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Il periodo della pandemia ha determinato una serie di cambiamenti nei livelli e negli strumenti di progettazione delle politiche pubbliche, così come – a livello micro – nei processi di interazione comunitaria. Mettendo a tema, tra le altre cose, i modelli ibridi, l’impatto della demografia e l’isolamento legato al lavoro da remoto, De-LAB – centro di progettazione sociale specializzato in Purpose Economy – ha intervistato la direttrice di Secondo Welfare Franca Maino chiedendole come i recenti cambiamenti influenzeranno le scelte pubbliche del prossimo futuro. Di seguito vi proponiamo il testo completo – pubblicato anche sul sito di De-LAB – e disponibile anche in inglese qui.


Professoressa Maino, sempre più le politiche sociali di origine pubblica convivono con interventi di origine privata, dalle medesime finalità. Il mutuo supporto tra questi due diversi strumenti è stato davvero raggiunto, o permangono delle differenze inconciliabili di tipo gestionale e organizzativo che, nel lungo periodo, genereranno nuove disparità nella fruizione dei servizi di welfare?

Ci sono luci ed ombre nella collaborazione tra pubblico e privato. Ci vuole molto impegno perché nascano e si sviluppino questo tipo di collaborazioni dal momento che gli attori coinvolti hanno interessi, logiche, framework di riferimento e tempi di lavoro differenti. La sinergia tra questi due “mondi” può tuttavia rivelarsi strategica quando contribuisce ad accrescere le risorse e ad aggregare domanda e offerta per rispondere ai crescenti bisogni sociali, a maggior ragione se acuiti dalla pandemia di questo ultimo anno.

 

In occasione della pandemia da Covid19, è emerso fortemente il bisogno di prestare attenzione al tema della “conciliazione vita-lavoro”, con particolare riferimento alla componente femminile dei lavoratori. Vede all’orizzonte dei provvedimenti che aiuteranno a bilanciare queste due aree di vita, o rimarremo a lungo in questa situazione di incertezza di cui – come dicono i dati – sono sempre più le donne a pagare il prezzo?

Nell’ultimo anno abbiamo visto crescere la consapevolezza della rilevanza di questo tema a livello governativo: è un argomento entrato nell’Agenda pubblica e non si potrà più tornare indietro. Va inoltre considerato che la tecnologia può favorire la sperimentazione di nuove forme di lavoro ma non si può puntare solo sul digitale. Non dobbiamo cedere all’idea che il lavoro da remoto, oggi così diffuso a causa dell’emergenza sanitaria, sia destinato a diventare il modello prevalente.

Occorre capire bene le implicazioni delle interconnessioni tra sfera lavorativa e sfera personale, e non solo per gli adulti ma anche per i minori, per i sistemi educativi e per le imprese. Per esempio, le amministrazioni locali dovrebbero tornare ad investire sulla definizione e attuazione di “Politiche dei Tempi” con una forte attenzione alle trasformazioni dei contesti urbani, tenendo conto anche della crescente diffusione dello smart working sia dentro che fuori la PA. E sarebbe molto importante definire soluzioni e linee guida che scaturiscano dal confronto tra attori e organizzazioni diverse.

 

Nel nostro Paese esiste un enorme problema demografico che impatta su quelle che sono (e saranno) le risorse previdenziali. Egualmente, i giovani lavoratori non hanno possibilità di crescere, tra una generazione senior ancora saldamente presente nelle posizioni apicali ed una fascia intermedia sostanzialmente immobile (sia in termini di retribuzione che di avanzamento). Che tempi e modi avranno le carriere professionali del prossimo futuro?

Le tutele sono molte nel nostro paese, ma riguardano principalmente i lavoratori stabili. Il problema è che nell’ultimo decennio è cresciuto rapidamente e fortemente il lavoro precario. E’ quindi necessario ripensare le politiche chi è più esposto al rischio di carriere precarie e per i giovani, dal sistema educativo a quello della formazione, dalle politiche del lavoro alle politiche di welfare per generare reali opportunità e rafforzare sia le cosiddette soft skills sia competenze digitali.

 

Esistono varie forme di povertà: quella educativa, quella alimentare, quella economica. Per ognuna, sembrano esserci cause profonde e difficilmente modificabili, a meno di interventi “strutturali”. Se avesse modo di attivare un piano nazionale contro la povertà, da dove partirebbe, e perchè?

