Crisi economica, crisi edilizia, povertà abitativa: i numeri sono ormai abbastanza noti. Ciò che è meno evidente è che gli effetti della crisi non si manifestano solo nell’incapacità di sostenere le spese abitative: quando si passa da una fase di crescita ad una fase di recessione si effettuano delle azioni di ridimensionamento che rischiano di lasciare interi edifici, se non intere aree, in stato di abbandono, con pesanti ripercussioni in termini di equilibrio urbano e sociale. Ecco perché, dai governi nazionali ai singoli cittadini, crescono i movimenti per il recupero urbano.
Gli effetti della recessione
La crisi economica riduce le disponibilità economiche e i risparmi dei cittadini e, di riflesso, le loro possibilità di sostenere l’acquisto di un’abitazione (con o senza mutuo), o i canoni di affitto, che sono drasticamente aumentati nel corso dell’ultimo ventennio: tra il 1991 e il 2009 i canoni di mercato delle aree urbane sono cresciuti in media del 105%, a fronte di una crescita delle disponibilità economiche familiari del 18% (Cittalia, 2011). Il risultato è che la povertà abitativa si attesta oggi intorno al 7,3%.
Ma la crisi economica ha almeno altre due importanti implicazioni – oltre ad accrescere la povertà abitativa – sul settore abitativo/edilizio. La prima è una diretta conseguenza di quanto appena detto: se cala la domanda di alloggi, cala anche l’offerta. Non solo non si costruiscono più case, ma non si vende più nemmeno quanto già costruito, con evidenti ripercussioni sulla crescita e sull’occupazione. Nel 2012, secondo il centro studi economici Nomisma, erano 694 mila gli alloggi vuoti e 328 mila quelli in costruzione (fonte Ance).
La seconda è invece meno evidente. Quando si passa da una fase di crescita a una di recessione, si devono effettuare delle azioni di ridimensionamento. Tanto più quando la fase di crescita ha avuto la durata di alcuni decenni. L’Italia, infatti, pur attraversando ciclicamente seri momenti di crisi, ha vissuto un periodo di costante espansione a partire dal boom economico del dopoguerra, dove l’abbondanza di risorse ha portato a investimenti, acquisizioni, ecc. che hanno coinvolto tutti gli attori sociali.
A cominciare dallo Stato che, specialmente tra gli anni ‘60 e ‘70 ha messo insieme – talvolta tramite locazione, altre con l’acquisto diretto – un patrimonio immobiliare vastissimo dove collocare i propri uffici, società, dirigenti, e tutto quanto gravitava intorno alla macchina burocratica italiana. Finiti i “tempi d’oro”, le necessità di contenimento della spesa pubblica e di ridimensionamento dell’organico della pubblica amministrazione, stanno portando alla chiusura, spesso al vero e proprio abbandono di interi stabili che, a causa degli alti costi di ristrutturazione, sono difficilmente vendibili nel mercato immobiliare privato o convertibili ad uso diverso.
Un problema che si presenta anche per le attività non statali. La chiusura di imprese e attività commerciali ha lasciato spazi vuoti e la dismissione di intere aree industriali che devono essere riqualificate e re-inglobate nello spazio urbano onde evitare che diventino rifugi per senza dimora o “aree ghetto”. Solo nel 2012 si contavano 15 mila aree industriali dismesse da riconvertire.
Infine, cosa fare del patrimonio immobiliare – anche di nuova costruzione – prodotto del boom edilizio che ha caratterizzato il primo decennio del nuovo secolo?
Lo scenario che abbiamo di fronte è il seguente: un mercato immobiliare saturo, un numero crescente di cittadini che non possono permettersi una casa e sempre più edifici – sia pubblici che privati (vedi l’approfondimento Come soddisfare le nuove domande abitative? L’esperienza di AISA) – vuoti e inutilizzati. Si può superare il problema?
Non solo in Italia
Il problema, occorre dirlo, non riguarda solo l’Italia, e può essere pertanto utile vedere come altri Paesi stanno affrontando la questione. La Spagna, emblema della “bolla immobiliare” – travolta cinque anni fa dalla Burbuja del ladrillo, si ritrova oggi sommersa da uno stock di 800mila case invendute e oltre 500mila case in costruzione abbandonate – ha intrapreso una soluzione estrema: il Sareb, la banca pubblica che ha ereditato il patrimonio immobiliare dalle banche per salvare gli istituti di credito, ha stanziato in bilancio una cifra di 103 milioni di euro per procedere alla demolizione di un pezzo del suo tesoretto edilizio allo scopo di risparmiare sulle spese di gestione e far risalire il valore degli altri edifici in vendita per rilanciare l’economia. In Irlanda, altro Paese alle prese con una pesante crisi del mattone che ha lasciato 300mila case vuote, il governo ha già provveduto a radere al suolo diversi complessi arrivando così a generare in modo artificioso un timido rialzo dei prezzi. Scelte che sono state travolte da un’ondata di polemiche da buona parte dell’opinione pubblica che è contraria ad abbattere oggi ciò la cui costruzione ha richiesto un indebitamento che peraltro è identificato tra le cause della crisi finanziaria. In Francia, invece, il Ministre de l’Égalité des Territoires et du Logement, Cécile Duflot, ha proposto di convertire gli edifici statali vuoti – ma anche di proprietà di banche, compagnie assicurative, grandi aziende, oltre che della Chiesa – in strutture pubbliche da mettere a disposizione dei senza tetto. Anche in questo caso non senza scatenare polemiche.
