Pubblichiamo l’intervista di Ilaria De Bonis a Franca Maino, direttrice del progetto Percorsi di secondo welfare, pubblicata sul numero di aprile di Popoli e Missione, rivista della Fondazione Missio.
Secondo welfare e lotta alla povertà, intervista a Franca Maino
E’ un dato di fatto che la ripartizione del nostro welfare fra le diverse componenti della spesa sociale è decisamente squilibrata a favore della previdenza, a discapito di altri fondamentali capitoli: «il welfare pubblico è oggi oggetto di tagli, ridefinizioni in senso restrittivo e misure che ne diminuiscono la capacità», ci spiega Franca Maino, direttrice del laboratorio Percorsi di secondo welfare presso il Centro Einaudi di Torino. Per liberare risorse da destinare al "primo welfare" (e al contempo dedicare attenzione ad altre emergenze sociali), entrano in gioco nuovi protagonisti che fanno rete tra loro: fondazioni bancarie e di comunità, imprese, sindacati, Terzo settore, comuni, volontariato, che, sedendo tutti attorno ad uno stesso tavolo, elaborano progetti a forte connotazione territoriale.
Perché il welfare state è così mal messo?
I programmi di welfare in Italia hanno continuato per anni ad erogare prestazioni molto generose per la tutela di rischi già largamente coperti. Gli attuali problemi dealla spesa sociale, a mio avviso, non vengono tanto dalla sanità quanto dalla previdenza. L’Italia non è riuscita a correggere gli squilibri di un sistema di protezione sociale disfunzionale. Il problema è trovare risorse per la disoccupazione, la lotta all’esclusione sociale, la famiglia, i minori.
In che modo i privati possono occuparsi di welfare?
Assodato che l’ambizione ultima, sul fronte del welfare nazionale, è quella di arrivare comunque all’introduzione di programmi universalistici come il reddito minimo, per farlo è necessario liberare risorse. Come? Ad esempio alleggerendo il carico statale per quanto riguarda le pensioni. Oggi le aziende private si trovano a fare i conti con lavoratori esposti pesantemente alla crisi economica. Non potendo aumentare le loro retribuzioni, possono però pensare a dei benefit o a misure di welfare aziendale che offrano forme di previdenza integrativa tutele di tipo integrativo ai dipendenti.
Che ruolo hanno gli enti locali nell’ipotesi di ‘secondo welfare’?
Un ruolo sempre maggiore. Gli enti locali sono competenti in un importante pezzo di welfare, ma hanno sempre meno risorse. Comuni, consorzi di comuni, province e regioni possono cercare di favorire la sinergia con enti non pubblici. Tra questi, in prima linea, le fondazioni bancarie e di comunità.
Fondazioni e banche stanno già realizzando progetti interessanti con gli enti locali e altri soggetti del Terzo settore. Qualche esempio?
Sì le fondazioni di origine bancaria hanno per statuto il compito di utilizzare le risorse per sostenere progetti di varia natura. Tutte hanno un capitolo sociale di sostegno alla persona e al territorio. A partire dal 2008 molte hanno spostato risorse, (che prima andavano più che altro alla voce cultura) verso il sociale. Ne sono nati progetti inediti come quello del Fondo di emergenza lavoro promosso dalla Fondazione della comunità del novarese in collaborazione con Fondazione Banca Popolare di Novara, sindacati, prefettura, provincia, comune, diocesi di Novara. E’ un esempio perfetto di secondo welfare perché vede impegnati tutti i soggetti interessati sia nella fase di erogazione delle risorse che di elaborazione delle idee.
Un progetto ben riuscito di lotta alla povertà?
Quello dell’Emporio Parma che dal 2010 cerca di assistere persone in difficoltà economica grazie ad un market solidale e ad altre iniziative che aiutano circa 700 famiglie, il 70% delle quali di origini straniere. Nasce in seguito ad un bando regionale dell’Emilia Romagna.
Riferimenti
File pdf dell’intervista a Franca Maino
Il sito della Fondazione Missio
Novara e il Fondo emergenza lavoro: rispondere alla crisi partendo dal bisogno
Fondazione della Comunità del Novarese: una best practice della filantropia comunitaria