Come mostrano i dati Istat più recenti la povertà assoluta è tornata a crescere nel Paese e ad esserne più colpite sono ancora una volta le famiglie con minori. Credo quindi che oltre ad affrontare il problema della povertà nel suo complesso sia necessario investire ulteriormente per combattere la povertà minorile ed educativa. Alleato in questa battaglia è oggi il Reddito di Cittadinanza e nei prossimi mesi si aggiungerà il Family Act che il Governo Draghi si appresta ad approvare.

 

Si parla molto di Silver Economy, in relazione ad un allungamento medio della vita che apre nuovi mercati di consumo. Secondo lei, quanto di questo fenomeno è dovuto ad opportunità di marketing e quanto ad una vera trasformazione delle priorità di consumo a livello nazionale? In altre parole, la generazione dei boomer trainerà l’economia anche in tarda età?

I cambiamenti socio-demografici in atto a livello europeo e nel nostro Paese e in particolare il processo di invecchiamento della popolazione impongono una riflessione seria e urgente sul funzionamento attuale dei sistemi di welfare sia in termini di risposta ai bisogni degli anziani sia per le opportunità che il prendersi cura delle persone che invecchiano determina. Il Paese non sembra avere ancora piena contezza delle implicazioni dei processi di ageing e soprattutto non se ne fa adeguatamente carico, se non attraverso il sistema previdenziale.

È urgente riformare i servizi domiciliari seguendo il paradigma del care multidimensionale e avviare una riqualificazione delle strutture residenziali per assicurarne l’ammodernamento, rafforzarne la dotazione infrastrutturale e migliorare così l’efficacia dell’assistenza e la qualità di vita degli ospiti. Investire sull’assistenza continuativa potrebbe portare a degli indubbi vantaggi, avviando un percorso di riforma atteso da decenni. Inoltre consentirebbe la creazione di nuova occupazione, contrastando anche la discriminazione di genere che caratterizza il nostro più di altri Paesi.

Una maggiore offerta di servizi per gli anziani contribuirebbe infatti a ridurre i compiti di cura a carico delle donne nel loro ruolo di caregiver familiari e aprirebbe loro nuove opportunità occupazionali. Infine, andrebbe a valorizzare la dimensione territoriale in una dialettica costruttiva tra Stato, Regioni e Comuni che rafforzi il ruolo di coordinamento e guida del primo e l’autonomia delle seconde, riducendo al contempo le differenziazioni di intervento.

 

La pandemia ha accentuato dimensioni di vita sempre più individuali: dal lavoro da remoto, agli acquisti da effettuarsi da soli nei negozi – per questioni di sicurezza – fino all’assenza di interazioni sociali dovute alla temporanea sospensione delle attività sportive, ricreative e culturali di gruppo. Secondo lei questo momento verrà velocemente dimenticato, o segna l’inizio di uno stile di vita sempre più atomistico?

Il rischio c’è. Ed è per questo che occorre investire anche nelle comunità e nella ricomposizione dei legami sociali. Occorre alimentare quel senso di comunità che si è rivelato un prezioso alleato nel contrastare gli effetti sociali della pandemia già dai primi mesi di lockdown. Sono molto e soprattutto significative le iniziative nate a livello locale in questo ultimo anno che hanno visto una pluralità di soggetti coinvolti e impegnati in pratiche solidali rivolte ai più fragili. Penso che questo patrimonio di esperienze nella maggior parte dei casi non andrà disperso e potrà costituire una base solida per proseguire in futuro in percorsi di innovazione.

 

L’Italia è un Paese dall’enorme debito pubblico, con popolazione anziana da mantenere e scarsa mobilità sociale. Come sarà, secondo lei, il welfare del futuro?

Qui ci addentriamo nella delicata questione delle disuguaglianze, che crescono quanto più la mobilità sociale è bloccata. Le istituzioni spesso disperdono energie e risorse in scelte di policy che cristallizzano le opportunità di crescita e lo sviluppo sia a livello individuale sia sistemico. Lo Stato deve diventare sempre più promotore di nuove opportunità con una particolare attenzione ai giovani e alle donne, così pesantemente colpite dall’attuale pandemia, e alle persone più vulnerabili. In questo quadro io credo che, da un lato, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite con i suoi obiettivi e, dall’altro, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali possono fornire una cornice di senso e di riferimento per costruire il welfare del futuro.