La nuova tendenza al recupero
Se le suddette soluzioni risultano poco applicabili, crescono invece le iniziative – sia su input delle istituzioni che dei cittadini – per promuovere il recupero di questi edifici/zone abbandonate e la loro conversione a spazi comuni o di edilizia sociale.
[im]possible living, ad esempio, è un sito web dedicato alla mappatura e alla riattivazione di edifici abbandonati. La missione è di ridare vita agli edifici abbandonati attraverso un metodo innovativo: creare una community internazionale che, attraverso un processo di crowdsourcing, sia in grado di generare nuove soluzioni per risolvere il problema del degrado. Il progetto punta quindi a costruire un database mondiale degli edifici abbandonati; offrire strumenti e conoscenze per aiutare chi si occupa di progetti di riscatto; connettere professionisti che possano collaborare al design process; trovare finanziamenti per fare diventare questi progetti realtà. Chiunque può partecipare: si può mappare un edificio abbandonato, oppure contribuire a migliorarne il profilo esistente aggiungendo foto o video, votando i profili preferiti e condividendoli tramite i social network.
Spazi Opportunità – un progetto di rigenerazione urbana per Trieste, ha l’obiettivo di promuovere uno sviluppo urbano sostenibile all’interno del territorio provinciale di Trieste, tenendo conto delle istanze espresse dalla comunità locale. Questo progetto di rigenerazione urbana intende facilitare la nascita di nuove attività imprenditoriali e del terzo settore (imprese sociali, servizi innovativi, istituzioni low-profit) all’interno di spazi sottoutilizzati, abbandonati o in rovina, sia di proprietà pubblica che privata, con l’attivazione di una serie di processi capaci di riqualificarli sotto il profilo edilizio e funzionale, in un quadro preciso definito da sostenibilità sia economica che ambientale e sociale. Il progetto si compone di tre fasi: Catalogo degli spazi opportunità attraverso un’applicazione web multipiattaforma costantemente aggiornata ed implementata, per sistematizzare in maniera chiara ed operativa gli edifici; Forum delle Opportunità, una serie di tavoli di lavoro al quale saranno invitati tutti gli attori interessati dal processo; Cantiere delle Opportunità, una serie di progetti sperimentali, dei veri e propri laboratori urbani, con l’obiettivo di dimostrare e verificare concretamente le potenzialità e le criticità dei processi di rigenerazione urbana, attraverso la realizzazione di progetti pilota di riattivazione di spazi.
Infine, anche diverse istituzioni locali si stanno attivando in questa direzione. Il Comune di Bologna, per esempio, ha pubblicato sul sito web Opendata una mappa degli edifici inutilizzati di proprietà comunale. Gli spazi sono distinti in immobili inutilizzati da valorizzare, sui quali il Comune ha già un progetto; immobili commercializzabili, come ad esempio uffici, locali, magazzini e negozi che si possono affittare o comprare; ed immobili inutilizzabili, cioè quelli che hanno caratteristiche tali per cui il Comune non riesce ad individuare destinazioni possibili. Su questi ultimi chiunque può inviare idee o presentare progetti scrivendo a [email protected]. e nel caso di idee compatibili con le normative e il contesto, gli immobili possono essere assegnati ai proponenti.
Il Comune di Milano dal 2012 ha iniziato a ragionare sulla possibilità di offrire gratuitamente a cittadini e associazioni singoli locali o aree intere perché diventino luoghi di aggregazione in grado di far ripartire la socialità e l’economia locale e per promuovere progetti sociali, culturali, imprenditoriali che possano valorizzare soprattutto le periferie. Gli spazi dovrebbero essere concessi gratuitamente, e anche per periodi molto lunghi lasciando a carico del gestore le spese di ristrutturazione, manutenzione ordinaria e straordinaria, e di conduzione.
Riferimenti
Case senza abitanti e abitanti senza casa, Settimo rapporto sulla povertà nella diocesi di Milano, Caritas Ambrosiana, 2008
Mattone, linea dura in Spagna:"Abbattere le case invendute", Ettroe Livini, La Repubblica, 30 ottobre 2013
Urbanistica. Comune e Politecnico insieme per il recupero di edifici e aree degradate, Milano Online, 13 novembre 2013
Il Comune offre gratis ai cittadini gli spazi abbandonati nei quartieri, Zita Dazzi, La Repubblica, 29 settembre 2012