAid ha deciso di rispondere realizzando un monitoraggio delle azioni messe in campo dal nostro Paese per prevenire e contrastare la violenza. Inoltre, ActionAid dal 2015 è impegnata nell’attuazione di progetti volti a:

  • supportare l’empowerment socio-economico di donne fuoriuscite da situazioni di violenza, coinvolgendo istituzioni ed enti locali con l’obiettivo di costruire strumenti e network migliori per supportarle nel loro percorso;
  • sensibilizzare nelle scuole adolescenti, docenti e famiglie su prevenzione e lotta alla violenza di genere attraverso programmi educativi integrati;
  • promuoverele condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici italiane e straniere nel Sud Italia, per migliorare la disponibilità e l’accessibilità dei servizi pubblici;
  • sensibilizzare le comunità che praticano mutilazioni genitali femminili, nei paesi di origine e in Europa, sulle conseguenze fisiche e psicologiche derivanti da questa pratica e sull’impatto negativo che ha sui diritti delle donne.